Art e Dossier

Femminile e femminista: la prima mostra di Louise Nevelson a Bologna

categoria: Mostre
30 maggio – 20 luglio 2025

Louise Nevelson

Le porte di palazzo Fava di Bologna si aprono sulla ricerca di Louise Nevelson (Kiev 1899-New York 1988) le cui opere, per la prima volta a Bologna, trovano spazio nelle splendide sale affrescate da Ludovico, Annibale e Agostino Carracci a fine Cinquecento. L’occasione celebra i 120 anni dal trasferimento dell’artista dall’Ucraina, per sfuggire al clima persecutorio contro gli ebrei diffuso all’epoca in quel paese, agli Stati Uniti, dove la giovane poté sia emanciparsi come donna sia conquistare il successo come artista. Le sue grandi sculture monocrome nere, bianche e oro assemblate con materiali di recupero entrarono infatti già negli anni Cinquanta nelle collezioni di prestigiosi musei americani, tra cui il MoMA a New York; inoltre nel 1962 le opere di Nevelson furono scelte per il padiglione statunitense della Biennale di Venezia e nel 1967 il Whitney Museum, sempre a New York, organizzò una sua prima vasta retrospettiva.

Della “Grande dame della scultura contemporanea”, nelle cinque sale del piano nobile di Palazzo Fava si espongono ora le iconiche sculture in legno dipinto appartenenti a diversi cicli prodotti dagli anni Cinquanta agli Ottanta. Grazie alla cura di Ilaria Bernardi il percorso espositivo suddivide le opere per tipologie tematico-strutturali ricorrenti, così da fornire al visitatore il vocabolario di base per leggere il lavoro della Nevelson la quale, nel corso della sua carriera, ha anticipato il tema della memoria opponendosi alle convenzioni tradizionalmente imposte alla donna del suo tempo, precorrendo l’attuale questione della condizione femminile. I visitatori possono quindi incontrare le monumentali sculture autoportanti, simili a enormi librerie che celano al loro interno oggetti di varia natura; le cosiddette “porte” in legno dipinto di nero, sospese a parete e realizzate nel 1976 “incastonando” alle assi di vere e proprie porte parti di oggetti aggettanti, tra cui sedute, schienali, gambe di sedie; un ulteriore nucleo è costituito da assemblaggi di elementi tipografici con i loro titoli evocativi di paesaggi naturali o artificiali. Non mancano i collage e gli assemblage a parete - per i quali l’artista utilizzò diversi materiali come legno grezzo, metallo, cartone, carta vetrata, pellicola di alluminio – e delle acqueforti inedite nel 1953, affiancate ad altrettanto inedite serigrafie del 1975. A completare il percorso viene proiettata una video-intervista del 1978 in cui Louise Nevelson racconta il suo progetto della Chapel of the Good Shepherd, a New York che segna il passaggio alla “trasfigurazione alchemica” dal nero del piombo allo scintillio dell’oro.

Nel 1971 Germano Celant definiva il lavoro di Louise Nevelson “femminile e ‘femminista’” in quando, concentrandosi su di sé, come essere autonomo dall’uomo, è giunta all’autoaffermazione in una cultura maschile. Oggi la curatrice Ilaria Bernardi rimarca: “Louise Nevelson ripropone nel suo lavoro un’analisi femminista della diseguaglianza di genere, producendo un’arte autenticamente femminile”.

Marta Santacatterina