Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana a Venezia
Quando si pensa a Lucio Fontana, l'immagine è sempre quella: tele monocrome squarciate da tagli netti, gesti radicali che hanno ridefinito i confini tra pittura e spazio. Ma c'è un'altra storia. Meno nota, altrettanto rivoluzionaria. Quella che prende forma tra le mani, nella morbidezza dell'argilla, nel calore dei forni. Ed è questa storia che la Collezione Peggy Guggenheim porta alla luce con Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana, prima mostra museale mai dedicata interamente alla produzione ceramica dell'artista italo-argentino. Oltre settanta opere – molte mai esposte prima – rivelano l'artigiano-poeta che impasta la creta, la modella, la cuoce, la trasforma. Un artista profondamente tattile, capace di dialogare con la materia in modo quasi carnale. Figure mitiche e marine, arlecchini e guerrieri, sculture astratte e fregi architettonici. Tra pezzi unici e produzioni seriali, il percorso illumina la "seconda anima" dell'artista.
La ceramica non è stata per Fontana un capriccio giovanile. È stata una costante. Filo rosso che attraversa l'intera carriera. Inizia negli anni Venti in Argentina, nello studio del padre scultore. Prosegue per decenni, attraversando contesti radicalmente diversi: l'Italia fascista degli anni Trenta, il ritorno in Argentina durante la guerra, l'Italia del dopoguerra e del miracolo economico.
Curata da Sharon Hecker, Mani-Fattura illumina anche la dimensione collaborativa. Fontana non lavorava in solitudine. Intesseva relazioni profonde con artigiani, ceramisti, designer. Spicca Tullio d'Albisola, ceramista e poeta futurista. E la manifattura Mazzotti di Albisola, dove Fontana trascorreva lunghi periodi, sperimentando tecniche e forme insieme agli artigiani locali.
Vedere Fontana attraverso le ceramiche significa guardarlo con occhi nuovi. Scoprire un artista meno concettuale, più sensuale. Meno cerebrale, più istintivo. Che non temeva di sporcarsi le mani, confrontarsi con la resistenza della materia, l'imprevedibilità del fuoco. Le ceramiche restituiscono un Fontana più informale, giocoso, ma anche più radicato nella tradizione. Perché se i tagli guardano al futuro, le ceramiche parlano anche del passato. Di una tradizione millenaria che Fontana conosceva bene. E che ha saputo reinventare.
Lucia Antista

