La poèsie de la Rèsistance: Jan Fabre a Milano
Proprio nei giorni in cui si vedevano mani alzate nelle piazze e in mare, segno di resistenza non violenta, anche in teatro due partigiani dell’arte, gli straordinari attori Annabelle Chambon e Cédric Charron, cantavano un pacifico inno di protesta in nome della libertà, della dignità e del diritto.
Come spesso accade, la grande arte anticipa e precorre il tempo, pre-sente la realtà che sta per accadere. Jan Fabre, rabdomante poetico e genio visionario, scriveva un anno fa il testo della pièce “La poèsie de la Rèsistance”, che ha aperto il festival dedicato alla sua arte teatrale al teatro Out off di Milano (dal 3 al 30 ottobre).
Ispirato alla poesia Libertà di Paul Eluard e al pamphlet Indignatevi di Stéphane Hessel, il testo procede con un ritmo scandito, senza cedimenti. Tutto lo spettacolo resta sapientemente in uno spazio intermedio, non va mai oltre ma dice senza mezzi termini.
Come un sabotaggio pacifico, come una disobbedienza civile.
Precise e affilate, le brevi frasi del componimento sfilano scandite dalla ripetizione anaforica del verso “tatuiamo il tuo nome”, sulle varie parti del corpo descritte con precisione erotica dai due performer. Quale sia il nome viene svelato solo alla fine, quando in un magnifico coup de théâtre dai toni punk, Chambon si sbottona la camicia mostrando la scritta “Libertè”, tatuata sul petto.
Questo escamotage poetico viene proprio dalla intensa poesia di Eluard, dove la ripetizione ossessiva “scrivo il tuo nome” lascerebbe presupporre che sarà il nome dell’amata ad essere rivelato. Solo l’ultimo verso svela la vera dedica, presente in realtà già nel titolo: “Libertè”.
Questa scrittura circolare fondata sulla ripetizione è anche una cifra stilistica cara a Fabre, che però in questo nuovo spettacolo aggiunge una dimensione temporale profondamente autobiografica. Passato, presente e futuro si innestano magistralmente: “Ci vuole tutta una vita per diventare un giovane artista”, fa dire ai due attori, che sono parte della sua compagnia Troubleyn da 25 anni e a cui lo spettacolo è dedicato.
Sul palco, si sente il Fabre degli esordi, radicale e rock’n’roll, ma arriva chiara anche la maturità dell’artista che si spoglia con intelligenza e si proietta nel futuro, appellandosi a chi prenderà il testimone dell’arte e della creatività. Ieri, oggi e domani, sempre senza compromessi.
Non è un caso che la prima mondiale di questo spettacolo sia andata in scena al teatro Outoff, storico luogo di sperimentazione teatrale che, dopo il successo dell’edizione 2024, ospita la seconda edizione del festival Fabre, dal titolo “Jan Fabre e Mino Bertoldo: 40 anni di poesia della resistenza”. Era il 1985 quando il direttore Mino Bertoldo invitò un giovane Fabre a presentare Il potere della follia teatrale nella rassegna Sussurri o grida; poi nel 1987 la partecipazione al simposio Teatro e Comunicazione e nel 2004 la rappresentazione di The Crying Body. Un’amicizia e un sodalizio artistico, quelli tra l’artista fiammingo e il direttore del teatro, che arrivano fino ad oggi: nel 2023 il teatro milanese ha ospitato la performance di otto ore Peak Mytikas (On the Top of Mount Olympus).
Il Festival Fabre 2025 vede ben sei spettacoli di cui due prime mondiali: La Poésie de la Résistance (in apertura della rassegna) e Una tribù, ecco quello che sono con Irene Urciuoli (10, 11 e 22 ottobre); tornano poi in scena I Believe in the Legend of Love con Ivana Jozić (17 e 18 ottobre) e Io sono un errore ancora con Urciuoli (24 e 25 ottobre). Il programma include anche due spettacoli ispirati ad alcuni testi di Fabre: Il re del plagio, adattato da Roberto Trifirò (14 e 15 ottobre), e Giornale notturno (1978–2012) con Carolina Migli Bateson ed Edoardo Callegari (29 e 30 ottobre).
Eventi speciali sono poi le sessioni laboratoriali del Jan Fabre Teaching Group all’interno degli spazi dell’OutOff: dal 30 settembre all’8 ottobre la prima masterclass tenuta da Chambon e Charron con una numerosa partecipazione di giovani attori e performer; dal 20 al 28 ottobre la seconda classe con Irene Urciuoli. In questi preziosi laboratori ci si può avvicinare al metodo attoriale di Fabre, con esercizi in cui il corpo è fondamentale strumento di esplorazione, conoscenza e sperimentazione.
È doveroso ricordare che le linee guida del “physiological acting” di Jan Fabre sono contenute nell’interessante manuale “Dall'azione alla recitazione. Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo” edito in italiano da Franco Angeli nel 2023 e oggi tradotto e pubblicato in 10 lingue.
L’Outoff di Mino Bertoldo, direttore visionario e profondamente dedito all’anarchia dell’arte, si conferma uno dei pochi spazi di resistenza creativa, dove gli artisti possono ancora esercitare un’autentica libertà di azione e pensiero.
«Creare è resistere.
Resistere è creare».
É questo il motto dell’organizzazione artistica clandestina formata dai due guerrieri di Fabre sul palco milanese, che trasformano la violenza dei colpi che ricevono in bellezza.
Muoiono e risorgono sette volte, danzando trivellati da proiettili di cui descrivono l’origine con scrupolosa curiosità artistica: revolver Smith & Wesson 500, 44 Magnum, Colt Python, Kalshnikov…
In una scena magicamente scarna, dove il palco è cosparso solo di palloncini ancorati a terra da leggere catenelle, tutto è affidato alla forza espressiva degli attori. Annabelle Chambon riesce a fare completamente suo il testo, con sensualità selvaggia seppur in un impeccabile tailleur e tacchi a spillo, muovendo con potente precisione ogni centimetro del suo corpo. Cedric Chambon sembra un Ecco Homo rinascimentale, nudo e cosparso di sangue, muovendosi appena recita con magnetica intensità frasi e gesti che brillano nell’oscurità della violenza. Lei il corpo reale, lui il corpo re-incarnato.
Il pubblico è ipnotizzato dalla potenza delle parole e dei movimenti e, come in ogni slancio rivoluzionario, si identifica e prende sempre più coraggio, fino all’esplosione esaltante di un finale che libera un’energia collettiva, in perfetto stile Fabre.
Le parole tagliano e ricuciono, incendiano e smorzano, avvicinando a poco a poco il pubblico alla consapevolezza eccitante che possiamo unirci alla lotta senza odio, affinché non venga mai imposto il silenzio dell’immaginazione e della creatività.
Jan Fabre si conferma così ancora una volta cavaliere dell’arte, con una poesia d’amore per la vita e per la libertà erotica del corpo pensante.
Melania Rossi