Alighiero Boetti raccontato dalla figlia Agata tra le pagine di un libro
Agata Boetti, Il gioco dell’arte, con mio padre Alighiero
Electa, Milano 2024
Pag. 288
€ 25
È un distillato di amore e vita vissuta quello che sgorga dalle pagine de Il gioco dell’arte, con mio padre Alighiero, il libro scritto da Agata Boetti, la secondogenita dell’artista, e pubblicato nella nuova edizione da Electa alla fine del 2024 dopo il debutto sugli scaffali nel 2016. Introdotta e seguita rispettivamente dalle parole di Jean-Christophe Ammann – storico dell’arte, critico e autore dei primi tre volumi del Catalogo Generale dell’opera di Boetti – e di Hans Ulrich Obrist – curatore di fama planetaria vicino a Boetti fin dal 1989 –, questa raccolta di aneddoti e pensieri su Boetti artista ma soprattutto padre fornisce una inedita chiave di lettura del suo lavoro, anteponendo la logica dell’affetto a quella della critica.
A capo dell’archivio intitolato al genitore, Agata Boetti, in questa occasione, smette i panni istituzionali e diventa portavoce di una storia familiare caratterizzata da legami che sopravvivono alle separazioni, alla morte, al ritmo implacabile del tempo. I suoi intenti, come lei stessa scrive, si delineano nel solco di una vicenda profondamente personale, che sfugge all’oblio: “Il mio dovere, in quanto figlia di Alighiero Boetti, non consiste solo nel cercare di continuare a far vivere l’opera geniale di mio padre. Ho anche un dovere familiare nei confronti dei miei figli. È ormai tempo di tramandare loro chi fosse veramente il nonno, non solo un artista geniale e appassionante ma anche un padre straordinario”.
La straordinarietà di Boetti, nelle parole di sua figlia, è lampante e assume i connotati del ricordo, dal quale emerge una narrazione incentrata sull’idea di gioco: le lunghe ore trascorse nello studio del padre accompagnano la crescita di un rapporto quasi simbiotico, scandito da una condivisione ludica delle idee e dei processi destinati a sfociare nelle opere di Alighiero Boetti artista. “In italiano, la parola ‘studio’ ha un doppio significato. Un’attività mentale e un luogo per l’esercizio di una professione, spesso artistica. Lo studio di mio padre era dunque un luogo di studio, di sperimentazione, di giochi, che con disinvoltura e naturalezza erano associati all’idea di lavoro. Il lavoro era dunque come un gioco. Il gioco con mio padre si svolgeva dunque al lavoro”, spiega Agata.
L’ossessione per i numeri, le quadrature, le Mappe, le lettere, gli aerei, i Tutto confluiscono nei discorsi fra Boetti e la figlia, a prescindere dall’età di quest’ultima. Sin dall’infanzia, Agata entra nell’universo creativo del padre, ne diventa co-protagonista – il suo nome ricorre nei lavori di Boetti –, lo comprende in maniera intuitiva e lo esplora guidata dalle spiegazioni che le vengono fornite dal loro stesso autore sullo sfondo di un gioco che risponde a determinate regole: “Tutto era dunque sottoposto a delle regole del gioco nei nostri divertimenti e nelle sue opere”, scrive Agata riferendosi alle esperienze condivise con il fratello Matteo. “Da bambini, le regole sonogeneralmente mal accettate, intese come una mancanza di libertà. Le sue erano quelle del gioco, gioiose e sempre logiche. Più mi spiegava le sue opere e più mi rendevo conto che ciascuna era sorretta da una nuova regola del gioco”.
Usando il gioco come una sorta di lampada che illumina i loro passi, padre e figlia costruiscono un legame ben diverso – eppure egualmente affettuoso – da quello che Agata instaura con la madreAnnemarie. Se, rammentando l’infanzia trascorsa con Boetti, la figlia dichiara: “Non ho ricordi di giostre, di passeggiate in bicicletta o di visite allo zoo con mio padre. Il terreno di gioco e di scambio che proponeva poteva essere costituito solo dal suo territorio preferito: la sua testa, il suo cervello. E principalmente nel suo studio”, parlando della madre Agata ne evoca “il rigore e la protettiva dolcezza”, complementari al “genio inventivo” e all’“entusiasmo” di Alighiero.
Oltre alla madre, la costellazione familiare di Agata si arricchisce di volti e voci – quelli del fratello, delle nonne, di Salman, fedele amico e assistente di Boetti, dei collaboratori e dei colleghi che frequentavano la dimora dell’artista –, ma il motore del circuito narrativo resta sempre il padre. È lui il fulcro di un racconto nel quale l’opera di Boetti artista è descritta ricorrendo al codice privato dei sentimenti: qui “Alighiero l’inquietante” non trova posto. “Lo sciamanismo, leesperienze mistiche e spesso irragionevoli, il pericolo, le uscite di strade
o le porcherie. Un Alighiero che non ho ‘conosciuto personalmente’ ma solo dai racconti di altrui. Fino alla fine, una protezione paterna estrema…”, è il commento di Agata a una Polaroid che ritrae una posa e un’attitudine di Boetti a lei sconosciute.
Sono proprio le didascalie in forma di commento a corredo delle riproduzioni di alcuni lavori del padre e delle fotografie scattate da amici del calibro di Antonia Mulas, Giorgio Colombo, Paolo Mussat Sartor, Gianfranco Gorgoni a rendere il volume ancora più prezioso, regalando ai lettori la sensazione di stringere fra le mani la testimonianza dell’unica persona che ha conosciuto le opere di uno degli artisti più emblematici del secondo Novecento italiano prima ancora che diventassero tali.
Arianna Testino