Art e Dossier

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Palazzo Barberini, in mostra Filippo Lippi

categoria: Mostre
17 novembre 2017 – 18 febbraio 2018

Altro Rinascimento. Il giovane Filippo Lippi e la Madonna di Tarquinia

Roma
Palazzo Barberini - Gallerie nazionali di arte antica

Anno Domini 1437: è la data dipinta sul cartiglio di una delle più soavi composizioni sacre del primo Quattrocento fiorentino: la Madonna di Corneto Tarquinia del fiorentino Filippo Lippi, oggetto di una piccola ma irripetibile mostra in Palazzo Barberini a Roma. La prima delle due sale espositive documenta la storia centenaria della scoperta del dipinto, avvenuta il 10 aprile 1917: Pietro Toesca, acuto studioso oggi troppo dimenticato, la rinvenne nella chiesa di Santa Maria Valverde a Tarquinia. Le vicende storico critiche del dipinto sono state arricchite, anche in tempi recenti, di nuovi studi. L’opera fu con ogni probabilità commissionata a Filippo, poco più che trentenne, dal cardinale e condottiero Giovanni Vitelleschi, che aveva un palazzo a Corneto (oggi Tarquinia, presso Viterbo). In quel palazzo la tavola venne esposta fino al 1944, poi fu portata a Roma dove tuttora si trova, a Palazzo Barberini. Chi studia il Quattrocento fiorentino sa bene l’importanza di questo dipinto, ma un evento come questa mostra permette di far apprezzare anche al pubblico più vasto un’opera non iconica (da noi amatissima), senza considerare la possibilità di approfondimenti anche per gli studiosi (ne parleremo nel numero di marzo di Artedossier).  Dunque partiamo dalla Madonna di Corneto Tarquinia, che i manuali sempre riportano come primo esempio pittorico eclatante d’influenza fiamminga in Italia. Da tempo però il dipinto è analizzato anche sotto altri punti di vista. Non a caso in mostra la tavola è in opportuna relazione con uno dei due Spiritelli portaceri in bronzo che Donatello aveva forgiato fra 1435 e 1437 per la cantoria del duomo di Firenze (in prestito dal Jacquemart-André di Parigi). Nel volto di Gesù della tavola di Filippo si riconoscono gli echi evidenti di quella scultura. E se in mostra fosse arrivato anche l’angelo di Donatello che fa da pendant a questo, si capirebbe come anche la posa delle gambe del Bambino, di derivazione classica, viene da Donatello. A fare da corollario al dipinto vediamo le composizioni lippesche più precoci (quelli di Empoli, Cambridge e New York), oltre a un frammento di santo carmelitano giunto da Berlino. Quest’ultimo è stato attribuito di recente al giovane Filippo, che avrebbe collaborato intorno al 1426 al polittico del Carmine di Pisa di Masaccio. Attribuzione del tutto convincente. Di quel polittico oggi smembrato è in mostra anche un altro frammento, questa volta tutto di Masaccio, con l’austero, solido San Paolo. Conclude la selezione lippesca la più tarda, trasgressiva Annunciazione (1440 circa), dal 1953 alla Galleria d’arte antica di  Palazzo Barberini. Qui elementi  fiamminghi, classicismi di varia natura e innovativi ritratti dei committenti, a mezzo busto e di profilo, si abbinano a una visione dello spazio e a un’illuminazione ambientale tutt’altro che canoniche. Questo conferma la levatura unica e inconfondibile di un genio della pittura fiorentina che non fu solo trasgressivo nella vita privata, come le fonti più antiche rammentavano, ma originalissimo interprete di una cultura umanistica che declinò con molte varianti, e potremmo quasi definire, secondo la definizione di Federico Zeri, “pseudoriascimentali”.   

Gloria Fossi