Art e Dossier

940x240.png
940x240.png

Daverio e “Art e Dossier”. Un incontro naturale

categoria: Eventi
3 September 2020

La vita di Philippe Daverio, nato a Mulhouse, in Alsazia, nel 1949, viene raccontata in questi giorni un po’ su tutti i media. Ci limitiamo qui a segnalarne i passaggi principali. Era figlio di un italiano e di un’alsaziana: mix di culture in una terra di confine, quindi, primo germe di un’inclinazione multiculturale e poliglotta che avrà poi modo di sviluppare. Riceve un’educazione molto tradizionale, in un collegio vecchio stile. Si trasferisce poi a Varese e infine a Milano, sua città d’elezione, dove svolge studi di economia e si indirizza verso il mondo dell’arte. Poco più che venticinquenne apre una galleria in via Montenapoleone; doppiata un decennio dopo da uno spazio espositivo anche a New York. La sua attività di critico d’arte lo porta a scrivere per vari periodici ed editori (ultimi in ordine di tempo il “Corriere della Sera”, Rizzoli, Giunti Editore e “Art e Dossier”). Ha un’esperienza politica come assessore alla Cultura del Comune di Milano nella giunta Formentini (1993-1997). Ha insegnato al Politecnico di Milano e all’Università di Palermo.

L’approdo in Rai con Passepartout nel 2001 ne consolida l’immagine di divulgatore esperto, di affabulatore anticonformista nel linguaggio e nell’immagine eccentrica che propone di se stesso: occhialetti e papillon diventano la sua divisa di ordinanza anche per il grande pubblico. Un programma di successo, al punto che ancora sbalordisce che si sia deciso di chiuderne l’esperienza nel 2011, quando era ancora nel pieno della sua popolarità.

Nel 2011 fonda, e lancia sulle pagine di “Art e Dossier”, il movimento di opinione Save Italy, per la salvaguardia del patrimonio artistico (lui la chiamava «la rivoluzione degli educati»); movimento del quale è una costola Save Art, serie di incontri pubblici che coinvolgeva e coinvolge il mondo della scuola.

L’arrivo di Philippe Daverio ad “Art e Dossier”, nel 2008 come direttore scientifico, porta una ventata di rinnovamento che non intacca ma arricchisce l’identità profonda della rivista. Il periodico aveva allora già più di vent’anni ed era nato proprio per dar vita a una divulgazione della storia dell’arte capace di uscire dal chiuso delle riflessioni fra addetti ai lavori. Come è immaginabile, Daverio aderisce perfettamente a questo obiettivo fondamentale. Come aveva fatto con Passepartout, porta anche nella rivista il gusto di aprire le porte di luoghi, artisti, temi sorprendenti e spesso sconosciuti, dalle radici classiche dell’arte totalitaria ai riflessi della moda della barba nell’arte, dall’evoluzione dei caratteri gotici nella scrittura al fascino selvaggio dei borghi abbandonati e alle manifestazioni artistiche dei nativi americani, per citare solo qualche argomento trattato (una raccolta dei suoi articoli per “Art e Dossier” è stata pubblicata da Giunti col titolo L’arte di guardare l’arte). L’intenzione di affrontare anche i temi più complessi con leggerezza non si traduceva mai in banalizzazione o nell’evitare argomenti spinosi; Daverio per esempio non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni soprattutto in tema di apertura a una prospettiva europea come indispensabile antidoto a ogni tentazione di provincialismo attardato. Daverio era sovranazionale e poliglotta già nel modo di pensare (una volta registrammo uno spot per la rivista con lui che improvvisò il testo lì per lì e lo ripetè in cinque lingue diverse senza interrompersi). E alla rivista Daverio porta anche uno stile, un modo di raccontare che è sostanzialmente il suo marchio inconfondibile: sciolto, seduttivo, qualche volta irriverente e provocatorio (e divertente, soprattutto per chi partecipava alle riunioni di redazione). Il “metodo Daverio” si intreccia così con la già ben radicata convinzione di “Art e Dossier” che l’arte sia un mondo aperto, un monumentale deposito di immagini e idee che non parlano solo fra di loro ma ci portano – a patto che si affrontino con un linguaggio chiaro e contenuti scientificamente sorvegliati – in altri mondi, spiegano meccanismi, raccontano storie, aprono finestre su scenari imprevedibili. L’arte è testimonianza visiva di storie, modi di essere e di pensare, e ci parla fin dalle sue origini più remote come una specie di ininterrotta radiazione di fondo. Il nostro compito è continuare a interrogarla.

Claudio Pescio