Art e Dossier

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Fumetto: intervista a Claudio Calia

categoria: Eventi
22 settembre 2020

LE NUVOLETTE DI CALIA TRA REALTA` E POESIA

All'inizio dell’anno era diffuso nella città di Padova e nei principali mezzi di comunicazione il manifesto dell’evento Padova capitale europea del volontariato 2020. L’opera è di Claudio Calia, autore di fumetti editi da BeccoGiallo, pubblicati anche nella rivista “Linus”, perlopiù incentrati su temi politici e sociali. Tra questi Porto Marghera. La legge non è uguale per tutti, dove il disegnatore ha raccontato la storia dell’industria petrolchimica e del suo impatto sulla popolazione e l’ambiente, oppure Kurdistan: dispacci dal fronte iracheno, nel quale è illustrata una realtà quotidiana del Medio Oriente che difficilmente trova spazio nei media nazionali. Di recente Claudio ha anche realizzato una campagna di prevenzione in più lingue (inglese, francese, arabo, somalo) contro il coronavirus in Tunisia, Iraq e Somalia sempre a fumetti. 

L’abbiamo intervistato per approfondire il suo percorso professionale e formativo. 

Come è nata l’esperienza in Tunisia, Iraq e Somalia?
Con Cefa Onlus e Overseas Onlus avevo già fatto alcuni laboratori di fumetto in Marocco e Tunisia per il progetto Jasmin Tunisie che organizza varie attività culturali con i giovani di zone periferiche al fine di contrastare l’emergere di fenomeni di radicalismo religioso. Allo scoppio della pandemia, abbiamo pensato di fare qualcosa di utile in Tunisia, un paese con un sistema sanitario precario, e quindi abbiamo deciso di utilizzare il fumetto per diffondere le informazioni utili per arginare il contagio da covid-19, pensando anche alle zone rurali dove c’è pure un alto tasso di analfabetismo. Abbiamo poi deciso di estendere il progetto alla Somalia dove opera Cefa. 

Qual è stato l’impatto di questo linguaggio sui partecipanti e che potenzialità vi hanno visto pur non avendo un’industria locale di fumetto?
Nei miei laboratori uso il fumetto come “linguaggio sociale” per stimolare un confronto tra persone di origini diverse, mettendo ognuno di fronte alla realtà dell’altro, accanto a un più tradizionale percorso “professionalizzante”. In Iraq il fumetto ha convinto così tanto come linguaggio che, precedentemente al covid, era già in programma un primo festival internazionale di fumetto a Suleimania. Mentre in Tunisia, l’ultimo laboratorio è stato fatto in un campus universitario e ha portato alla creazione di un gruppo di studio permanente sul fumetto. 

Qual è stata invece la tua formazione di autore? 
Ho frequentato il liceo artistico e contemporaneamente un corso di fumetto condotto da Omar Martini e Massimo Perissinotto. Poi la mia vita mi ha portato a fare certe scelte culturali, sociali e politiche e, semplicemente, il fumetto è stato il linguaggio che mi è rimasto attaccato addosso: sono stato in Serbia, a un anno dalla fine dei bombardamenti “umanitari” e non potevo che raccontarlo a fumetti, idem per il G8 di Genova. Oggi, se devo sostenere una causa come quella di Mediterranea Saving Humans, dal punto di vista pubblico mi esprimo con i miei scarabocchi. 

Non solo usi il fumetto per raccontare temi politici ma lo contamini con altri linguaggi, come la poesia. 
Il rapporto con la poesia invece nasce dall’amicizia con il poeta Lello Voce, alfiere della poesia sonora con cui ho realizzato Piccola cucina cannibale, opera poetica a fumetti e musicale (con l’apporto di Frank Nemola), che ci ha valso il premio Napoli 2012 per la categoria “ibridi letterari”.

Quali potenzialità inespresse vedi nel linguaggio del fumetto? 
In generale il fronte del linguaggio rimane ancora abbastanza inesplorato. Mi rifiuto di credere che ci siano linguaggi che possano essere dedicati esclusivamente a raccontarci favole – con tutto il rispetto per le favole –, come si pensa spesso per il fumetto. 

Oggi abbiamo un’enorme offerta di libri a fumetti da parte di tutti gli editori, ma abbiamo la domanda dei lettori?
Se pensiamo al tipico “lettore di fumetti” direi di no, sono qualche migliaia in tutta Italia, suddivisi in nicchie impermeabili tra loro e spesso privi di curiosità. Se per “lettori” intendiamo i lettori di libri invece la situazione già cambia ed è là che secondo me c’è del lavoro interessante da fare. Se qualcosa è cambiato rispetto anche solo a dieci anni fa è che ci sono più persone disponibili a leggere un fumetto su un qualche tema che gli interessi. Per cui alla fine io sono fiducioso: se riusciamo a far percepire sempre di più ai lettori “normali” che sono là fuori che i fumetti possono emozionare, coinvolgere,raccontare come (e più, dico io) di altri linguaggi, se rinunciamo a inseguire sempre le stesse persone e sempre gli stessi gusti, io credo che il fumetto potrebbe attestarsi come alternativa saltuaria al libro “scritto” per un pubblico sempre più vasto.

Intervista di Sergio Rossi