Gauguin l'alchimista, in mostra al Grand Palais
Gauguin alchimiste
La rassegna su Gauguin al Grand Palais a Parigi espone oltre duecento dipinti, ceramiche, sculture, incisioni, disegni, legni incisi: opere che in perfetto equilibrio documentano ogni fase della ricerca di Gauguin, dai tardi anni Ottanta fino al 1903, quando morì alle isole Marchesi. Nelle vene di Gauguin scorreva non solo il sangue del “sauvage”, come ammise più volte ricordando l’infanzia in Perù e poi l’adolescenza da marinaio su navi mercantili che incrociarono ogni oceano. Gauguin coltivava da sempre il desiderio di scoprire mondi nuovi, di cercarli anche dentro se stesso: «Quello che desidero è un angolo di me stesso ancora sconosciuto», aveva scritto a Le Pouldu in Bretagna all’amico pittore Emile Bernard. Era il 1889, e Paul aveva già mollato il lavoro alla Borsa di Parigi, distaccandosi da moglie e figli, per dedicarsi alla pittura. Era già stato a Panama e alla Martinica, e più volte in Bretagna, per trarre ispirazione da mondi meno contaminati. Detestava la Parigi della vita moderna tanto amata dagli impressionisti suoi predecessori. I primi risultati furono deludenti, almeno dal punto di vista del consenso pubblico e delle vendite. Fra gli artisti suoi amici, però, Paul era quello con maggior carisma; più di ogni altro, nonostante critiche e delusioni, mantenne volontà, coerenza nelle proprie scelte di vita, con la salda consapevolezza del proprio talento. Il resto è arcinoto. Partì per la Polinesia, tornò a Parigi, poi fu di nuovo a Tahiti da dove, dopo un ulteriore, deludente soggiorno, si spostò alle Marchesi. La mostra segue la cronologia del suo itinerario artistico: dalle prime ricerche pittoriche parigine influenzate da Cézanne (ritratti, autoritratti e asimmetrici interni con nature morte) alle musicali, simboliste composizioni bretoni, con accenti japonistes; e ancora, dai ventagli con le variopinte scene caraibiche della Martinica, fino alle notissime opere tahitiane. Dipinti, acquerelli, incisioni sono sempre accostati, in mostra, a sculture e ceramiche, a testimoniare una ricerca globale, per così dire, in ogni campo delle tecniche e dei materiali, e non solo dei simboli. Ed eccoci al punto, al titolo della rassegna: Gauguin l’alchimista. Forse Gauguin si dilettava di pratiche alchemiche? Non esattamente. Non cercò di ottenere la pietra filosofale o di trasmutare metalli vili in oro. Tuttavia diceva di riuscire a creare metalli o pietre preziose con un po’ di fango, e con un po’ di genio (per parafrasare la sua affermazione). Il suo approccio a tecniche e materie disparate fu eccezionale per l’epoca, e anche in questo senso è giusto considerare le sue sperimentazioni come un caposaldo per artisti a venire come Matisse o Picasso. La modernità del linguaggio di Gauguin non si fermò ai temi più innovativi cari al simbolismo e ai nabis, o alle culture “altre”, che dettero peraltro una spinta fondamentale al primitivismo dei primi anni del Novecento. L’inedito suggerimento da parte dei curatori è piuttosto considerare la sua poliedrica, quasi alchemica capacità di affrontare medesimi temi utilizzando di volta in volta forme e tecniche assai diverse. In mostra, le opere e i tre filmati (che rendono conto di recenti restauri e indagini di qua e di là dall’oceano) attestano una talentuosa padronanza di ogni tecnica, e una maniacale esigenza di materiali di primissima qualità. Conclude la mostra una ricostruzione in 3D della maison du jouir, la capanna di Hiva Oa dove custodì gelosamente il suo petit musée de camarades, il suo piccolo museo di amici, cioè le riproduzioni fotografiche di opere d’arte occidentali, che nonostante tutto restarono una sua fonte vitale, forse anche subliminale.
Gloria Fossi
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