Art e Dossier

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Buon compleanno Picasso!

categoria: Eventi
25 October 2023

I musei di tutto il mondo stanno celebrando il cinquantenario della morte di Pablo Picasso, ma anche il 25 ottobre è un giorno speciale: è l’anniversario della sua nascita, festeggiato dai sette musei a lui interamente dedicati in Francia e in Spagna. Anche artedossier.it lo festeggia proponendo un brano dal secondo capitolo del libro appena uscito di Gloria Fossi, Picasso. Fuori dagli schemi, che sarà presentato alla Fondazione Ragghianti di Lucca il 22 novembre prossimo, da Mauro Bolpagni, Claudio Pizzorusso, Alessandro Tosi.

Malaga, 25 ottobre 1881

“Una prorompente vitalità caratterizza la personalità di Picasso, verrebbe da dire, sin dalla sua nascita. In una casa di Malaga, in Andalusia, la sera del 25 ottobre del 1881, dopo istanti di silenzio inquietante, un neonato creduto morto emette un urlo acuto, pare dopo aver respirato il fumo di un sigaro che aleggia nella stanza. Dunque Pablo, il primogenito di José Ruiz y Blasco e María Picasso y Lopez è vivo e si fa sentire. Giubilo fra i presenti: il padre, la madre, e lo zio col sigaro (segno premonitore? Picasso ha fumato con accanimento tutta la vita, difficile vedere una sua fotografia senza la sigaretta...). José, il padre, è professore di disegno e modesto pittore di quadri da salotto, curiosamente in gran parte dedicati al tema dei piccioni: «milioni di piccioni», ricorda Picasso da anziano, enfatizzando. Da lui trae i primi insegnamenti, dopo aver iniziato a disegnare ancor prima di parlare. Al tempo degli incerti balbettii, Pablo non chiede mai un balocco alla mamma; sillaba invece la parola lá-piz, chiede una matita, forse per imitare il padre. Dopo i primi scarabocchi, aiuta il padre a dipingere piccioni. Talvolta, con metodo raccapricciante, José inchioda su una tavoletta le zampe di piccioni morti. Pablo conclude così, con precisione anatomica, i quadri del padre, che presto comprende di non aver più niente da insegnargli. Dipingere è l’ossessione del figlio, un’ossessione che non lo abbandonerà mai, come sempre lo accompagnerà quella che gli spagnoli chiamano la afición – la passione – per la corrida. Attorno ai nove anni Pablo dipinge a olio un Picador a cavallo, la prima prova che di lui si conosca, che custodirà per tutta la vita e che poi è passata a uno dei figli. Il picador ha un ruolo fondamentale nel rito cruento della corrida. La fi- gurina dipinta dal giovanissimo artista si distingue per la vivace naturalezza del suo montare a cavallo e per quel giallo brillante – l’amarillodella veste – che rivediamo in più mature raffigurazioni, a partire dal minuscolo acquerello Picador con il monosabio (1900), dove il monosabio, l’aiuto torero, monta dietro al picador, sullo stesso cavallo. Il picador ricorre tutta la vita, anche in disegni e incisioni, fino ad identificarsi nella figura mitologica del centauro; così in un bellissimo piatto di ceramica, dove le figure paiono ombre cinesi e l’amarillo stavolta colora il suolo dell’arena (1950, Barcellona, Museu Picasso). Appena adolescente, Pablo si distacca dalla mediocre, limitata visione paterna della vita e dell’arte. Con la madre, invece, meno incline a chiusure e depressioni, ha un legame profondo, che serba tutta la vita. Intanto, nel 1891 la famiglia si è trasferita in Galizia, a La Coruña, città umida e grigia che a José trasmette malinconia e depressione; non a Pablo, che a undici anni viene ammesso ai corsi di disegno ornamentale della locale Scuola di belle arti. Risale agli inizi del 1895 la morte per difterite di Concepción, detta Conchita, la sorellina di sette anni: l’atmosfera mesta di malattia e tragedia viene rievocata in più occasioni, specialmente in Scienza e Carità dipinta a Barcellona nel 1897, dove a marzo del 1895 la famiglia si è trasferi- ta per il nuovo incarico del padre alla Llotja de Mar, sede della pre- stigiosa Scuola di belle arti. Proprio qui Pablo viene ammesso alla classe d’arte classica e a quella di natura morta. Ha superato l’esame di ammissione consegnando la prova di disegno in poche ore, nono- stante gli abbiano dato diversi giorni di tempo. È veloce, sin da allora non ritiene necessario ritoccare infinite volte. Piuttosto passa ad altro, o ridipinge sopra la stessa tela un altro soggetto: questa resta, in generale, la sua pratica. In seguito, quando qualcuno gli obietterà che quel suo certo lavoro sembra non finito, Picasso scuote la testa, rinnegando perfino l’idea di completezza di un’opera. Forse può essere lecito usare l’espressione non rifinito, o meglio, “non finito” per un’opera di Michelangelo, non per le sue. Il suo atto creativo è quello, corrisponde a quel momento. Nient’altro da aggiungere, per Picasso

