Art e Dossier

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L'intenso Van Gogh di Schnabel al cinema

categoria: Eventi
3 January 2019

È al cinema dal 3 gennaio Van Gogh. Oltre l’eternità: splendido esercizio di stile, e non solo, di Julian Schnabel (1951), acclamato artista americano ed eccellente regista. Anche il cast è notevole, in primo luogo per il protagonista, Willelm Dafoe (1955), che per quest’intensa interpretazione ha vinto la Coppa Volpi alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia. È impressionante la sua somiglianza fisionomica, anche senza trucco, con Van Gogh, noto attraverso decine di autoritratti e fotografie. È un volto scavato, sofferto: ma si tratta solo, ci pare, di una fortunata coincidenza, dato che Dafoe è un attore amato da Schnabel, che lo aveva già chiamato ventidue anni fa a recitare nel suo primo film, Basquiat, anche se per un ruolo non primario. Ed è proprio da quel film che vogliamo partire: Basquiat ci piacque subito molto, per quel suo ritmo incalzante, la colonna sonora, gli attori – fra tutti un fantastico David Bowie che interpretava Andy Warhol, e poi Gary Holdman, Dennis Hopper, Jeffrey Wright, Benicio Del Toro e molti altri. Ci piacque per una cruda ma anche poetica rievocazione della New York trasgressiva degli anni Ottanta, con le sue sperimentazioni in ogni campo dell’arte e della musica, della Factory di Warhol ma anche di un mercato sempre più pressante, con figure di galleristi come Annina Nosei e Bruno Bischofberger. Il film uscì nel 1996, lo stesso anno in cui Schnabel s’impose in Italia con una mostra memorabile delel sue opere, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Nelle grandi sale dell’esposizione si girava ammirati di fronte ai piccoli disegni evocativi di Michelangelo, agli acrilici figurativi e alle grandi tele con applicazioni di maiolica e altro. Era chiara la raffinata, profonda cultura di Schnabel, che spazia dall’arte antica a quella delle avanguardie dell’Otto e Novecento. Che amasse Van Gogh, risultava chiaro nei primi fotogrammi del suo film su Jean-Michel Basquiat, quando un giovane critico richiamava all’attenzione del pubblico, per analogie, il mito dell’artista “maledetto”. Ma i tempi erano cambiati, e Schanbel si domandava già: “Quale artista non vorrebbe saltare sulla barca di Van Gogh? Per quanto terribile il viaggio possa essere, nessuno rinuncerebbe a intraprenderlo. L’idea del genio incompreso che si consuma sulla tela in una cantina è una favola deliziosamente insensata ed è grazie alla vita di Vincent che questo mito è schizzato in orbita. Doveva essere l’artista più moderno e invece non lo voleva nessuno. Proviamo così tanta vergogna per averlo trascurato che d’ora in poi la storia dell’arte sarà un risarcimento per averlo trascurato. Nessuno vuole appartenere a una generazione che ignora un altro Van Gogh”. Ormai il nome di Van Gogh è il più inflazionato nel panorama dell’arte moderna: il suo mito ha varcato i confini di ogni immaginazione, ma Schnabel con questo suo nuovo film va oltre la mera biografia, oltre la fama di artista ossessionato, e grazie alla sobria e intelligente sceneggiatura di Jean-Claude Carrière indaga piuttosto sulla genesi dell’atto creativo. Per Schnabel, artista lui stesso, è l’approccio che ci attendevamo, e che non fallisce, anche se qua e là il ritmo ci è parso un po’ lento. Ma poi la splendida fotografia di Benoît Delhomme, la raffinata colonna sonora di Tatiana Lisovskaya, nella quale predominano i suoni del pianoforte, a evocare i suoni che forse Van Gogh aveva in testa, la magistrale interpretazione di Dafoe e quella di Oscar Isaac nella parte di Gauguin (che ci fa immaginare un dialogo fra i due che ci è ignoto), rendono il film, appunto, non solo uno splendido esercizio di stile, ma anche un riuscito tentativo di calarsi nella pittura di Van Gogh oltre il mito dell’artista incompreso. Non è una biografia, ma la ricostruzione è attenta e attendibile, anche quando il film va oltre la realtà: le scene più interessanti sono forse quelle di un’immaginaria casa gialla di Arles, dei campi nei quali Van Gogh cammina per immergersi nella natura, ripreso con una cinepresa digitale a spalla. Interessante anche l’uso di lenti bifocali, che “sdoppiano” e diversificano in alcune scene la parte alta dell’inquadratura da quella inferiore. Da segnalare il modo in cui sono stati ricreati oltre cento dipinti di Van Gogh: li ha eseguiti una squadra di artisti, guidati dall’artista francese Edith Baudrand (molti li ha ritoccati Schnabel stesso). Quale sarà il prossimo artista su cui indagherà Schnabel? Ci piacerebbe fosse Mchelangelo, altro genio inflazionato, che Schnabel conosce e ama molto.

Gloria Fossi