Art e Dossier

A Sassuolo esposto l’astrattismo di Gianni Berengo Gardin

categoria: Mostre
12 settembre – 3 novembre 2024

Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci.

Sassuolo
Palazzo Ducale – Gallerie Estensi

Nel 1974 Marazzi, azienda leader nella produzione ceramica, inventa la monocottura rapida per la produzione delle piastrelle, dopo pochi anni chiama Gianni Berengo Gardin a raccontare tale innovazione. Ora, fino al 3 novembre, a Palazzo Ducale di Sassuolo – Gallerie Estensi, quelle immagini, animate da un astrattismo e un concettualismo poco riconoscibili nell’immaginario del grande maestro italiano, sono esposte, a cura di Alessandra Mauro, nella mostra Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci.
Come fu per l’Olivetti, realtà industriale illuminata, anche Marazzi adottava, al tempo, una politica di comunicazione e promozione dei propri prodotti collegata strettamente alla documentazione fotografica. Nel dna di entrambe le società il racconto fotografico della propria cultura aziendale era contemplato non solo come un semplice reportage industriale, ma come un linguaggio che andasse a trasmettere per immagini la propria forma mentis, imprenditoriale, e soprattutto lavorativa. Così Marazzi, dopo aver chiamato Luigi Ghirri nel 1975, nel 1977 recluta un altro fotografo che ha lasciato il segno nella storia della fotografia, non solo italiana, Gianni Berengo Gardin. Il suo racconto doveva incentrarsi, per l’appunto, sull’innovazione della monocottura rapida e su quel nastro trasportatore che diventò simbolo di una nuova velocità produttiva. Come aveva fatto già a Ivrea, lungo tutto il racconto della realtà industriale olivettiana della metà degli anni Sessanta, Gianni Berengo Gardin applica, per l’incarico presso Marazzi, un’estetica e una narrazione che si discostano dal suo solito reportage sociale “cartier-bressoniano”. Per trasmettere il concetto di velocità di produzione, Gardin si avvicina a quel nastro trasportatore dove la magia veniva compiuta, e produce un corpus di immagini che non si ancorano alle maglie del reale, come solitamente accade quando si parla della sua opera, ma all’evanescente poesia dell’astratto. Le forme, i colori, si susseguono con un moto di continuità, creando una composizione visiva che permette allo sguardo dello spettatore di proiettarsi, all’infinito, oltre i confini del frame. Compaiono, qua e là, in questo esteso reticolato concettuale, delle punteggiature “reportagistiche”, più in linea con il Berengo Gardin che tutti conosciamo, ma, in generale, quello che questo corpus di immagini sprigiona è la piacevole sensazione di aver visto qualcosa di nuovo di uno dei fotografi più storicizzati a livello internazionale. 

Francesca Orsi