Art e Dossier

Giovanni Carrada: il racconto del patrimonio culturale

categoria: Cataloghi e libri
18 febbraio 2025

Giovanni Carrada, Perché non parli? Come raccontare il patrimonio culturale

Johan & Levi, Monza 2025
pp. 206
€ 21

Perché non parli? È la domanda che Giovanni Carrada, guidato dal famoso quesito rivolto da Michelangelo al suo Mosè, pone al patrimonio culturale, mettendo in fila una serie di risposte nel saggio omonimo recentemente pubblicato da Johan & Levi. Se la domanda michelangiolesca ha le fattezze di una leggenda, quella formulata dall’autore del volume – curatore di progetti di divulgazione scientifica impegnato da anni nella valorizzazione di ciò che il nostro Paese possiede in termini storici, artistici, archeologici e industriali ‒ affonda le radici nella concretezza della realtà. Interrogarsi sulla comunicazione – o sulla sua assenza – fra il patrimonio culturale e chi ha la possibilità di fruirne è una questione imprescindibile sia per gli addetti ai lavori sia, appunto, per il pubblico. Ed è proprio quest’ultimo il fulcro dei ragionamenti di Carrada fra le pagine di un libro che rifiuta i paradigmi accademici e abbraccia un linguaggio asciutto e un periodare snello, capace di tenere viva l’attenzione di lettori non specializzati. Del resto, come sottolinea nella prefazione James M. Bradburne – ex direttore della Pinacoteca di Brera a Milano –, “questo libro è un invito all’azione” ed è “eccezionalmente utile”. Utile a tenere accesi i riflettori sulla necessità di rendere collezioni, musei, istituzioni degli organismi in grado di parlare a chi decide di varcare le loro soglie e di destinare a essi una – preziosa – porzione di tempo libero. 

Ricorrendo a esempi tangibili, Carrada prende in esame un mestiere complesso e fondamentale: interpretare il patrimonio culturale, cioè “connettere gli oggetti e i luoghi con le persone in visita. Regalare loro nuove conoscenze e curiosità. Suscitare emozioni, immaginazione e ispirazione. Far venire voglia di vedere, sapere e godere di più”, scrive l’autore nei paragrafi introduttivi. 

Lontano dalle velleità del prontuario, il saggio di Carrada offre una miniera di suggerimenti a chi maneggia ogni giorno i meccanismi dell’interpretazione per definire i contorni dell’esperienza di visita. Se conoscere gli oggetti presenti in una raccolta è il terreno su cui imprimere i passi successivi, selezionare quegli stessi oggetti indovinando quali possano dare forma a una narrazione avvincente, che stuzzichi e mantenga viva la curiosità del pubblico durante l’intera visita, non è un’impresa da poco. Per ottenere un risultato soddisfacente – e che soddisfi quanti ne fanno esperienza – è necessario mettere da parte l’urgenza di sfoggiare le proprie competenze e di includere il maggior numero di informazioni, preferendo invece dare ascolto ai bisogni di un pubblico eterogeneo, ma accomunato dalla tendenza a imparare ciò che si desidera imparare e da movimenti mentali che evocano la Legge di Pareto. “La Legge di Pareto”, spiega Carrada, “ci dice che la mente del visitatore coglierà, capirà e si emozionerà molto di più per alcune cose (ma non molte) piuttosto che per la maggioranza”. “L’arte dell’interpretazione”, dunque, “è innanzitutto e in larga misura l’arte di identificare queste poche cose e di usarle nel migliore dei modi”. Ricordando che “insegnare e interpretare sono due cose diversissime”, si iniziano a comprendere le ragioni per cui un museo come M9, il Museo del Novecento a Mestre, non ha raggiunto l’obiettivo di farsi capire dal suo pubblico – nonostante sia nato per parlare anziché per conservare ‒, mentre la Pinacoteca di Brera durante la gestione Bradburne ha puntato a “valorizzare la collezione permanente e a radicarsi nella comunità locale, cercando di trasformare i visitatori (che vengono una volta soltanto) in frequentatori (che tornano più e più volte)”. Come? Elaborando modalità interpretative e soluzioni pratiche per accoglierli, farli restare e farli tornare – dalla BreraCard alle sedie trasportabili. 

Il lavoro interpretativo tratteggiato da Carrada deve tenere conto di una miriade di fattori e stabilire un equilibrio funzionale tra oggetto e fruizione, sottraendo spazio e potere agli elementi che rischiano di minare tale armonia. Creare un contesto efficace per gli oggetti selezionati, “scegliere il giusto livello di complessità”, disegnare un percorso fatto di concatenazioni o, all’opposto, di cambiamenti, nell’ottica di alimentare l’interesse dei visitatori sono solo alcuni dei compiti di un buon interprete del patrimonio, rammentando, come sottolinea Carrada, che si impara frequentando tante mostre e tanti musei in Paesi diversi, “si impara dalle esposizioni fatte bene e da quelle fatte male […], si impara riconoscendo le proprie reazioni e quelle degli altri visitatori. Si impara immaginando in che modo l’avremmo fatto noi. In ogni visita, potremmo scoprire spunti e soluzioni da riutilizzare, un giorno, per risolvere i nostri problemi”.

Arianna Testino