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Beato Angelico: una grande mostra a Firenze

categoria: Grandi Mostre
26 September 2025 – 25 January 2026
Firenze
Palazzo Strozzi, Museo di San Marco

Negli anni Settanta del Novecento Elsa Morante, notoriamente laica, lo definiva «propagandista del Paradiso». E lo chiamava Guidolino – che poi era il diminutivo del nome secolare, Guido Antonio di Pietro, ovvero l’Angelico, o Beato Angelico. Anche Antonio Tabucchi, nel visionario racconto pubblicato nel 1987 da Sellerio (I volatili del Beato Angelico), chiamava l’Angelico Guidolino, oppure Fra’ Giovanni, come in effetti il frate pittore domenicano aveva deciso di chiamarsi, al momento di prendere i voti: «Fra’ Giovanni da Fiesole, dentro di sé, chiamava ancora se stesso Guidolino». L’Angelico, che era originario del Mugello, non è il solo frate pittore che ha vissuto e lavorato nella fulgida Firenze dei primi decenni del Quattrocento: come lui (e con lui) lavorò Lorenzo Monaco, al secolo Piero di Giovanni, frate camaldolese. E dopo di loro sorse il genio inquieto e poco incline alle regole di Filippo Lippi, che era stato giovane converso al Carmine. Il convento di San Domenico, sulle colline fiesolane, dove l’Angelico trascorse i primi tempi del suo percorso spirituale e artistico non è visitabile, ma chi ha avuto la fortuna, nel giugno scorso, di aver assistito alla presentazione del restauro di un giovanile affresco dell’Angelico, con la Crocifissione, tuttora nel convento, non dimenticherà mai quell’atmosfera immota e quasi celestiale, ma al contempo terragna, con l’orto e gli ulivi, che solo un minuscolo gruppo di religiosi può respirare. Giù in città, si può tuttavia ritenersi fortunati, almeno fino al 25 gennaio prossimo, se superando il frastuono insostenibile di una Firenze invasa dal turismo e dal traffico caotico, si entri nell’oasi di pace del Museo di San Marco, e poi si prosegua nel rinascimentale palazzo Strozzi, che dal 25 settembre sono degne sedi di una mostra epocale sul Beato Angelico: curata da par suo da Carl Brandon Strehlke, con Stefano Casciu e Angelo Tartuferi, promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, Ministero della Cultura - Direzione generale Musei Nazionali Toscana - Museo di San Marco. Qui sarebbe arduo rendere conto dell’imponente catalogo Marsilio, con saggi di molti specialisti, che resterà un punto imprescindibile per gli studi futuri, e sul quale torneremo presto. Ma giacché le intenzioni dei curatori sono di rivolgersi anche al pubblico più vasto, propongo qui un piccolissimo viatico alla visita nelle due sedi.

Meglio partire dal Museo di San Marco, concento mediceo per eccellenza, dove l’Angelico visse e lavorò prima di spostarsi a Roma, dove sarebbe scomparso nel 1455. Qui, oltre al tradizionale percorso museale delle celle affrescate, e alla umanistica Biblioteca disegnata da Michelozzo dove sono esposti numerosi manoscritti miniati, una sala strabiliante allestita per la mostra ci avvia all’Angelico con la pala di Fiesole, restaurata per l’occasione da Daniele Rossi, che oggi vediamo come una pala quadrata, ma che il frate aveva concepito ancora secondo la tradizione gotica, i cui pinnacoli furono in seguito resecati da Lorenzo di Credi che reintegrò alcune parti secondo il gusto mutato. Oggi colpisce la brillantezza dei colori, con il manto della Vergine che risplende del blu oltremare, ovvero il lapislazzuli e del giallo intenso: colori, questi, che come li vediamo oggi risalgono all’intervento di Lorenzo di Credi, ma Rossi assicura che sotto vi si trovano, se possibile ancor più brillanti, quelli originali dell’Angelico. Colpisce, in questa pala, la luminosità ritrovata dopo la pulitura, che accentua la profondità di un Angelico prospettico e non solo divoto, come già lo diceva l’Anonimo Gaddiano, e ci conduce verso il bellissimo fondale. E poi, oltre a tanti altri piccoli dipinti, è da segnalare l’accostamento del Trittico di San Giovenale di Cascia (Reggello), opera giovanile, del 1422, di Masaccio, alla più o meno coeva Pala di San Pietro Martire dell’Angelico. Del dipinto di Masaccio ho segnalato altrove i profili perduti degli angioli, ovvero volti visti più o meno di tre quarti dei quali non si individua altro che la linea delle guance.

E se passiamo a palazzo Strozzi, dove otto sale dispiegano gli assoluti capolavori dell’Angelico, troveremo (vi invito a cercarli), magari in qualche predella, proprio alcuni profili perduti dipinti dal frate pittore, che non a caso si usa considerare come l’artista che per primo avrebbe compreso Masaccio. Decine i da musei e collezioni di tutto il mondo, ricostruzioni di opere da tempo smembrate, restauri eseguiti in occasione di questa rassegna epocale. Sapienti gli accostamenti scelti dai curatori, come il frammento di tappeto anatolico che richiama quello che sottostante il trono nella celebre Pala di San Marco, arricchita dall’ingegnoso trompe l’oeil di una tavoletta con la Crocifissione. E che non sfugga la minuscola tavoletta del San Gerolamo dello studio di Van Eyck, in origine nelle raccolte medicee, testimonianza altissima delle influenze reciproche e precoci fra Firenze e le Fiandre (ancora Rogier Van der Weyden, sulla metà del secolo a Firenze, dovette apprezzare l’Angelico e le sue Deposizioni), fomentata anche dal banco dei Medici a Bruges. Il talento del frate pittore si manifesta nei dipinti più piccoli, e nelle predelle, a decine qui in mostra, spesso riunite per la prima volta alla pala principale, e anche in volti espressionistici, come l’impareggiabile Cristo piangenti con gli occhi rossi di Livorno, presto copiato. Organizzazione eccellente, sforzi straordinari, ma che saranno ripagati, inutile dirlo, da un successo garantito di pubblico e di critica.

Gloria Fossi