Ed eccolo a Barcellona, nella primavera del 1899. Pablo ha diciotto anni. Non è ancora Picasso. Sarà lui a decidere, due anni più tardi, di aggiungere al cognome del padre, Ruíz, quello della madre, Picasso. Sa di avere talento e lo sta dimostrando da anni, con decine di dipinti e disegni, ritratti, paesaggi e qualche copia o variazione da Goya e Velázquez, i maestri che ha ammirato al Prado nel 1895. La precoce maestria si riflette nel compiacimento dei familiari, nello stupore degli insegnanti ai corsi di disegno che frequenta sin da bambino. Viene poi confermata, nel 1899, nella Barcellona modernista, alla taverna Els Quatre Gats, dove è circondato da artisti e critici catalani più maturi, alcuni già affermati: lui, giovanissimo andaluso, un niño. A Barcellona, nel 1899, Pablo disegna il profetico annuncio di una folgorante, lunghissima carriera. In un foglio di carta (perduto) traccia a matita un autoritratto. Attorno al capo ripete tre volte, come a formare una corona regale, le parole «YO EL REY - YO EL REY - YO EL REY»: “Io, il re”.  Pare quasi sentirlo proclamare: «Questo sono io, Picasso. Qui e ora. Sono un talento, sono il re, ve lo dimostro oggi, ve lo confermerò in futuro». In un altro autoritratto di quell’anno la posa del giovane dallo sguardo magnetico parrebbe ispirata, in controparte, al celebre Autoritratto di Nicolas Poussin al Louvre (1650). Può darsi, ma la distanza fra la rapida e fluida pennellata dai colori brillanti di Picasso, da quella più netta e bruna del classicista francese, resta abissale. Il foulard arancione del giovane andaluso, magistralmente accomodato attorno al collo, spicca sul candore dell’ampia blusa di cotone. È un efficace espediente per accentuare i contrasti cromatici ma anche un modo per dichiararsi al mondo, con ardimento pari a quello di un torero. Segnala inoltre un’attenzione all’abbigliamento, un necessario status symbol, per lui, un artista così giovane, un’autorappresentazione compiaciuta che non ritroveremo in seguito nel trasandato paltò col bavero rialzato e nella sciarpa di lana degli inverni parigini, nella bohème condivisa a Montmartre con artisti e poeti con le scarpe grosse e polverose come le sue. Lo vediamo così vestito in autoscatti sfocati, con i quadri appesi in disordine alle pareti dello studio, sculture e oggetti in un apparente caos, un caos “calmo” per così dire, a lui necessario, che resterà costante in ogni atelier e ogni abitazione: anche quando, infinitamente ricco, sarà immortalato da Brassaï, Penn, Man Ray, Dora Maar, Doisneau, Capa, Cartier-Bresson, Duncan, Mili, Clergue, Gomes, Villers, Gyenes. Nelle abbaglianti estati in Costa Azzurra, anziano, lo vedremo a petto nudo o con l’inconfondibile maglietta a righe blu e bianche. Indosserà con nonchalance sandali spartani o espadrillas, e nelle rare occasioni ufficiali sembrerà quasi a disagio, impacciato in giacca e cravatta. Agli inizi del secolo, poteva immaginare, Picasso, che sarebbe stato osannato come il patriarca dell’arte del XX secolo? Credo di sì, doveva immaginarlo. La sua era una vocazione consapevole, una tensione magica e sorprendente, che gli ha donato, sin dalle prove giovanili, fluidità e agili- tà di pennello, fermezza nei contorni e nelle linee, padronanza e libertà assoluta nei colori. Picasso non ha dovuto sforzarsi per raggiungere la maturità artistica, come invece era accaduto a Van Gogh, i cui primi disegni denotano non poche in- certezze. Picasso disegnava da giovane come un adulto e a ragione si paragonerà a Raffaello, fra i più dotati disegnatori di tutti i tempi. Gli sarebbe servita – dirà – una vita intera per arrivare a dipingere come un bambino. 

Gloria Fossi, da Picasso. Fuori dagli schemi, Giunti, Firenze 2023