59. Mostra internazionale d’arte della Biennale di Venezia
>Dopo due anni di pandemia, nella speranza di una soluzione definitiva dell’emergenza sanitaria ma in uno scenario in cui la crisi ambientale e climatica è sempre più allarmante, apre al pubblico il 23 aprile la 59. Mostra internazionale d’arte della Biennale di Venezia, con una lettura trasversale e propositiva sull’attualità. Il titolo scelto dalla curatrice Cecilia Alemani, Il latte dei sogni - The Milk of Dreams, riprende quello di un libro di favole di una delle principali esponenti del surrealismo, Leonora Carrington, dove creature fantastiche si animano e si trasformano grazie all’immaginazione. Si chiarisce quindi il tema portante dell’esposizione, ovvero l’indagine sulla trasformazione dell’umano, tra metamorfosi e ibridazioni di corpi e identità. A questo proposito, secondo Alemani, sono diverse le questioni ricorrenti nel panorama attuale: come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono i suoi confini, che cosa lo differenzia dalle altre specie viventi? Quali responsabilità ha l’essere umano nei confronti di animali e vegetali che abitano questo pianeta? È poi possibile immaginare la vita senza di noi? Nel suo percorso di approfondimento, Alemani ha individuato tre aree tematiche intorno a cui sono organizzate le opere in mostra: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione – anche di ibridazione – tra individui e tecnologie; i legami tra i corpi e la terra. Per la prima volta, la mostra internazionale vede un’ampia, preponderante partecipazione di artiste donne e di soggetti non binari. Constatata la fragilità dei corpi in rapporto alle macchine che ci aiutano a gestire la nostra vita quotidiana, e vista l’urgenza di superare il paradigma occidentale del maschio bianco come centro e misura della costruzione sociale – nonché lo stesso antropocentrismo anche in rapporto alla crisi ambientale –, il futuro è pensato come postumano e postgender. Molte artiste e artisti suggeriscono la possibilità di nuove forme di trasformazione e coesistenza inusuali, anche con la costruzione di nuove comunità identitarie, per celebrare la libertà nei rapporti umani che abbiamo visto dolorosamente limitati durante la pandemia. Lungo il percorso espositivo, dal Padiglione centrale alle Corderie dell’Arsenale, si trovano anche cinque micro-mostre, quasi “capsule del tempo”, che – grazie anche all’allestimento del duo di designer Formafantasma – inseriscono rimandi tra le creazioni del percorso espositivo principale e opere storiche, un momento di indagine trasversale sulle metodologie a distanza di generazioni, per mostrare la centralità di alcune storie finora considerate “minori” e per riflettere sull’influenza delle pratiche museali sul gusto. La prima di queste “capsule”, fulcro di tutta la mostra internazionale, è in una sala nei sotterranei del Padiglione centrale, dove sono esposte opere di artiste delle avanguardie storiche tra cui Eileen Agar, Leonora Carrington, Claude Cahun, Leonor Fini, Ithell Colquhoun, Mailou Jones, Carol Rama, Augusta Savage, Dorothea Tanning e Remedios Varo. Alemani ha anche curato e realizzato, con l’aiuto di alcuni tutor, il primo College arte della Biennale, che si inserisce accanto a quelli già esistenti di cinema, teatro, danza e musica: tre artisti e artiste, selezionati in un’ampia platea di partecipanti, vedono le proprie opere inserite in mostra, fuori concorso, accanto a quelle dei colleghi già affermati. Tra le altre iniziative, l’intervento di Elisa Giardina Papa a Forte Marghera e il padiglione di Arti applicate in collaborazione con Victoria and Albert Museum di Londra. Importanti anche le iniziative rivolte alla didattica delle Biennale Sessions e Biennale Edcational. Come sempre, i padiglioni nazionali sono sparsi tra Giardini, Arsenale e diverse sedi in città. Il tema del rapporto tra umanità e ambiente naturale ritorna anche nel Padiglione Italia curato da Eugenio Viola. Per la prima volta lo spazio delle Tese delle Vergini all’Arsenale ospita l’opera di un solo artista, Gian Maria Tosatti, la grande installazione intitolata Storia della notte e destino delle comete. Con quest’opera immersiva, intermediale, che include una pluralità di linguaggi e di riferimenti visivi e letterari, l’artista vuole evidenziare le contraddizioni della contemporaneità in uno scenario metapandemico, che accompagni la riflessione sulla difficile (ma possibile) convivenza tra persone e sui rapporti tra sviluppo sostenibile e territorio. Seguendo una sintassi teatrale, l’opera è divisa in un prologo e due atti, con epifania finale. Il primo atto è incentrato sul racconto simbolico dell’ascesa e declino del “miracolo” industriale italiano del secondo dopoguerra; il secondo atto offre uno sguardo propositivo sul presente e invita, attraverso il meccanismo – sempre teatrale – della catarsi, a una nuova via di evoluzione rispetto a un momento storico incerto, a «svegliarci al presente», come suggella l’artista. Per tutta la durata della mostra, si susseguiranno incontri di carattere scientifico-divulgativo su temi ecologici e ambientali.
Ilaria Ferraris