Lavoro in movimento
«Viviamo in tempi in cui la realtà è una dimensione in movimento» osserva Urs Stahel, curatore svizzero, alla MAST Gallery di Bologna (25 gennaio-17 aprile) di una mostra sul “lavoro in movimento”, raccontato in modi molto diversi ma spesso in dialogo, seppure involontario, fra loro, da diciotto artisti di fama mondiale. Sono Yuri Ancarani (Italia), Gaëlle Boucand (Francia), Chen Chieh-jen (Taiwan), Willie DoHerty (Irlanda), Harun Farocki / Antje Ehmann (Germania), Pieter Hugo (Sudafrica), Ali Kazma (Turchia), Eva Leitolf (Germania\Usa), Armin Linke (Germania\Italia), Gabriela Löffel (Svizzera), Ad Nuis (Paesi Bassi), Julika Rudelius (Germania), Thomas Vroege (Paesi Bassi), tutti nati fra anni Cinquanta e Settanta. Le loro opere, alcune con sottofondo musicale e commenti, altre senza sonoro, sono «piccole galassie», spiega Stahel, «nelle quali la singola opera ha un valore autonomo ma trova significato soprattutto in relazione alle altre, di cui diventa di volta in volta commento, critica, o tacita risposta». Vediamone alcune: Il Capo (presentato a Venezia Cinema nel 2010) di Ancarani, che di recente ha girato in Qatar The Challenge, è un’impressionante presa diretta sull’estrazione del marmo alle cave di Carrara. Il capo dirige un lavoro estremo: di schiena, a torso nudo, pelle bruciata dal sole, con gesti precisi, segnali a noi incomprensibili, indica al guidatore del mezzo meccanico i movimenti per spaccare e spostare gli immensi blocchi di marmo. La sua mano ha alcune dita mozzate. Le installazioni su monitor di Hugo documentano (Permanent Error), la miseria, il vuoto delle banlieue sudafricane, mentre Oil & Paradise di Nuis (2013) racconta un viaggio in moto a Baku, Azerbaijan, e le contraddizioni di una conquistata, relativa agiatezza grazie al petrolio. Linke, con un gruppo multiscientifico, rappresenta (Flocking, 2008) gli stormi sul cielo di Roma, affascinanti disegni ma anche incomprensibili, distanti e temibili come nel film di Hitchcock. Da non perdere.
Gloria Fossi