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Henri Matisse ad Aosta

categoria: Grandi Mostre
7 May – 14 October 2018

Henri Matisse. Sulla scena dell’arte

Forte di Bard

Estate 1919. Incantato dalla luce della Provenza, Matisse ha affittato un appartamento a Nizza. Vi soggiorna spesso, alternando questi periodi alla sua attività nell’atelier di Issy-les-Moulineaux, alle porte di Parigi (ora sede degli Archives Matisse). Sulla Côte Matisse ha conosciuto Pierre Bonnard e si è invaghito della sua tavolozza chiara. La ricerca sul colore, la decorazione, l’arabesco, una certa forma di esotismo sono sempre state costanti nel lavoro di Matisse. Quando nel 1919 esegue la scenografia e i costumi per Le Chant du rossignol di Stravinskij, realizzato dai Balletti russi di Diaghilev, il maestro accetta l’incarico con gioia (e come dire di no se l’“amico” Picasso ha già dipinto e con successo, due anni prima, le scene per il balletto Parade di Satie?): sarà anche l’occasione per riversare i ricordi nordafricani delle stoffe sgargianti e fastosamente ricamate nei vestiti dei mandarini cinesi che dipinge lui stesso. I disegni e i bozzetti per l’opera teatrale introducono la mostra Henri Matisse. Sulla scena dell’arte, visibile al Forte di Bard, con la cura di Markus Müller, direttore del Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster, che possiede, tra l’altro, anche la più ampia raccolta di opere di Matisse in Germania. L’esposizione, una novantina di lavori tra disegni, tele, sculture e litografie, è suddivisa in quattro sezioni che ricapitolano i grandi amori di Matisse: “Costumi di scena”, “Matisse e le sue modelle”, “Le odalische” e “Jazz”, dal titolo della raccolta di “papiers découpés” pubblicati nel 1947 dall’editore Tériade, carte colorate e ritagliate, una nuova pratica artistica che impegnerà Matisse negli ultimi anni della sua vita, quando per motivi di salute sarà costretto ad abbandonare la pittura da cavalletto. Henri Matisse (1869-1954) pittore armonioso e rasserenante, cavaliere senza ombre della Gioia di vivere, come s’intitola il dipinto capolavoro, oggi appeso alle pareti della Barnes Foundation di Merion Station (Filadelfia), realizzato nel 1905-1906, in concomitanza con la nascita del movimento dei Fauves di cui l’artista è riconosciuto come uno dei massimi esponenti. Era un uomo tranquillo, che non dava nell’occhio. Il volto regolare, illuminato da due vispi occhi azzurri, ispirava confidenza. Il modo di vestire, con sobrietà e linee morbide, giacca larga e pantaloni comodi, era quello di un “bon vivant” della Parigi “fin de siècle”. Così appare Matisse in un celebre documentario girato nel 1945 dal regista François Campeaux. Un film che compendia la vita del maestro, che a settantasei anni ha già dipinto i suoi quadri più belli. Tutto in lui era, in apparenza, la negazione del luogo comune dell’artista eccentrico e un po’ folle in voga alla fine del XIX secolo. Insomma, non era Modigliani e nemmeno Picasso, l’amico e collega rivale (si amavano e detestavano a vicenda) conosciuto nel salotto parigino di Gertrude Stein e Alice B. Toklas, in rue de Fleurus. Picasso, il cubista, che lo invitava spesso nella sua tenuta La Californie, in Costa Azzurra. Non era Derain e nemmeno Marquet, anche se dei pittori fauves, le “bestie feroci” del colore acceso, violento, era considerato il padre nobile. C’è uno scatto del fotografo ungherese Brassaï (pseudonimo di Gyula Halász), realizzato nel 1939 a Parigi, nello studio di Matisse in Villa d’Alésia, che ci rimanda l’immagine del pittore: un uomo non alto e piuttosto corpulento, con gli occhi oscurati da spesse lenti scure, intabarrato in un candido camice da lavoro sopra giacca, cravatta e gilet grigio su grigio. Il ritratto di un uomo borghese. Ma rispecchiava il vero Matisse? Nato a Cateau-Cambrésis, nei pressi di Calais, al confine delle Fiandre, Henri fece studi giuridici e trovò lavoro in uno studio legale di Saint-Quentin, città dove frequentò il liceo e si appassionò allo studio del violino. «Sono figlio di un commerciante di sementi, al quale avrei dovuto succedere nella gestione del negozio», racconterà più tardi nelle sue memorie ricordando gli anni piacevoli della giovinezza. Sarebbe probabilmente diventato un bravo avvocato, ma, nel 1890, un attacco di appendicite gli cambiò la vita. Durante la convalescenza, che lo tenne lontano dallo studio per quasi un anno, si palesarono con urgenza le sue grandi passioni: la pittura e i viaggi. Il primo fu a Mosca. Era già famoso, corteggiato, conteso. Un collezionista leggendario, il russo Sergei Shchukin, gli aveva commissionato una serie di dipinti per le pareti della sua casa moscovita. Finirà per chiedergli trentasette tele. Tra queste, la Danza (1910, San Pietroburgo, Ermitage), uno dei massimi capolavori, di cui esiste una prima versione (1909), oggi nella collezione del MoMa - Museum of Modern Art di New York. La genesi delle tele è laboriosa, esige tempi lunghi, reclama estenuanti sedute di perfezionamento nell’intimità dell’atelier. Ci sono quadri che vengono rimaneggiati per anni assumendo strabilianti metamorfosi. 

Melisa Garzonio