Giulio Romano: biografia
Giulio Pippi nacque con ogni probabilità a Roma, in una data imprecisata dell’ultimo decennio del secolo (1492 secondo Vasari, 1499 secondo C. D’Arco). La sua formazione e prima attività si svolgono nell’ambito della bottega di Raffaello Sanzio, con cui Giulio collaborò nei più importanti cantieri, a partire dalle Stanze Vaticane. Qui, dopo una collaborazione nella stanza dell’Incendio di Borgo, l’artista ebbe un ruolo fondamentale nella decorazione della Sala di Costantino. Ma egli prese parte attiva anche nel cantiere delle Logge e della Loggetta Vaticane, della Villa Farnesina alla Lungara, e di Villa Madama, in cui operò come decoratore di grottesche.
Durante il periodo romano, Giulio eseguì inoltre una serie di dipinti, come la Lapidazione di santo Stefano (Genova, Santo Stefano), la Madonna della gatta (Napoli, Capodimonte) e l’Incoronazione di Monteluce, eseguita in collaborazione con Gianfrancesco Penni. Ma la mano di Giulio è riscontabile in un’altra serie di opere ritenute di collaborazione con Raffaello, come La Sacra Famiglia detta La Perla (Madrid, Prado), il ritratto di Giovanna d’Aragona (Parigi, Louvre), il San Giovannino (Firenze, Uffizi) e la Sacra Famiglia sotto la quercia (Madrid, Prado).
Nel 1524, attraverso Baldassarre Castiglione, Giulio si trasferì a Mantova, alla corte di Federico II Gonzaga, dove rimase sino alla sua morte. Artista di corte, egli operò come architetto, pittore, scenografo, prefetto delle fabbriche, disegnatore di arazzi, argenti e apparati effimeri. Come archietto, egli lavorò soprattutto alla costruzione della distrutta villa di Marmirolo e del palazzo Te, che fu concluso in soli dieci anni, a partire dal 1524. Luogo di otium per il principe, il palazzo Te fu affrescato e decorato da Giulio e dalla sua equipe con scene mitologiche, che alludono all’amore di Federico Gonzaga per Isabella Boschetti. Nel 1530 vi fu ospitato Carlo V, episodio che condusse all’aggiornamento della decorazione in chiave imperiale e agli affreschi della strabiliante Sala dei giganti. Negli stessi anni, l’artista intervenne anche in Palazzo ducale, nell’appartamento di Troia, oggi molto manomesso. Prima del 1541 lavorò alla sua dimora, e fornì negli stessi anni i cartoni per gli affreschi dell’abside del duomo di Verona, eseguiti dal Torbido e per l’abside della chiesa della Steccata a Parma.
Giulio Romano: le opere
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Madonna Novar
1518-1520 c.
Edimburgo, National GalleryAllo stesso periodo in cui Giulio partecipava in maniera sempre crescente alle opere di Raffaello appartiene quest’opera completamente autonoma. Questa, pur derivando la sua composizione dalla Madonna della rosa, opera del maestro e di un collaboratore, se ne distacca nettamente per l’ambientazione. Eliminata la figura di san Giuseppe, Giulio conferisce maggiore spazio all’originale sfondo architettonico, un arco trionfale in stile rustico, mentre le figure della Vergine, del Bambino e di san Giovannino appaiono più mosse e vibranti.
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Madonna della quercia
1520 c.
olio su tavola; 144 x 110
Madrid, PradoIl dipinto appare firmato sotto la culla «RAPHAEL PINXIT», ma l’opera fu lasciata incompiuta alla morte del maestro, e fu terminata da Giulio intorno al 1520. La radiografia della tavola, che è testimoniata in Spagna già nel XVIII secolo, mostra un disegno sottogiacente diverso rispetto alla resa finale, in cui si distinguono una maggiore delicatezza nel volto di Maria, la testa calva di Giuseppe e la capigliatura meno folta dei due santi bambini. La critica è concorde nell’attribuire a Raffaello il solo disegno, e non la stesura finale, densa di riferimenti archeologici e dettagli decorativi, particolari estranei all’abituale misura raffaellesca e più tipici della maniera di Giulio.
