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Fausto Melotti e la scultura armonica

categoria: In galleria
6 giugno – 27 settembre 2019
Milano
Galleria C+N CANEPANERI

Poesia, musica, armonia sono sempre evocate nell'opera di Fausto Melotti, nato nella  Rovereto asburgica dei primi anni del Novecento e vissuto prevalentemente a Milano, scultore che ottenne il riconoscimento critico delle sue ricerche solo nella maturità. Cresciuto in una famiglia in cui forte era la sensibilità musicale, l'artista, dopo gli studi a Brera condotti sotto la guida di Adolfo Wildt e in compagnia di Lucio Fontana – ma in quegli anni frequentò anche e soprattutto architetti, come Gino Pollini, Adalberto Libera e Luciano Baldessari –, ebbe modo di allestire la sua prima mostra a Milano nel 1935: le diciotto sculture astratte, espressioni di pura forma basate su un pensiero matematico, furono aspramente contestate, tanto che si negò loro addirittura lo status di “sculture”. Deluso e sfiduciato, per poter vivere Melotti si dedicò alla produzione di ceramica decorativa per committenti pubblici e privati, anche grazie all'appoggio di Giò Ponti che già da qualche anno lo aveva introdotto nella manifattura ceramica Richard-Ginori. “Dalle stoviglie agli apparati decorativi, ai monili, alle piccole sculture, l’artista percorre un mondo colorato, d’atmosfera lieve e poetica, intimo e delicato”, scrive Maura Picciau. Due di queste ceramiche – ma non solo! – sono ora esposte alla Galleria C+N CANEPANERI di Milano: si tratta di una lampada del 1960 e di un Senza Titolo del 1955 che testimoniano un aspetto poco conosciuto, eppur prolifico e che diede molto onore a Melotti, il quale tuttavia non smise mai di meditare sulle sue ricerche giovanili, sul rapporto tra le leggi della scultura e quelle della musica – non si dimentichi che, prima di iniziare il percorso di apprendimento della scultura con Pietro Canonica, si era laureato nel 1924 in ingegneria elettrotecnica – e sui presupposti dell'astrazione italiana. Il 1962 segnò la svolta, con il ritorno alle opere astratte. E finalmente la critica comprese la sua operazione di dematerializzazione, accostò i lavori dell'artista allo Spazialismo di Lucio Fontana, e ne decretò il successo. Le nove opere oggi esposte nella galleria milanese appartengono agli anni dal 1970 al 1983 e ben rappresentano il personalissimo modo di costruire una scultura di Fausto Melotti, con le esili strutture filiformi, la matericità impalpabile, le sferette che forse alludono alle note musicali o forse a elettroni, le scale e le spirali. Superata la grave crisi della metà del secolo, Melotti ritrovò la serenità e infuse a ogni sua scultura uno spirito giocoso e leggero che i curatori della galleria accostano a quello di Calder, con cui esistono innegabili tangenze. E non manca il riferimento a Italo Calvino: “sottili, leggere, piene di vuoti”, le definiva lo scrittore, riconoscendo in quelle sculture una delle fonti di ispirazione per Le città invisibiliTema e variazioni è il titolo dell'esposizione: un titolo che riprende l'omonima serie di Fausto Melotti, nella quale le forme geometriche del quadrato, del pendolo, del cerchio vengono associate ogni volta in modo diverso, ma sempre secondo un ritmo melodico – “la musica mi ha richiamato, disciplinando con le sue leggi, distrazioni e divagazioni in un discorso equilibrato”, ha dichiarato l'artista nel Discorso per il Premio Rembrandt, Milano 1973 –. Una melodia armonica che ancora risuona e ci consente di partecipare empaticamente a quell'idea sottile tradotta in ottone, acciaio e vuoti.

Marta Santacatterina