Art e Dossier

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A Londra Charlotte Salomon

categoria: Mostre
8 novembre 2019 – 1 marzo 2020

Charlotte Salomon: Life? or Theatre?

Londra, Gran Bretagna
Jewish Museum

Una finestra aperta. Impercettibili variazioni cromatiche dal blu all’azzurro. Pennellate leggere, veloci. Qualche tocco di verde, ottenuto con i colori primari. È un’immagine meditativa, quasi astratta, a parte due minuscoli dettagli realistici, degni di un fiammingo del Quattrocento: i gancetti per fermare le ante. Il parquet sottolinea la prospettiva irregolare, squinternata. Solo le tegole scarlatte di una casa vicina spiccano dal cielo solcato da nuvole lievi, di quelle che passano veloci. Lo sguardo corre dal profilo del battiscopa alle fughe fra le doghe del parquet: linee bordeaux, come inquietanti rivoli di sangue. Il commento, scritto su una velina che in origine doveva sovrapporsi all’immagine dipinta, recita: «Ora lei non sta più qui. Ahimé, in un luogo diverso ora risiede». Cosa significa? Chi stava alla finestra? E perché adesso abita altrove? La gouache fu dipinta in Costa Azzurra da una giovane ebrea berlinese, Charlotte Salomon. Realizzò mille tavole in diciotto mesi, fra 1941 e 1942, in parte in una pensione di Jean-Cap-Ferrat, in parte a Nizza. Poi ne selezionò ottocento, per comporre un’opera d’arte totale: Leben? oder Theater? (Vita? O teatro?), ora conservata al Joods Historisch Museum di Amsterdam. L’edizione integrale è uscita in Italia da Castelvecchi (Vita? O teatro?). Duecento di quelle tavole sono esposte fino al 1° marzo al Jewish Museum di Londra. L’esposizione londinese è un romanzo assoluto, un monumentale libro d’artista, mai rilegato, nel quale Charlotte ripercorre la sua vita. Era nata nel 1917, fu uccisa a Auschwitz nel 1943, incinta di cinque mesi. Oggi guardando le opere sono evocati, giustamente, l’espressionismo, i fauve, Friedrich, Chagall, Kandinskij. Noi aggiungeremmo Matisse ma anche Tiziano per alcuni triplici, inquietanti ritratti, come quello, frontale, della madre Franziska, ossessionata dal duplice volto di profilo della sorella suicida. Parenti, amici, tate, insegnanti di scuola e di disegno, il mondo di Charlotte anima lo spazio delle tempere in modo in apparenza caotico: diacronico, sincronico, dall’alto, dal basso, di lato, di sghimbescio, con tagli fotografici alla Degas, registri sovrapposti, serpentine, losanghe. Perfino fotogrammi, antesignani di un moderno “graphic novel”, come sempre si dice. Il commento è dipinto sul foglio oppure si legge in sovrimpressione, da un lucido di carta velina: un fiume ininterrotto di pensieri, citazioni, rime, allusioni a melodie, canti popolari, Bach, Schubert, Mozart, Bizet. I testi sono a fumetto, a epigrafe, molti i calligrammi. Oggi è semplice rivivere tutto questo in un unico momento, anche senza il dono della sinestesia. Charlotte concepì il suo lavoro come un “singspiel” (recita musicata e cantata); così in mostra, su un apparato multimediale, si ascoltano le melodie suggerite nelle tavole, riproposte anche nel sito web del Joods Historisch Museum di Amsterdam. Talvolta lo scenario lugubre del nazismo si contrappone a episodi in cui la comunità ebraica berlinese tenta di salvaguardare la propria cultura. Esiste più di una chiave di lettura, e ci si sbaglierebbe, crediamo, a considerare Vita? O teatro? solo un’intensa testimonianza della barbarie nazista, anche se utile, in questi brutti tempi di rinnovato antisemitismo. Vorremmo non sapere che Charlotte sarebbe morta ad Auschwitz. Vorremmo non fosse mai accaduta una tragedia così grande, per lei e per milioni di altre persone. La prospettiva cambia, ma ci sforziamo di guardare queste immagini come le dipinse Charlotte, ignorando la sua fine, anche se forse la presagì o quantomeno la temette. Charlotte aveva voglia di vivere, forse  anche fretta di vivere. E di dipingere. Charlotte  amava la vita, e lo si vede nell’ultima illustrazione, che reca sulle sue spalle il titolo Leben oder Theater. Accoccolata a dipingere, guarda avanti, al mare. Così ci piace ricordarla.

Gloria Fossi