A Venezia la mostra dedicata a Marina Apollonio, protagonista dell’arte cinetica e optical
Marina Apollonio. Oltre il cerchio
La più ampia retrospettiva italiana in ambito museale intitolata a Marina Apollonio va in scena negli ambienti della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, città d’adozione dell’artista triestina, classe 1940, inclusa fra i massimi esponenti della Op Art e dell’Arte cinetica. Sotto la curatela di Marianna Gelussi, la mostra Marina Apollonio. Oltre il cerchio
affianca un centinaio di opere provenienti da istituzioni nazionali ed estere, come la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il MART di Rovereto, la Neue Galerie di Graz e il Ritter Museum di Waldenbuch, e dalla raccolta dell’artista, ripercorrendone la carriera dal 1963 a oggi.
Figlia di Umbro Apollonio, scrittore, critico d’arte e direttore dell’Archivio storico della Biennale di Venezia dal 1949 al 1972, all’età di otto anni l’artista si trasferì a Venezia, dove consolidò la sua formazione e intraprese la carriera creativa, senza aderire ad alcun gruppo, contro il volere del padre. Interessata alle dinamiche della percezione visiva, negli anni Sessanta Apollonio conobbe dapprima Getulio Alviani, che la spronò a mostrare i suoi lavori, e poi Dadamaino, con la quale intraprese una lunga amicizia. Nel 1966, in occasione della sua prima personale al Centro Arte Viva Feltrinelli di Trieste, Apollonio scriveva: “Ogni mia ricerca plastica vuole essere un’indagine sulle possibilità fenomeniche di forme e strutture elementari. La forma elementare ha in sé l’astrazione totale in quanto è costituita da un programma matematico. Su questa base l’azione si svolge con assoluto rigore in un rapporto diretto tra intuizione e verifica: intuizione a livello ottico e verifica su sistema matematico. Scelta una forma primaria, quale ad esempio il cerchio, ne studio le possibilità strutturali per renderla attiva cercando il massimo risultato con la massima economia”. In queste parole è racchiuso il fulcro dell’indagine e dalla poetica di Apollonio, la quale condivideva con i colleghi del gruppo N di Padova e del gruppo T di Milano, con personalità vicine ad Azimut/h, come Piero Manzoni ed Enrico Castellani, e al gruppo Zero di Düsseldorf, come Nanda Vigo, Enzo Mari e Bruno Munari, l’urgenza di dare forma a un’arte democratica e radicata nel presente, fondata sul rigore del metodo e sulla libertà della sperimentazione.
Dopo la parziale battuta d’arresto imposta alla sua ricerca attorno alla metà degli anni Settanta, Apollonio ritrova lo slancio negli anni Duemila, complice il ritorno in auge dell’arte programmata e cinetica a livello mondiale. Nel 2007 Max Hollein, attuale direttore del Metropolitan Museum of Art di New York, la include nella mostra da lui curata e dedicata alla Op Art presso la Schirn Kunsthalle di Francoforte, mentre nel 2022 la curatrice Cecilia Alemani aggiunge l’opera di Apollonio alla sezione Tecnologie dell’incanto della 59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, allestita nel Padiglione Centrale dei Giardini.
La mostra alla Collezione Peggy Guggenheim non soltanto rinsalda il legame fra Apollonio e la mecenate a cui è intitolato il museo veneziano – la quale supportò l’artista, nel 1968, commissionandole Rilievo n. 505, tuttora parte della raccolta –, ma offre al pubblico la possibilità di comprendere il linguaggio dell’artista grazie a opere emblematiche in cui il cerchio, la geometria, il movimento e l’ordine matematico giocano un ruolo fondamentale. Si va dalla serie Dinamiche circolari ai Rilievi alle Espansioni, nel solco di un approccio trasversale alla pittura, alla scultura, al disegno e ai materiali in genere. La mostra è arricchita inoltre da due nuovi progetti site-specific ‒ l’ambiente Entrare nell’opera e l’installazione musicale Endings, frutto della recente collaborazione con il compositore Guglielmo Bottin a partire dall’opera Fusione circolare del 2016 – e da un dialogo con gli interventi degli altri protagonisti dell’Arte cinetica e optical collezionati da Peggy Guggenheim e allestiti ad hoc in una sala di Palazzo Venier dei Leoni, un tempo dimora della mecenate e oggi “casa” della sua collezione.
Arianna Testino