Bice Lazzari. La grammatica segreta della pittura
Bice Lazzari. I linguaggi del suo tempo
Bice Lazzari praticava l'arte come sottrazione, un lento andare verso ciò che resta quando il superfluo tace.
Nata a Venezia, si formò all'Accademia osservando non la città monumentale ma i suoi riflessi e silenzi. Dalle prime tele figurative – paesaggi lagunari, nature morte – passò alle arti applicate, tessuti e decorazioni commissionate da Gio Ponti: esperienze considerate "minori", in realtà campi dove il segno cominciava a liberarsi dal racconto. Negli anni Trenta si trasferì a Roma, collaborando con architetti e partecipando a committenze pubbliche, costruendo nel frattempo un linguaggio sotterraneo. Dopo la guerra arrivò la svolta: materia asciutta, colori radi, sabbia, colla, gesso. Opere come Racconto LS2, acquisito dai Musei Vaticani, dove il segno diventa tempo e respiro.
Ci è voluto tempo, e una nuova attenzione alle artiste escluse dal canone, perché il suo nome tornasse a circolare. Oggi le sue tele sono conservate alla Guggenheim di New York, alla Phillips Collection di Washington, a Ca’ Pesaro a Venezia.
Riunire oggi a Palazzo Citterio a Milano oltre 110 opere di Beatrice Lazzari significa attraversare sessant’anni di ricerca, un percorso che si muove dall’ornato veneziano fino alle ultime tele attraversate da grafite e silenzio. Il percorso espositivo non si limita a ordinare cronologicamente i lavori: mette in tensione le fasi diverse della sua ricerca, facendo emergere continuità inattese. Si passa dalle tele figurative degli anni Venti e Trenta, ancora legate alla luce lagunare, ai disegni di stoffe. Seguono i lavori realizzati a Roma per l’architettura e per grandi committenze pubbliche, testimonianza di una capacità di muoversi fra arte e decorazione senza mai disperdere la propria identità. Le sale centrali sono dedicate agli anni Cinquanta e Sessanta, quando il segno diventa narrazione astratta, vibrazione che scivola sulla tela con misura quasi musicale. L’ultima parte del percorso mostra la radicalità del tardo periodo: linee sottili su fondi bianchi, grafite che scandisce il vuoto, una grammatica visiva che vive di pause e ripetizioni minime.
Lucia Antista