Art e Dossier

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La cucina di Picasso, una mostra a Barcellona

categoria: Mostre
25 maggio – 30 settembre 2018

La cuina de Picasso

Barcellona, Spagna
Museu Picasso

Al Museu Picasso di Barcellona, nel cuore della città vecchia catalana, c’è una mostra fra le più curiose nell’ambito di “Picasso Méditerranée”, progetto che in Europa prosegue ancora fino al 2019. Picasso era nato a Malaga nel 1881, era andaluso e non catalano come spesso si legge. Tuttavia frequentò Barcellona giovanissimo, fra 1895 e 1903, prima di trasferirsi in via definitiva a Parigi. Tutte le sere Picasso andava a “Els Quatre gats”, il locale modernista di artisti e intellettuali all’angolo di Carrer de Montsió. La cucina non era un gran che, ma poco importava. Non si andava lì per questo. Picasso era il più giovane, ma disegnò il manifesto, il menu, e ritrasse il proprietario. Molti suoi disegni furono appesi alle pareti. È proprio dalla documentazione sugli anni di Barcellona che parte la rassegna “Picasso e la cucina”. Di fronte ai rapidi schizzi di avventori ai tavolini, baruffe fra ubriachi, cucine domestiche dipinte su minuscole tavolette, non ci si stupisce per il tratto sicuro di un Picasso poco più che adolescente. Si sa, lo diceva lui stesso: da bambino disegnava già come Raffaello. Ma poi la mostra prosegue e gli stupori non mancano: è un bene che le opere esposte (centottanta fra tele, sculture, disegni, incisioni, acquerelli, fotografie e filmati) non seguano la stretta successione cronologica ma siano disposte per temi: il cibo, la cucina, le privazioni della guerra, la fame, le metamorfosi di una lisca (vera) di sogliola in un pesce di ceramica, le opere ispirate a Velázquez e Manet; i versi surrealisti con cipolle e agli che parlano, nel poema scritto da Picasso nel 1941 e declamato nel ‘44 con Cocteau, Sartre e la de Beauvoir, in tempi di fame nera, nella Parigi occupata. Insomma un mondo che Picasso non smise mai di sognare e raffigurare, come sempre in modo proteiformi. Di fronte a opere tanto diverse nella forma riconosciamo un filo comune, seppure quasi impercettibile. In fondo lo diceva anche Agatha Christie: dall’infanzia all’adolescenza fino alla maturità sembriamo cambiare profondamente. Alla fine, ci si rende conto di essere ancora com’eravamo da bambini. Come dire, l’imprinting è uno solo. Da anziani tornano in mente le forme dell’infanzia. Ecco perché non c’è poi una gran differenza fra uno strepitoso disegno del 1914, quando Picasso aveva trentatre anni, e un acquerello del ‘57, quando ne aveva poco meno di ottanta. Quello del ’14 è una seppia disegnata e ritagliata su carta: occhi tondi, come atterriti, tentacoli che paiono i capelli ritti in testa di Medusa. Il secondo raffigura un’assiette di minuscoli tori fritti, appoggiati sul piatto, con le zampe per aria, come una frittura di gamberoni. Vicino, un’ampolla d’olio d’oliva e un bicchiere di vino di Valdepeñas. In basso, la dedica al torero Paco Muñoz. Si ride, si sorride. Si rimane, come al solito, ammirati e senza parole. Questo è Picasso.

Gloria Fossi