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Al via Miart. Un'intervista al direttore

categoria: Eventi
13 – 15 aprile 2018

Miart

Centottantaquattro gallerie partecipanti provenienti da diciannove paesi; sette sezioni riconfermate (“Established Contemporary”, “Established Masters”, “Decades”, “Emergent”, “Generations”, “Object”, “On Demand”); oltre sessanta esperti coinvolti nella curatela dei progetti speciali, nei talk e nelle giurie; sette premi; un fondo acquisizioni della Fondazione Fiera Milano pari a 100mila euro: questi i numeri della seconda delle edizioni di Miart diretta da Alessandro Rabottini. Lo abbiamo intervistato per conoscere appuntamenti consolidati e novità che attendono i visitatori.

È il primo anno che miart ha un titolo specifico al pari di una mostra. Come mai?

Più che un titolo, Il presente ha molte storie è un “claim”, un modo per attivare un discorso e definire un’atmosfera, e con essa l’identità della fiera. Al suo interno ci sono infatti varie sezioni che compongono narrazioni diverse riferendosi al nostro presente con le sue “molte storie”. La cronologia proposta dalle gallerie è ampia con però una stretta selezione all’interno di ognuna delle sezioni, che esplorano singole dimensioni temporali, spesso intrecciandole l’una all’altra. L’idea è offrire allo spettatore uno scenario il più suggestivo possibile.

Nella costruzione di queste narrazioni le gallerie hanno avuto carta bianca o seguito alcune direttive di base?

Le gallerie agiscono liberamente come principali interpreti della fiera. Come direttore il mio compito è mantenere il giusto equilibrio tra i suoi vari attori e parti. La fiera avvia un processo organico diverso da quello delle mostre e non deve avere una visione autoriale. Non credo nella sua personalizzazione ma piuttosto nella capacità del direttore, coadiuvato dai curatori delle singole sezioni, di seguire i percorsi proposti dalle gallerie. La sezione “On Demand” è nata proprio perché mi sono reso conto che molte gallerie lavorano con media e linguaggi, come la performance o il video, che normalmente in fiera soffrono e sono più rischiosi commercialmente. Mi è sembrato allora giusto creare un cono d’attenzione, di visibilità, che permettesse un’adeguata produzione e presentazione, grazie a una sezione speciale, quindi a spazi, a un premio e ad altre iniziative specificamente dedicate ai singoli media.

Quest’anno è stata riservata una particolare attenzione alla performance?

Più della fiera stessa, dove rimane comunque un linguaggio complesso da presentare, è la concomitante Art Week, la settimana dell’arte contemporanea a Milano che organizziamo in collaborazione con il Comune (dal 9 al 14 aprile), ad avere messo l’accento sulla performance; con Teresa Margolles al Pac, Christian Marclay al Museo del Novecento, Will Benedict nella chiesa di San Paolo Converso, Marcello Maloberti alla Gam, Guido van der Werve da FuturDome, Alessandro Sciarroni e i Masbedo al Teatro dell’arte della Triennale. La performance sta avendo molto successo in ambito istituzionale, penso più che altro perché porti a un’esperienza collettiva del qui e ora. Il focus sulla performance è nato perciò quasi spontaneamente, raccogliendo le indicazioni dei musei e delle fondazioni che fanno parte dell’Art Week.

Quali sono i fiori all’occhiello di questa edizione?

Pensando sempre alla performance, sono particolarmente orgoglioso di Prisma, lo spettacolo nato dalla collaborazione tra Alessandro Sciarroni e i Masbedo, che l’11 e 12 aprile completerà la campagna di comunicazione di quest’anno. Che all’interno di una campagna di comunicazione si produca anche un’opera con una sua specifica identità e vita è un fatto piuttosto inedito, oltre a essere uno spunto di riflessione importante sul che cosa sia la comunicazione oggi. Mi fa anche molto piacere che gallerie internazionali come König, Barbara Gladstone e Lelong, solo per fare alcuni esempi, abbiano riconfermato la loro presenza dalle precedenti edizioni e che altre come Gagosian, Almine Rech e Thomas Dane abbiano deciso di partecipare per la prima volta. Sono poi contento della continuità con cui miart è sostenuta dai partner e dai diversi premi, come il Fondo di acquisizione Fiera Milano “Giampiero Cantony”, il premio Herno, il premio Fidenza Village, il premio Lca, il premio Cedit, il premio Rotary Club Milano Brera, il premio Snaporazverein per “On Demand”, che permette di realizzare una nuova commissione. E, soprattutto, anche del programma fuori fiera: la qualità degli eventi in città è eccellente. Milano sta vivendo un momento storico, di cui ci ricorderemo. Il fatto, per esempio, che il Guggenheim abbia deciso di inaugurare alla Gam una mostra sull’arte nordafricana e mediorientale vuol dire che Milano è diventata un contesto nel quale ci si riconosce a livello internazionale.

Com’è possibile assicurare una buona armonia tra la realtà locale di Milano e il contesto internazionale?

Le gallerie milanesi rimangono sempre alla base del nostro lavoro da anni con la qualità che esse esprimono a livello internazionale. A volte, poi, si verificano eventi inaspettati, come la galleria Dittrich & Schlechtriem di Berlino che nella sezione “Emergent” porta un artista emergente italiano, Nicola Martini. Altre volte, si realizza una corrispondenza tra le gallerie in fiera e il programma delle istituzioni in città, che ospitano gli stessi artisti con mostre monografiche: vedi Matt Mullican ed Eva Kot’átková che saranno oggetto delle mostre presso Pirelli HangarBicocca e che saranno presenti a miart con stand monografici rispettivamente con Mai 36 di Zurigo e con Meyer Riegger di Berlino, o Teresa Margolles, protagonista della monografica al Pac e di cui la galleria Peter Kilchmann presenterà un monumentale lavoro sul femminicidio a miart.

Che cosa caratterizza miart nel presente e qual è il suo futuro?

Quest’anno era importante far passare il messaggio che la fiera ha raggiunto una sua stabilità. Non abbiamo creduto ci fosse bisogno di un colpo di teatro a ogni nuova edizione: è più importante fare piccoli e continui aggiustamenti per garantire una crescita progressiva, insieme ai partner e agli attori in città, quindi anche un’identità solida. Come altre importanti fiere internazionali, miart è un contesto aggregativo, dove in pochi giorni passa molta gente. È per questo che ormai le gallerie approcciano la fiera in modo progettuale: vogliono mostrare il percorso che stanno facendo. Gli stand, che una volta si limitavano a proporre il precipitato della programmazione delle gallerie, sono oggi occasioni per presentarne l’attività espositiva nella sua pienezza, specialmente a un pubblico più ampio.