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Madonna Hertz
1520 c.
olio su tavola; 36 x 30,5
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo BarberiniL’opera, sebbene non sia mai stata attribuita a Raffaello, è fortemente ispirata ai modi del maestro di Giulio Romano. Essa deve la sua denominazione per essere stata acquistata da Henriette Hertz sul mercato romano, dalla cui collezione passò allo Stato italiano nel 1915. Il prototipo del gruppo raffigurato è da individuarsi nell’iconografia bizantina della “Odighitria”, con il bambino benedicente circoscritto dal corpo della madre, mentre per l’impostazione frontale, Giulio Romano appare debitore nei confronti dei disegni di Raffaello del periodo fiorentino. Destinata a un ambiente privato, la tavola è ambientata in un interno domestico, una camera da letto e un corridoio su cui si aprono altre stanze, particolari che denotano la conoscenza della pittura fiamminga.
IconografiaCristo in gloria
1521-1522 c.Non si conoscono dati precisi sulla committenza del quadro, che, secondo la tradizione, proviene dal convento delle monache di San Paolo di Parma, dove era considerato opera di Raffaello. Fu probabilmente commissionato al maestro, di cui è conservato un disegno per la figura del Cristo (Malibu, The John Paul Getty Museum), derivato dalla Disputa. Il Cristo di Giulio appare più frontale e ieratico rispetto alla figura ideata da Raffaello, ed è circondato da un alone giallo sfumato di rosa, che rompe la coltre di scure nubi, da cui affiorano volti e corpi di putti.
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Circoncisione
1521-1522 c.
Paris, LouvreL’opera è talvolta considerata una delle opere lasciate incompiute da Raffaello e terminate da Giulio Romano, anche se la movimentata composizione e l’attenzione per l’ambientazione in un interno non sembrano lasciare dubbi sulla completa autografia del secondo. Alla scena sacra, in primo piano sulla sinistra, assiste una grande folla che si accalca nel tempio, scandito da monumentali e scenografiche colonne tortili, sicuramente debitrici dei contemporanei apparati effimeri, genere in cui Giulio si cimentò in fasi diverse della sua carriera.
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Madonna della gatta
1522-1523
olio su tavola; 172 x 144
Napoli, Museo di CapodimonteIl quadro è ricordato dal Vasari per il particolare della gatta, «tanto naturale che pareva vivissima; onde fu quel quadro chiamato il quadro della gatta». Attribuito ripetutamente sia a Giulio che a Raffaello, il dipinto appare strettamente imparentato con la Madonna della perla, la cui invenzione spetta probabilmente al pittore urbinate. La Madonna della gatta è invece da ascriversi interamente a Giulio, ed è considerata uno dei suoi capolavori. La maniera di disporre la vita domestica intorno al santo gruppo piramidale, distingue infatti chiaramente la costruzione spaziale di Giulio da quella del suo maestro. La scena, fortemente chiaroscurata, anche per mezzo dell’applicazione del nerofumo, è cosparsa di oggetti, dalla culla alla sponda del letto, fino al bellissimo inserto del cestino da cucito, in cui il pittore si dimostra un maestro della natura morta.
Donna allo specchio
1523-1524Il dipinto fu mutilato nel Settecento, quando si ricavò un ritratto ovale dalla testa della donna. Riunite le due parti, in occasione dell’entrata al Museo dell’Ermitage, nel 1840 la tavola fu trasportata su tela. Considerato a lungo il ritratto di Lucrezia Borgia, il dipinto fu in seguito ritenuto il ritratto della famosa amante di Raffaello, la Fornarina, in base alle somiglianze con l’omonimo quadro di Palazzo Barberini. Il tema della donna allo specchio, frequente nella pittura veneta del Quattrocento, non si diffuse a Roma prima del XVI secolo, e probabilmente quest’opera ne costituisce il primo esempio. L’iconografia trova coincidenza con il tipo diffusosi più tardi nella scuola di Fontainebleau, elemento che potrebbe testimoniare l’influenza di Giulio quale diffusore a scala europea dei modi raffaelleschi. La donna siede in una stanza in penombra, accanto agli oggetti della toeletta, da un’apertura sullo sfondo si intravede una luminosa loggia classicheggiante, con una donna e una scimmia.
