Arte, moda e la voce del diavolo nel nuovo libro di Fabriano Fabbri
Fabriano Fabbri
La voce del diavolo. L’arte contemporanea e la moda
Giulio Einaudi editore, Torino 2024
pp. X - 462
€ 44
Fabriano Fabbri, docente di Stili e arti del contemporaneo, Forme della moda contemporanea e Contemporary fashion all'Università di Bologna, torna a sondare l’inscindibile legame fra arte e moda nel recente volume pubblicato da Giulio Einaudi editore. Dopo la coppia di libri dedicati al binomio arte-stile da Worth agli anni Cinquanta e poi dagli anni Sessanta alle ultime tendenze, Fabbri usa “la voce del diavolo” come bussola (e barometro) per guidare i lettori nella temperie culturale della contemporaneità, all’indomani della fine di un’era, quella moderna, siglata, come insegnano i manuali, dalla Rivoluzione francese. “La distinzione tra le forme della modernità e le forme del contemporaneo” è un elemento da tenere ben a mente quando si sceglie di avventurarsi alla scoperta dell’“amplesso mai interrotto fra gli artisti e gli stilisti del nostro tempo” e Fabbri lo chiarisce sin dall’introduzione, affermando: “Prospettiva e crinolina sono entità inseparabili per nascita e per sviluppo temporale. Là dove nasce e muore l’una, comincia e decade la sorte dell’altra”. Se, dunque, la prospettiva rinascimentale “costringe la moda femminile a serrarsi in una silhouette molto definita, sfociata nell’uso del corpetto e in una figura sempre più sottile nella parte superiore”, che cosa succede quando l’età contemporanea mette in dubbio e poi scompagina questi “modelli di costruzione”? Prendendo le mosse dal tardo Barocco e Rococò, il saggio tiene traccia delle emersioni (e degli inevitabili inabissamenti) delle “energie del profondo”, come le qualifica l’autore ‒ la voce del diavolo che sintetizza “la sfera degli istinti”, “i trambusti della psiche”, un “qui e ora” denso e caotico in grado di eludere le sbarre della gabbia prospettica ‒, cercandole nei gesti degli artisti e nei tagli delle stoffe tratteggiati dai couturier.
Il corpo a corpo con la prospettiva è serrato fino alla comparsa sulla scena delle Avanguardie del primo Novecento: la triade Füssli, Goya, Blake, chiamando in causa “gli spettri del profondo” e i gorghi di energie determinati dallo schiudersi di nuove scoperte scientifiche – l’elettromagnetismo solletica la curiosità degli artisti nella cornice tecnomorfica teorizzata da Renato Barilli ‒, getta i semi del futuro immaginario condiviso da Thierry Mugler, Alexander McQueen, Balenciaga, Yamamoto, Comme des Garçons. Il punto di fuga e la crinolina restano il muro da sfondare per lasciar esplodere l’“insofferenza verso la gabbia della prospettiva, fino a cancellarla senza pietà”. Il percorso di avvicinamento è inesorabile, ritmato da balzi in avanti e movimenti all’indietro, mentre le istanze neoclassiche, realiste e impressioniste salgono via via alla ribalta, trovando corrispondenze nella moda, attraversata da pari fremiti di insofferenza e da rassicuranti ondate di ritorno all’inscatolamento prospettico. Con Cézanne la prospettiva deraglia visibilmente, aprendo la strada agli -ismi di inizio Novecento anticipati dalle spinte di Gauguin, Munch, Matisse. Da questo momento in poi, la voce del diavolo diventa un suono con cui fare i conti quotidianamente, di pari passo con la deflagrazione del figurativo e con l’avanzare di una tecnologia che non è più soltanto “macchina”, ma spina dorsale dell’“era elettrico-elettronica” destinata a riversarsi nel digitale. Mettendo in fila i decenni, Fabbri stringe in mano le redini di un discorso articolato, nel quale confluiscono innumerevoli riferimenti al cinema, alla musica, alla sociologia, intrecciando così una ragnatela di rimandi – a volte spiazzanti – che esige, da parte dei lettori, il ricorso a un’attenzione sempre vigile e a una fornitissima cassetta di attrezzi storico-artistici.
Dalla Metafisica al Surrealismo, dall’Informale alle icone pop, dal Minimalismo alla Body Art sino alla contingenza dell’oggi, Fabbri lascia parlare la voce del diavolo, la ascolta, la insegue nel suo affondare e riemergere, dando la priorità agli artisti senza tuttavia dimenticare l’altro polo del discorso, la moda e chi ne ha stabilito le sorti.
Il discorso, però, resta necessariamente aperto. “Abbiamo percorso due secoli e mezzo di storia dell’arte nei suoi momenti di incontro con l’armadio del contemporaneo, nell’entusiasmo di commuoverci per protagonisti che con le loro opere rendono il mondo un posto migliore, e in un’avventura non certo completa e meno ancora conclusa”, scrive l’autore nell’ultima pagina del suo saggio, augurandosi che “la trama proceda […] purché il potere dell’immaginazione […] continui a spezzare il nulla dei populismi e dei conformismi”.
Arianna Testino