Art e Dossier

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In mostra MILANO POP

categoria: Mostre
4 aprile – 29 maggio 2019

MILANO POP. Pop Art e dintorni nella Milano degli anni '60/'70

Milano
Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia

Stati Uniti, Roma, Milano, e se aggiungiamo l'arco cronologico tra gli anni '60 e '70, il pensiero corre subito alla Pop Art, quella corrente che affondò le sue radici negli Stati Uniti, appunto, e in Inghilterra e che poi si diffuse anche in Italia, vedendo tra i suoi protagonisti romani esponenti quali Mario Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella e Giosetta Fioroni. Ma la metropoli meneghina non fu da meno nell'offerta artistica “popular” e la mostra curata da Elena Pontiggia accende i riflettori proprio sui lavori usciti dagli atelier milanesi di quegli anni, rintracciandone le origini, le differenze sia rispetto alle tendenze americane sia a quelle romane, e non tralasciando di dar voce diretta agli artisti ancora viventi, le cui interviste pubblicate nel catalogo offrono uno spaccato interessantissimo dell'atmosfera in cui essi operavano e degli obiettivi che si ponevano. I dodici artisti sui quali si concentra l'attenzione della mostra e che avviarono un dialogo con il linguaggio pop – quanto all'arte, giunse prepotentemente in Italia nel 1964, in mostra al padiglione americano della Biennale di Venezia – afferiscono al contesto milanese, senza essere necessariamente nati all'ombra della Madonnina: si tratta di Valerio Adami, Enrico Baj, Paolo Baratella, Gianni Bertini, Fernando De Filippi, Lucio Del Pezzo, Umberto Mariani, Silvio Pasotti, Sergio Sarri, Gianni Spadari, Tino Stefanoni ed Emilio Tadini. Ognuno con il suo stile, ognuno con il suo messaggio, ma tutti esplicitamente lontani, a livello ideologico, dal movimento statunitense, costantemente accusato di essersi in breve tempo trasformato in un inno al consumismo. Come ben sottolinea la curatrice, alla fine degli anni Cinquanta il panorama milanese era dominato da Lucio Fontana, dal gruppo Azimuth, dall'arte cinetica: tutte tendenze che escludevano la figura. “La Pop Art, in questo periodo, rappresenta così una nuova via all’immagine: un’immagine non naturalistica, filtrata concettualmente attraverso il linguaggio della pubblicità, del cinema, del fumetto, nata anzi da quel linguaggio stesso, non da impressioni e sensibilismi. È una sorta di realismo non guttusiano, che preleva frammenti di realtà dalle fotografie di giornali e periodici, ormai sempre più illustrati; usa effetti fotografici come la solarizzazione dell’immagine; predilige l’acrilico rispetto all’olio, la stesura piatta e il collage rispetto ai pittoricismi. Non è un caso che molti artisti, da Adami a Spadari, da Sarri a Baratella, realizzino cortometraggi o compiano ricerche sperimentali sul cinema”, scrive Elena Pontiggia. E se i romani – una selezione di loro dipinti è esposta nella prima parte della mostra – costituivano la “versione italiana” del linguaggio americano, pur sempre vissuto in maniera conflittuale, “noi eravamo un’altra cosa. Loro avevano la Dolce Vita, noi eravamo arrabbiati neri” dichiara significativamente Sergio Sarri. Ecco allora gli ambienti domestici trasfigurati e dalle tinte piatte di Valerio Adami, le stranianti composizioni di Enrico Baj, le inconfondibili e quasi metafisiche associazioni di Emilio Tadini, i primi richiami ai panneggi di Umberto Mariani, le immagini solarizzate di Giangiacomo Spadari, la prima lavatrice a essere ritratta in pittura di Silvio Pasotti, e ancora le tele “politiche” di Fernando De Filippi e molto altro. “Credevamo nella rivoluzione”, dichiara Baratella, ma anche nella critica e in un alfabeto ironico, ancora oggi denso di significati. Ad accompagnare Milano Pop, è stata organizzata inoltree la mostra tematica Cinema Pop negli spazi della Galleria Robilant+Voena, in collaborazione con l’Associazione Sergio Sarri e l’Associazione Giangiacomo Spadari.

Marta Santacatterina