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Due amanti
1523-1524 circa
tavola trasferita su tela; 163 x 337
San Pietroburgo, ErmitageIl quadro, forse eseguito a Roma per Federico Gonzaga, sembra precedere la partenza di Giulio per Mantova. Esso introdusse nella città un genere erotico e lascivo in voga nella capitale romana. Il dipinto si collega in particolare ai disegni dei Modi, ma costituisce un capitolo straordinario in questo genere di pittura, per dimensioni e virtuosismo pittorico, che non trova paralleli nella produzione italiana. Benché all’Ermitage appaia con il titolo “alto” di Alessandro e Rossana, il dipinto non sembra tratto né dalla storia antica né dalla mitologia e la sua tematica è forse da ricercarsi nella cerchia dell’Aretino.
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Banchetto nuziale di Amore e Psiche
1527-1530
affresco
Mantova, Palazzo Te, Sala di Psiche, parete occidentaleA eccezione della Sala dei Giganti, la Sala di Psiche è l’ambiente con la più imponente impresa decorativa di Palazzo Te. Per il ciclo, derivato dall’Asino d’oro di Apuleio, sono conservati pochissimi disegni preparatori, eseguiti prima del 1527. La grande sala era destinata a banchetti e a feste ristrette, e questo spiega il rilievo conferito al momento del banchetto nuziale di Amore e Psiche, lieto fine delle difficili prove a cui la fanciulla era stata sottoposta per i capricci di Venere. La decorazione appare suddivisa in tre parti, quella del soffitto ligneo, in cui è inserito il riquadro visto di “sotto in su” con le Nozze di Amore e Psiche, e completata dagli ottagoni e dalle lunette del cornicione; la seconda parte, che si svolge sulle pareti sud e ovest, ed è interamente dedicata al Banchetto; la terza parte nella parete settentrionale, dedicata agli amori degli dei. Nella sala, eseguita in tre anni, è possibile seguire lo sviluppo stilistico del primo periodo mantovano di Giulio. La scena della parete occidentale è popolata da figure slanciate e dinamiche, tipiche della produzione di Giulio a partire dal 1527.
IconografiaMarte e Venere al bagno
1527-1530La scena si trova nella parete settentrionale della Sala di Psiche in palazzo Te a Mantova, dedicata in particolare a illustrare gli amori degli dei. Oltre a Marte e Venere vi appaiono infatti anche Bacco e Arianna, Poliremo, Aci e Galatea, Giove e Olimpia. La sala, destinata a ospitare banchetti e feste riservate descrive a scala monumentale il mondo antico della voluttà e del piacere, in cui dei e uomini si congiungono in unioni sensuali. Il piacere e la passione erotica sono dunque il tema dominante dell’intera sala, la cui decorazione è tratta principalmente dall’Asino d’oro di Apuleio, com’era già avvenuto nella Loggia di Psiche per la villa romana di Agostino Chigi, alla cui decorazione Giulio partecipò attivamente.
IconografiaLaocoonte
1536 c.A partire dal 1536, e fino al 1539, Giulio creò un grandioso appartamento nel Palazzo ducale di Mantova, detto di Castello, ma anche di Troia, dal nome della sala principale. Qui egli si riallaccia all’Iliade, il più antico poema epico dell’antichità, e dissemina il soffitto di raffigurazioni di eroiche battaglie tra dei e uomini. Sulle pareti, in scene incorniciate con cura, quasi si trattasse di pitture a olio, appaiono singole scene eroiche, tra cui la Morte di Lacoonte. Ambiente di rappresentanza, la sala era destinata ad accogliere le raccolte ducali di antichità.