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Il Trittico di San Giovenale di Masaccio

categoria: dentro l'opera

Per chi si trovi in Toscana e voglia evitare le folle dei grandi musei e godere in santa pace la visione di un capolavoro di Masaccio, può visitare il Museo Masaccio d’Arte Sacra, a Cascia di Reggello, a poche decine di chilometri da Firenze, che conserva il bellissimo Trittico di San Giovenale. La sua è una storia avvincente. Rimasto per secoli dimenticato nella chiesetta di San Giovenale a Cascia, in una vallata del Valdarno che da Reggello scende verso l’Arno, dove forse si trovava fin dalle origini, il trittico fu rinvenuto in malridotte condizioni da Luciano Berti nel 1961, nel corso di un suo sopralluogo da ispettore della Soprintendenza. Il basamento era coperto da un listello scuro e solo dopo una prima sommaria pulitura svelò la straordinaria scritta dorata in capitale umanistica (la prima che si conosca su un diipinto), che reca la data del 23 aprile 1422. Si tratta dunque della prima opera pervenuta riferibile a Masaccio, che all’epoca viveva a Firenze e aveva ventun anni. L’autografia è certa (anche se qualche studioso l’ha messa in dubbio) non solo per l’altissima qualità del dipinto, ma anche perché la scritta sul libro retto da uno dei santi raffigurati corrisponde a quella nota di Masaccio. L’opera è un fondo oro, con una struttura a tre ante in apparenza ancora di tradizione tardogotica, Il pannello centrale raffigura la Madonna in trono col Bambino, e negli scomparti laterali i santi Bartolomeo e Biagio ,Giovenale e Antonio abate. Il recente restauro (Stefano Scarpelli, 2012, fotografie courtesy Claudio Giusti) ha rivelato una straordinaria vividezza di colori, unita a intensità psicologica: si notino, fra i tanti dettagli, gli occhi arrossati di sant’Antonio abate, i volti dei due angeli ai piedi del trono della Vergine, dei quali solo s’indovina il profilo, le mani dei santi in pose tutte diverse e scorciate. E il gesto della Madonna, che regge i piedini del bimbo, in una posa maternamente verosimile. Gesù tiene le dita in bocca, e con l’altra manina regge una cocca del velo trasparente della Madre, e un piccolo grappolo d’uva, simbolo del mistero eucaristico. Lo spazio è prospetticamente convincente, e non ha paragoni nella pittura fiorentina precedente. La difficoltà di unificare prospetticamente la scena, ostacolata dalla struttura a tre scomparti dell’opera, viene risolta da Masaccio grazie alle linee ortogonali del pannello centrale che convergono verso i volti della Madonna e del Bambino, e alle linee del pavimento, presente in tutti e tre i pannelli, che si riuniscono in un unico punto di fuga, esterno alle tavole. Il trono di legno, che nel bel museo di Cascia è stato ricostruito in un modello a grandezza naturale, e fa mostra di sé accanto al trittico, acquista finalmente, a paragone con i troni di tradizione gotica, una sua eccezionale profondità spaziale. Gli stessi volumi dei corpi sono così plasticamente definiti, che solo una scultura di Donatello potrebbe gareggiare in quegli anni con l’illusione ricreata da Masaccio di una fisicità tanto pienamente realistica. Il committente del dipinto resta ignoto, ma il fatto che fra i santi raffigurati compaia Giovenale fa pensare che sin dalle origini il trittico fosse destinato alla chiesa dove è stato rinvenuto. Non è improbabile che l’opera fosse stata finanziata dalla famiglia Castellani, che aveva possedimenti nella zona, della quale alcuni esponenti portano il nome dei santi raffigurati.

Gloria Fossi