La Glyptotek di Copenaghen acquista una rara opera di Gauguin
La Glyptotek di Copenaghen, che possiede una sessantina fra dipinti, sculture, disegni di Gauguin, si è arricchita di una preziosa zincografia colorata a mano dall’artista nel 1889, e da lui intitolata Les cigales et les fourmis (Le cicale e le formiche). Il foglio, impreziosito da una cornice originale, deriva da una delle undici incisioni della Suite Volpini, che Gauguin aveva realizzato per L’Exposition du groupe impressioniste, organizzata a fine giugno del 1889 dall’amico Émile Shuffenecker al Café des Arts Volpini, nei pressi della neonata Tour Eiffel. Fu questa un’implicita risposta alla Exposition Universelle inaugurata al Trocadero il 6 maggio, dove non erano stati invitati né gli impressionisti né i simbolisti e i sintetisti. Al Café Volpini Gauguin espose anche una delle tele dipinte nel 1887 nel suo breve soggiorno in Martinica. Ed è proprio una memoria della Martinica il tema della zincografia acquerellata su carta marezzata color giallo canarino acquisita dalla Glyptotek, che replica, appunto, un tema della Suite Volpini.
Le cicale e le formiche, titolo tratto dalla favola di Esopo, allude alle donne creole, indaffarate come formiche, che si accingono a portare al mercato di Saint-Pierre le ceste ricolme di manghi appena raccolti. Le cicale sono invece le due figure accovacciate sulla spiaggia in un dolce “farniente”.
Gauguin era stato in Martinica per qualche mese, da maggio a ottobre 1887, alla ricerca illusoria di una vita selvaggia e idilliaca. Qui aveva dipinto una tela, La raccolta dei manghi (Amsterdam, Van Gogh Museum (cfr. Sulle tracce di Gauguin, 2024, pp. 88-111), divenuta poi il modello per l’incisione della Suite Volpini e del foglio acquerellato ora a Copenaghen.
Prima ancora di stabilirsi in Polinesia, già in Martinica Gauguin aveva iniziato a identificarsi nelle doppia immagine di straniero e selvaggio: Ho una doppia natura, quella dell’indio e quella del sensibile uomo civilizzato, diceva. Nell’isola delle Antille l’artista si era stabilito in una modesta capanna, come quelle usate dagli schiavi delle piantagioni di canna da zucchero, a pochi passi dall’anse Turin di Le Carbet. E da qui, dove trascorreva il tempo dipingendo con l’amico pittore Charles Laval, scriveva alla moglie: È un paradiso. Sotto di noi il mare orlato di palme, sopra di noi alberi da frutto di ogni tipo, a venticinque minuti dalla città.
Va detto che quelle lettere sono infarcite di stereotipi coloniali: finirò per vivere di niente. Libero... Ma il paradiso era, appunto, un’illusione, la sopravvivenza difficile, il clima insalubre. Dopo essersi gravemente ammalato, Gauguin era tornato in patria.
Nelle lettere alla moglie danese, che sperava lo raggiungesse con i figli (altra illusione, dato che Mette se ne era tornata dai suoi a Copenaghen), Gauguin aveva anche descritto il chiacchiericcio senza fine delle schiave creole, quelle stesse illustrate nella zincografia acquistata dalla Glyptotek. Attenzione: trattandosi di un’incisione, il paesaggio che si vede sul fondo è invertito, ma è certo si tratti dell’Anse Turin, spiaggia ancor oggi selvaggia e frequentata solo dai martinicani, a poche centinaia di metri dalla capanna, dove oggi sorge il piccolo, delizioso museo dedicato al pittore. La capitale di Saint-Pierre, poi distrutta da un terremoto, si trova in realtà sulla destra di chi guarda, e non viceversa, e le donne creole la raggiungevano camminando lungo la spiaggia con le ceste in testa.
Qualche parola poi sulla pregevole cornice, intagliata nel legno e colorata, che i funzionari della Glyptotek suggeriscono possa essere stata realizzata da Gauguin medesimo, opinione che ci trova assolutamente concordi, per l’assonanza con altri rilievi lignei dell’artista, e fra questi anche la stupenda cesta di frutta a tutto tondo, in legno colorato, anch’essa conservata nel museo danese.
Gloria Fossi

