Art e Dossier

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Libera nos a malo: un editoriale di Philippe Daverio e Claudio Pescio

categoria: Eventi
6 April 2020

Per la nostra copertina del numero che vedrete in edicola a maggio questa volta abbiamo scelto un arcangelo che come un infermiere (una virologa, o un farmacista…) sguaina le sue armi per difenderci dal Male. Non per caso. L’arcangelo Michele era invocato come protettore dalle pestilenze (a Roma, la sua apparizione su quello che oggi appunto si chiama Castel Sant’Angelo, nel 590, segnò agli occhi dei fedeli la fine dell’epidemia che da un paio d’anni devastava la città). In quest’opera di Raffaello il Male è dipinto come un drago. In realtà, lo abbiamo imparato, il male è spesso invisibile, occulto, osservabile solo al microscopio. Astratto e metafisico. Abbiamo un articolo, nel numero di maggio, che ci racconta alcuni dei volti che abbiamo dato al nemico per riconoscerlo e combatterlo. Il rapporto fra arte e immaginazione è dialettico; il fare nasce dal sogno, il sogno procede dal fare. Tutto ciò che l’uomo esprime con l’arte è prodotto della sua mente, della sua anima e se tutto va bene della sua coscienza. Parlando d’arte, torna forse utile, da un punto di vista metodologico, non pensare solo alle arti visive; che relazione di creatività esiste fra le arti del visivo e quelle della parola, sia detta che scritta, e poi con la musica, arti queste che delle muse erano la vera specialità, essendo quelle plastiche relegate in un ambito assai vicino all’artigianato. La musica, unica arte assieme alla retorica letteraria, prevista successivamente nel trivio-quadrivio scolastico medievale, nasce nella mente in parallelo alla cognizione cerebrale dei numeri e si fa poi percepibile quando diventa fisica. Già per i pitagorici e i primi platonici la questione era semplice assai in quanto il mondo dei numeri governava l’armonia del cosmo ed era, per costatazione sperimentale, lo stesso che reggeva gli equilibri della musica. Successivamente, una volta diventata concreta l’opera immaginata, va a sua volta a stimolare la mente, quella propria e quella degli altri che contamina. Nell’isolamento monastico in cui siamo confinati possiamo riempire il vuoto con le visite virtuali di mostre, giardini, musei; in queste pagine ne segnaliamo alcune tra le moltissime che stanno meritoriamente fiorendo in questi giorni. Che ne dici, sarà un ozio creativo? O la cattività rende cattivi? L’isolamento durante la peste nera del Trecento di Boccaccio, dei suoi amici e di un allegro gruppo di donzelle fu creativo assai e portò alla stesura del Decamerone. L’isolamento riflessivo di Dürer nella laguna di Venezia lo portò a disegnare granchi ma pure la bella biondina che lo aveva affascinato; la Melancolia incisa al suo ritorno in Germania forse era solo un ricordo di quei misteri arcani. L’isolamento di Matisse in Costa Azzurra durante la Seconda guerra mondiale lo portò a guardare dalla finestra l’orizzonte marino e a dipingere baiadere lascive sdraiate sul divano. L’isolamento di Wols in campo di prigionia come quello di Antonin Artaud in asilo psichiatrico li portarono a tracciare disegni carichi di contorsioni ansiose. L’isolamento politico di Altiero Spinelli e dei suoi compagni a Ventotene durante il fascismo generò alla stesura del primo Manifesto per la futura Europa. C’è isolamento e isolamento. Ma in ogni caso ognuno finisce col ritrovare sé stesso. Niente mostre, e niente musei, per un po’. Il web, i libri che abbiamo ricominciato a liberare dalla polvere degli scaffali di casa, le riviste come quella che i nostri lettori stanno sfogliando in questo momento ci consentono di viaggiare con la mente e con gli occhi. Il resto del corpo tornerà a farlo. Il nostro isolamento attuale è ben diverso da quelli del passato. Rimaniamo comunque globali e connessi, con l’informazione televisiva e con quella cornucopia che è la rete dell’internet. Assistiti da mezzi tecnici che il mondo non ha mai conosciuto prima, finiamo col fare ciò che immaginava il buon Xavier de Maistre alla fine del Settecento quando scrisse “l’expédition nocturne autour de ma chambre”, primo testo surrealista europeo. Pensi che il rapporto fisico con le opere e i luoghi dell’arte tornerà quello che abbiamo conosciuto? Dopo un trauma e un dramma come quello che sta attraversando il mondo intero, molto cambierà, per chi avrà la fortuna di sopravvivere. Dopo la Peste nera del Trecento ci fu una sostanziale mutazione della tecnica costruttiva: si abbandonarono gli edifici di pietra, si riscoprì l’uso regolare del mattone antico dei romani, lo si imbiancò con la salvifica calce sulla quale migliaia di pittori di fondi oro e di miniature si misero a stendere affreschi. Da questa rinnovata tribù di spennellatori sarebbero nate le coorti di pittori del Rinascimento. Dopo la peste del Manzoni si abbandonarono i mobili scuri impiallacciati in radica di noce con i bordi a rilievo neri e ci si scatenò nel Rococò dorato o laccato chiamando Tiepolo a dipingere soffitti ariosi. Dopo la Prima guerra mondiale e l’epidemia di Spagnola che su una popolazione mondiale allora di due miliardi ammorbò cinquecento milioni di esseri umani e ne fece morire cento milioni, il jazz arrivò a Parigi, i colori divennero quelli allegri dell’Art Déco e Hemingway se ne andò con l’allegra brigata a Pamplona per scrivere Fiesta. Speriamo di resistere e d’essere invitati anche noi alla fiesta quando l’incubo sarà passato. E auguriamoci non troppo segretamente che dopo la figura sciocca fatta da Boris Johnson e quella gretta di Donald Trump, dopo la solidarietà di Putin che ci ha mandato un esercito non a conquistare il Paese ma a dare una mano alla decontaminazione, dopo il gesto di generosità dell’Albania redenta di Edy Rama che ci ha mandato medici e infermieri la prossima Biennale di Venezia non sia ancora una volta l’inutile esibizione dello strapotere commerciale e irriverente degli anglosassoni. Perché il mondo dell’arte, a catastrofi concluse, si è sempre posto come generoso protagonista di un’era nuova. Il direttore e l’altro direttore Philippe Daverio e Claudio Pescio