Ereditare la cultura: è mia o nostra? Il caso della Convenzione di Faro e della moschea di Ayasofya
La mattina del 24 luglio 2020 è stata un molto importante per la città di Istanbul e per tutta la Turchia, ma non solo. La basilica sconsacrata nota a tutti come Santa Sofia è tornata ad essere una moschea con un rito di preghiera pubblica, sotto il nome di Ayasofya; questo monumento era stato convertito a museo pubblico nel 1935 dal fondatore e primo presidente della Turchia, Mustafa Kemal Atatürk. Una scelta dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato turco e che rimetteva la decisione della possibile ri-conversione del sito al presidente Erdogan, che si è espresso favorevolmente in merito a questo cambio di destinazione.
Poco meno di due mesi dopo, in Italia viene ratificata dal Parlamento italiano la Convenzione di Faro, proposta dal Consiglio d’Europa nel 2005 e sottoscritta nel 2013.
La Convenzione si propone di legare in maniera più sostanziale il patrimonio culturale ai singoli individui e alle collettività, attraverso la definizione dell’eredità culturale, intesa come quell’insieme di risorse ereditate dal passato in cui l’individuo riconosce la sua identità e il suo sistema di valori. Questa visione porta in sé una volontà di insistere maggiormente su una sempre più ampia partecipazione attiva dei singoli alla vita culturale del proprio paese. L’intervento proposto abbatte il dualismo bene culturale/visitatore in virtù di una visione più compenetrata dei due elementi, ci fornisce dei preziosi diritti; insiste sul diritto alla partecipazione in quanto elemento che migliora qualitativamente la vita delle persone, ma ci procura anche dei doveri.
I cittadini hanno la responsabilità di proteggere, condividere e trasmettere la propria eredità personale, in accordo agli ideali di inclusività, democratizzazione e pacifismo.
Ma questo cos’ha a che vedere con la moschea di Ayasofya? L’ex Basilica di Santa Sofia è stata cattedrale cristiana di rito bizantino, ortodosso e cattolico, è stata moschea ma anche museo; in poche parole ha profondamente segnato la storia della cultura mediterranea. Il Consiglio d’Europa, di cui la Turchia fa parte, ha tra gli obiettivi quello di sviluppare un’identità europea basata su valori condivisi che trascendono le diversità culturali. Di nuovo obiettivi inclusivi, non esclusivi. In che modo questa decisione del presidente Erdogan si lega agli impegni che la Turchia dovrebbe assolvere verso l’Europa, nonché verso gli obiettivi UNESCO, in cui la ex basilica è iscritta dal 1985? L’esperienza turca può insegnare all’Italia che la Convenzione di Faro è un passo avanti importante, ma solo se verrà resa davvero operativa. Laddove si decidesse, nella lettura di un appassionante romanzo, di leggere solo le battute del nostro personaggio preferito, cosa ne sarebbe della complessità della trama? In che modo il nostro personaggio preferito definisce sé stesso se non nel rapporto con gli altri attori e nel raccontare a chi legge di come ha affrontato le sfide del mondo e della storia?
Il modo migliore per innalzare la propria cultura non è quello di nascondere la voce del prossimo, ma aprirsi anche ad altre narrazioni. Perché una storia non raccontata e una partecipazione non raccolta non impoveriscono solo chi subisce tale censura, ma tutti.
Lorenza D’Urbano