Visioni contemporanee
Vertigo - Video Scenarios of Rapid Changes - Le mutazioni della società in videoarte
Difficile oggi ritenere il fermarsi e il soffermarsi come parti integranti di comportamenti largamente condivisi o auspicati. L’accelerazione iniziata con l’ormai storica rivoluzione industriale e proseguita con la trasformazione delle società in organismi sempre più complessi, sofisticati, caratterizzati da costanti e veloci cambiamenti, non contempla la possibilità di rallentare. Una condizione amplificata, anche, dalla esuberanza di informazioni a cui ogni giorno siamo esposti e che siamo chiamati a elaborare. Un quotidiano attraversato dalle tecnologie, l’Intelligenza Artificiale l’ultima nata, rispetto alle quali l’uso consapevole, la conoscenza di opportunità e limiti ci consentono di mantenere viva la nostra capacità di discernimento, pensiero, memoria.
Fare i conti con tutto questo è necessario per non sentirsi sopraffatti, frastornati e per non alimentare false sicurezze. Per non sentirsi in bilico, per non avere o almeno per limitare quel senso di capogiro che ci fa perdere chiarezza e che contribuisce a rafforzare una situazione, già di per sé inevitabile, di incertezza e instabilità. Circostanze familiari, probabilmente a tutti noi, messe letteralmente a fuoco nella mostra Vertigo - Video Scenarios of Rapid Changes - Le mutazioni della società in videoarte in corso alla Fondazione MAST di Bologna fino al 30 giugno. Il percorso espositivo, a cura di Urs Stahel, con trentaquattro opere video di ventinove artisti internazionali è suddiviso in sei sezioni tematiche – “Lavoro e processi produttivi”, “Commercio e traffici”, “Nuovi comportamenti”, “Comunicazione”, “Ambiente naturale”, “Contratto sociale” – e rappresenta nell’insieme un racconto corale, fortemente interrelato.
Per immergersi in modo completo nelle singole opere video, di diversa durata, merita non tralasciare la parte sonora, fruibile con cellulare e cuffie, inquadrando il QR code posto accanto a ciascuna installazione. Nella prima sala la visione che ci appare davanti agli occhi è scandita da azioni ripetitive, quasi “impersonali” (la presenza umana è rara e marginale), eseguite in due porti commerciali degli Stati Uniti (Los Angeles e Long Beach). In primo piano container, casse e il processo di carico e scarico delle merci. Una specie di orchestra industriale globale, accompagnata da una sorta di “rumore bianco”, calmante e meditativo, e diretta con una sinergia e una precisione così marcate da provocare un effetto ipnotico (Kaya & Blank, Intermodal, 2023).
Proseguendo, la scena che colpisce la nostra attenzione è un ambiente di una vecchia fabbrica abbandonata, fatiscente dove sono rimaste le tracce di un tempo passato. Un luogo ricreato da Chen Chieh-jen per girare il video Friend Watan (2013) nel quale il protagonista, Watan Uma, amico del regista, si muove tra le rovine con lentezza, osservando, ispezionando, toccando oggetti che gli ricordano esperienze da lui realmente vissute: a fine anni Novanta ha lasciato l’occupazione in uno stabilimento per dedicarsi all’arte. A interrompere l’atmosfera di sospensione e immobilità le parole pronunciate da Uma quali «legge, fuga, soffocamento, ansia, virus, efficienza, standard, polvere, corrosione», sufficientemente eloquenti per immaginare le possibili condizioni professionali.
In Tea Tiime di Ali Kazma (2017) – girato in un’azienda turca che realizza quotidianamente un milione di pezzi in vetro, tra cui trecentomila bicchieri da tè – ci troviamo di fronte a una spettacolarizzazione del lavoro: luci, colori dominati dal rosso e giallo ci introducono nel processo produttivo, automatizzato, rapido, sillabato da un ritmo incessante, a tratti inquietante, in un “paesaggio” che sembra farci sprofondare negli strati più profondi della terra.
Con Nina Fischer & Maroan el Sani (The Rise, 2017) è Zuidas – una città a sud di Amsterdam, recentemente fondata e che dovrebbe essere ultimata nel 2030 – il contesto nel quale un imponente palazzo, dall’architettura anonima con grandi vetrate e in apparenza disabitato, diventa il palcoscenico ideale per la scalata al successo. Un giovane manager compie una vera e propria arrampicata piano dopo piano con l’illusione di arrivare sempre più in alto. A che prezzo però? Per la rincorsa spasmodica verso il proprio obiettivo, il protagonista ha il volto stremato, stordito, gli occhi persi nel vuoto, un’identità che sembra privata del proprio nucleo originario. Ma non c’è tempo per riflettere o per sostare. La meta è il potere e il dominio che, però, si scopre alla fine essere stati raggiunti da qualcun altro. In sottofondo, talvolta, voci, lamenti, apparizioni di umani dai vetri, come fantasmi, rendono l’intero scenario ancora più ingannevole e desolante.
Esempi di una narrazione visiva che ci spingono a fermarci, a soffermarci per nutrire la nostra esperienza, per prenderci cura del nostro sguardo.
Giovanna Ferri