Art e Dossier

Alla Collezione Peggy Guggenheim una mostra monografica su Maria Helena Vieira da Silva

categoria: Grandi Mostre
12 April – 15 September 2025

Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio

Venezia
Collezione Peggy Guggenheim

Nata a Lisbona nel 1908, Maria Helena Vieira da Silva alla metà degli anni Cinquanta era una pittrice celebrata a livello internazionale, protagonista di mostre a Lisbona, New York, Parigi, Rio de Janeiro, Stoccolma, nonché invitata alle Biennali Internazionali d’Arte di Venezia, nel 1950 e 1954. Oggi la Collezione Peggy Guggenheim rende omaggio a quest’artista mediante una retrospettiva ampia, capace di mettere a fuoco le fasi più significative del suo lavoro e l’evoluzione di un linguaggio visivo caratterizzato da un forte rapporto tra astrazione e figurazione. Fin da giovanissima l’artista entrò in contatto con le arti e il teatro, per poi studiare pittura e disegno all’Escola de Belas Artes di Lisbona, quindi all’Académie de la Grande Chaumière di Parigi, dove incontrò il pittore ungherese Arpad Szenes, suo futuro marito. Durante la Seconda guerra mondiale la coppia trovò riparo a Rio de Janeiro, e solo nel 1947 fece rientro nella capitale francese. Vieira da Silva ebbe legami storici con Peggy e Solomon R. Guggenheim: venne infatti inclusa tra le artiste dell’Exhibition by 31 Women organizzata da Peggy Guggenheim nella galleria-museo newyorkese Art of This Century nel 1943, mentre Hilla Rebay, prima direttrice del Museum of Non-Objective Painting, futuro Solomon R. Guggenheim Museum di New York, fu una delle sue prime sostenitrici. 

Negli spazi di Ca' Venier dei Leoni sono ora esposte circa settanta opere chiave che, grazie alla curatela di Flavia Frigeri, storica dell’arte e curatrice presso la National Portrait Gallery di Londra, illustrano l’indipendenza dello stile di Vieira da Silva dal movimento informale, riconoscendo invece come fondamentali sia la sua esperienza a Parigi sia l’esilio a Rio de Janeiro, città in cui poté creare una fitta rete di contatti. Le sue composizioni - ispirate a una varietà di stili e influenze che spaziano dalle mattonelle ispano-arabe, gli azulejo, alle tovaglie a scacchi dei dipinti di Pierre Bonnard, fino all’astrazione cubista e futurista -  si caratterizzano per delle strutture labirintiche, dei ritmi cromatici e delle prospettive frammentate che consentivano alla pittrice di intrecciare la fisicità degli spazi con le dinamiche della memoria e del tempo.

Se l’incipit della mostra è dedicato al legame tra l’artista e il marito Arpad Szenes tramite l’esposizione di ritratti reciproci, un approfondimento evoca l’ambiente dello studio-atelier, tema che consentiva a Vieira da Silva di riflettere sullo spazio architettonico, interpretato mediante una dimensione quasi anatomica. Una sala raduna quindi le tele che raffigurano danzatori e dei giocatori di scacchi, in cui il gioco diventa metafora dell’esistenza, fatta di azione e reazione. Intensa la sezione dedicata alla guerra, con opere straordinarie che rappresentano l’umanità soffocata dalla tragedia, mentre nel percorso espositivo ha grande rilievo il ritorno dell’artista a Parigi, cui fece seguito la ricerca di un linguaggio astratto sempre più definito e intriso di forme labirintiche nonché di illusioni ottiche, che si aprì poi alla resa del paesaggio urbano, reale e immaginato. Negli anni Sessanta, come dimostra il progetto di mostra, la palette cromatica di Vieira da Silva divenne sempre più scura, ma nella carriera non mancò mai una profonda riflessione sul bianco, un colore capace di conferire ai dipinti, secondo l’autrice, una dimensione spirituale.

Marta Santacatterina