Art e Dossier

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Arte Povera a Torino

categoria: In galleria
21 March – 27 April 2019

MULTIPLI. Anselmo | Boetti | Fabro | Gilardi | Paolini | Pascali | Penone | Pistoletto | Salvo

Torino
Galleria Biasutti & Biasutti

Niente più di un manifesto esprime l'idea di “multiplo”, di opera riproducibile. E niente più di un manifesto chiarisce la sintesi di intenti di un gruppo di artisti che lavorano con obiettivi comuni. Proprio con il Manifesto di Alighiero Boetti, stampato nel 1967 in ottocento esemplari, si apre la mostra Multipli, allestita nella Galleria Biasutti & Biasutti di Torino e che vuole riflettere sull'esigenza di creare un'arte democratica, capace di coinvolgere “l’osservatore in una nuova dimensione dell’opera ovvero una rappresentazione del momento creativo che l’ha generata”; esigenza, questa, fortemente sentita da chi, tra gli anni Sessanta e Settanta, aderì all'Arte Povera. Ad alcuni degli artisti elencati in quel Manifesto concettuale e decisamente programmatico – dove a ogni nome è affiancato un segno – i galleristi hanno scelto di affiancare altri esponenti che, pur non citati da Boetti, in quegli anni o nei successivi perseguirono la stessa poetica e lo stesso utilizzo di materiali e di processi creativi all'epoca quasi inediti per l'arte ufficiale perché “quotidiani” o relativi all'azione più che al risultato. Ecco allora un percorso che tocca le ricerche di Fabro sulla rappresentazione critica della politica e l'economia della penisola (De Italia, 1972), la Linea di terra di Anselmo (1970), uno dei sessantaquattro esemplari dei multipli di Giulio Paolini Locus solus (1975) con la fotografia di Raymond Roussel stampata su una scacchiera oppure, dello stesso autore, la serigrafia Una poesia (1967). Sono state esposte anche due delle lapidi di Salvo (L’uomo che spaccò la statua di Dio, 1972 e Mangiarsi, 1971) che alludono alla memoria e che si pongono – con evidente narcisismo, comune a gran parte della sua opera – come monumenti in vita dell'artista in una sorta di “mitografia contemporanea”. Anche Guanto di Penone (1972) parte dall'artista stesso, e in particolare dalle mani e dalle impronte digitali che diventano protagoniste di una fotografia in grado di ricondurre a un'esatta identità, mentre Michelangelo Pistoletto (Pappagallo, 1962-71) gioca con le identità degli altri, cioè degli osservatori che, per osservare l'opera, non hanno altra scelta se non specchiarsi all'interno di essa. Come dichiarano i galleristi, tutti questi multipli più volte riprodotti sono resi unici, autonomi e preziosi grazie alla loro concezione, al pensiero dell'artista. Non potevano mancare alcuni lavori di Piero Gilardi negli spazi della galleria torinese che ne custodisce l'archivio e che vede tra i progetti in corso la realizzazione del catalogo generale. Da Sedilsasso del 1969 a Melograno del 2004, queste opere rappresentano l'adesione all'Arte Povera dell'artista di Torino e l'estensione fino a tempi recentissimi delle originarie riflessioni sull'artificialità, sempre più spiccata nel mondo contemporaneo.

Marta Santacatterina