Yokai: le inquietudini della cultura giapponese in mostra a Firenze
Yōkai. Mostri, Spiriti e altre inquietudini nelle Stampe Giapponesi
Torna in una nuova veste – e con i nuovi curatori Paola Scrolavezza e Eddy Wertheim ‒ la mostra promossa da Vertigo Syndrome che ha conquistato il pubblico di Monza e Bologna. Stavolta ad accogliere Yōkai. Mostri, Spiriti e altre inquietudini nelle Stampe Giapponesi è il Museo degli Innocenti di Firenze che, dal 13 giugno al 3 novembre 2024, ospiterà oltre centocinquanta opere del XVIII e XIX secolo – molte delle quali mai esposte prima ‒, fra stampe antiche, maschere, libri rari e armi e armature provenienti dal fiorentino Museo Stibbert.
I riflettori sono dunque puntati sugli yōkai e sugli yūrei, le creature mostruose e gli spiriti che animano le leggende giapponesi fin dalle origini e che veicolano le inquietudini, i desideri e le paure emersi durante l’epoca Edo (1603-1868), caratterizzata da un clima di pace e stabilità, ma anche da una totale chiusura nei confronti dell’occidente, da un forte controllo politico e sociale e da rilevanti squilibri economici. Nella produzione artistica si fa strada l’estetica del “crepuscolo”, popolata da entità mutevoli e bizzarre, ben rappresentate nelle stampe di allora e poi confluite nell’immaginario che ha dato vita ai personaggi di Evangelion, ai protagonisti del J-Horror e del cyberpunk e alle opere di Takashi Murakami, solo per citare alcuni esempi.
Ed è proprio una leggenda a inaugurare la mostra di Firenze: si ispira infatti al rituale delle cento candele la sala immersiva in cui il visitatore può “sperimentare” la prova di coraggio sostenuta dai samurai che, riuniti in una stanza illuminata appunto da cento candele, dovevano raccontare ai compagni una storia di yōkai, suscitando in loro un autentico senso di terrore. Una volta conclusa la storia, il narratore doveva alzarsi, spegnere la candela di una lanterna, prendere uno specchio e osservare se stesso nell’angolo più remoto della stanza, che diventava via via più buia, accentuando lo spavento collettivo. L’oscurità, i riflessi e la voce roca del fantasma di un vecchio samurai scortano il pubblico verso le sezioni che compongono la mostra e che trovano il loro fulcro nelle stampe di maestri del calibro di Utagawa Kuniyoshi, Utagawa Toyokuni III e di Katsushika Hokusai, autore della serie mai completata Cento storie di fantasmi, da cui proviene Il ghigno della donna demone, stampa ispirata alla leggenda buddhista di Hariti, una orchessa intenzionata a divorare i bambini della città indiana di Rajgir, a riprova della cultura profondamente patriarcale del Giappone dell’epoca Edo. Non mancano i riferimenti al teatro ottocentesco, “strumento” per esorcizzare le paure, come testimoniato dai trittici di Utagawa Toyokuni III, definito “il pittore di attori”.
I rimandi alla contemporaneità sono esplicitati sia dalla presenza di illustrazioni, locandine e poster relativi al mondo degli anime ‒ e dunque ai personaggi di Dragon Ball o di Demon Slayer ‒, sia dalla “mostra nella mostra” della giovane illustratrice Giulia Rosa, che chiama in causa gli yōkai per raccontare l’amore e le sfide quotidiane del nostro tempo con un tratto delicato e inconfondibile.
Arianna Testino