Terrasanta di Toscana al museo Marino Marini
Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini
La Terrasanta è da sempre oggetto di venerazione, aggressioni, strenue difese, pellegrinaggi, distruzioni, ricostruzioni, studi e ricerche, è terra sacra e contesa, scrigno di tesori e calvario di penitenze.
Uno dei suoi tesori più belli era stato finora nascosto e riservato alla vista di pochi. Si tratta della raccolta di arte sacra del Tesoro del Santo Sepolcro di Gerusalemme, messo insieme dai frati francescani per oltre cinquecento anni. Cinque secoli di accorta difesa di un bene prezioso che andava celato agli occhi rapaci di predoni di ogni genere e provenienza. Oggi quel tesoro custodito (è la parola giusta) dalla Custodia di Terrasanta, che dell’ordine francescano fa parte.
Da qualche anno quella raccolta è al centro di un progetto che darà vita al Terra Sancta Museum, che si collocherà nel cuore di Gerusalemme. Nel frattempo, una selezione di quelle opere mai viste sta viaggiando per presentarsi al pubblico. Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini è il titolo della versione fiorentina della mostra ospitata fino al prossimo 7 gennaio nel luogo espositivo che accoglie nel suo percorso di visita (destinato stabilmente alle opere dello scultore Marino Marini) anche un monumento che alla Terrasanta è particolarmente legato. Si tratta del sacello (prodigio minimalista dell’architettura quattrocentesca) edificato da Leon Battista Alberti tra 1457 e 1467 per volere di Giovanni di Paolo Rucellai. L’edificio – che riprende le forme del Santo Sepolcro – si trova all’interno della ex chiesa di San Pancrazio, oggi sede del museo.
Gli oggetti in mostra sono dunque accostati, fisicamente e simbolicamente, a una testimonianza dell’antico legame esistente fra la città di Firenze e Gerusalemme. In particolare a essere protagoniste erano Medici e Rucellai, appunto. Un grande arazzo delle collezioni degli Uffizi accoglie i visitatori con Cosimo il Vecchio fa costruire un ospedale per i pellegrini a Gerusalemme (Giovanni Stradano, arazzeria fiorentina, 1571 circa), mostra un esempio di quanto fosse importante, per la propria immagine, evidenziare la propria sollecitudine verso i devoti che si recavano nei luoghi santi. Mecenatismo e culto, intrecciati, erano potenti messaggi di propaganda politica.
La parte iniziale del percorso della mostra si svolge attorno al sacello albertiano con oggetti che rimandano alla storia della basilica e alla stretta relazione tra Toscana e Palestina. Bisogna ricordare che ricostruzioni più o meno fantasiose di quei luoghi si erano rese necessarie per offrire ai pellegrini nuove mete votive dopo che la caduta di Gerusalemme in mani islamiche aveva escluso la prima e principale di quelle destinazioni, per cui nascono varie riproduzioni dei monumenti gerosolimitani e i cosiddetti Sacri Monti.
La visita prosegue nella cripta del museo con un suggestivo allestimento basato su un efficace uso della luce a contrasto con zone oscure.
In questa parte a dominare è lo sfavillio dei metalli preziosi e delle gemme, uniti alla maestria di lavorazioni orafe complesse e decorazioni multiformi su pissidi, lampade, paramenti, calici, reliquiari, candelieri, codici. Si tratta di capolavori, soprattutto del Rinascimento, barocchi e settecenteschi, donati alle istituzioni presenti in Terrasanta da città italiane e dai principali sovrani europei, Spagna, Francia, Napoli, Genova, Venezia, Firenze, Portogallo.
Fra i pezzi emergenti l’Altare dei Medici, donato dal granduca Ferdinando I (1588-1590); i tre dipinti inediti dedicati a san Francesco, sant’Antonio e san Giuseppe del napoletano Francesco De Mura (1733); il paliotto di Gennaro De Blasio (1731); il modello della basilica del Santo Sepolcro realizzato in legno, madreperla e osso di cammello a Betlemme intorno all’anno 1700.
Claudio Pescio