Francisco Goya: biografia
Figlio di un maestro doratore, frequenta per alcuni anni lo studio del pittore José Luzán Martínez. Affascinato dalla pittura di Tiepolo conosciuta in Spagna, nel 1769 decide di partire per l’Italia. Tornato in patria e stabilitosi a Saragozza, ottiene l’importante commissione di alcuni affreschi per la basilica del Pilar. Grazie all’appoggio dei cognati, i pittori Ramón e Francisco Bayeu, nel 1774 riceve l’incarico di eseguire i cartoni per l’arazzeria reale di Santa Barbara, un lavoro che lo impegnerà per buona parte della sua vita. Nel 1780 viene accolto come membro della Reale Accademia di San Fernando. Negli anni successivi realizza un ciclo di dipinti a olio con giochi di bambini, comincia a dedicarsi ai ritratti e nel 1784, per il fratello del re, uno dei suoi dipinti più importanti: La famiglia dell’Infante don Luis (Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani Rocca). In questo periodo lavora anche per i duchi di Osuna eseguendo temi campestri per la loro residenza di campagna e alcuni ritratti di famiglia. Dopo aver realizzato La prateria di San Isidro, uno dei cartoni da arazzo per la camera dei principini al Pardo, nel 1789 riceve dal nuovo re, Carlo IV, la nomina a Pittore di camera. Colpito da una gravissima malattia che col tempo lo porterà alla sordità, continua a dipingere ritratti (La duchessa d’Alba, 1795 e 1797) e aspetti di vita popolare (La morte del picador, 1793), ma anche le prime scene di follia, stregonerie e supplizi. Nel 1797 inizia a lavorare ai Capricci, una serie di incisioni dove esprime con grande fantasia la sua ribellione contro ogni forma di oppressione e superstizione. Ai primi anni dell’Ottocento risalgono alcuni dei suoi più intensi personaggi femminili - María Tomasa Palafox marchesa di Villafranca, 1804; Isabel de Porcel, 1804-1805; La maja vestida, 1800-1805; La maja desnuda - e La famiglia di Carlo IV, il più celebre tra i suoi ritratti di gruppo. L’invasione napoleonica del 1808, le feroci rappresaglie e il martirio del popolo spagnolo, lasciano nella sua vita un segno indelebile che trova sfogo nelle incisioni dei Disastri della guerra (1810-1820) e in due celebri dipinti del 1814: il 2 maggio 1808 e il 3 maggio 1808. Le fucilazioni. Caduto in disgrazia a corte, il pittore si ritira nella sua casa di campagna, la “Quinta del Sordo”, ricoprendo le pareti con immagini angoscianti e visionarie: le cosiddette “Pitture nere”. Nel 1824 parte per la Francia e si stabilisce a Bordeaux dove muore nel 1827. I suoi ultimi lavori sono La lattaia di Bordeaux e un ritratto del nipote Mariano.
Francisco Goya: le opere
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Il sacrificio di Pan
1771 circa
olio su tela; 33 x 24
Collezione privataL’opera fu eseguita probabilmente durante il soggiorno romano nel 1771. Questo quadro fa pendant con il Sacrificio di Vesta in cui compare sullo sfondo la piramide Cestia. Goya, che qui dimostra una profonda conoscenza della scultura classica, si ispira per la figura di Pan all’Ercole Farnese, anche se la posizione di profilo mitiga la definizione delle forme, mentre la luce radente le dona fisicità. Lo stile appare ancora acerbo nella schematicità del volto della fanciulla offerente e nei netti tagli di luce, ma già si osserva la fluidità della pennellata che delinea i corpi e i panneggi con chiare lumeggiature. Gli alberi sullo sfondo, resi in maniera sommaria, diventano la quinta teatrale dai quali emergono le armoniose figure, mentre il cielo sulla destra preannuncia le brillanti stesure cromatiche dei cartoni per l’arazzeria di Santa Barbara.
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Il mercante di stoviglie
1778-1779
olio su tela; 259 x 220
Madrid, Museo del PradoL’opera fa parte di una serie di sette cartoni per arazzi realizzati per la camera da letto dei principi al palazzo del Pardo. La tela, una delle più riuscite della serie, coglie l’atmosfera spontanea e allegra di una giornata di mercato nella quale un venditore di stoviglie di Valenza mostra le sue ceramiche ad alcune donne, mentre dal finestrino di una carrozza una dama osserva la scena. La struttura del quadro si articola su una successione di piani obliqui che riunisce in un unico spazio le diverse figure. L’incrocio delle direttrici visive dilata l’immagine e dona una sensazione di ampiezza che va oltre i margini della tela.
La famiglia dell’Infante don Luis
1784La famiglia di Luigi di Borbone fu ritratta durante il soggiorno del pittore presso il principe Luìs, fratello del re Carlo III, ad Arenas de San Pedro, avvenuto in due riprese nel 1783 e nel 1784. L’artista evita per questo ritratto di gruppo i toni ufficiali della ritrattistica di corte e sceglie l’atmosfera intima di una serata qualunque: all’ombra di una fioca candela don Luis fa un solitario, gli amici osservano il gioco, la moglie si fa pettinare, le cameriere sono colte di sorpresa mentre ignare entrano nella scena. Solo la piccola María Teresa svela la finzione osservando curiosa il pittore a lavoro. L’intonazione è semplice e naturale, ogni personaggio è reso con precisione ed esprime sia lo stato d’animo sia il ruolo sociale e professionale. Allo stesso modo de Las meninas di Velázquez anche Goya si ritrae nel dipinto, a testimonianza del legame di amicizia e stima che lo univa ai principi.
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La nevicata
1786-1787
olio su tela; 275 x 293
Madrid, Museo del Pradodipinto fa parte del gruppo di tredici cartoni per arazzi, eseguiti fra il 1786 e il 1788, per la sala da pranzo dei principi al castello del Pardo. I soggetti, ispirati alle quattro stagioni, secondo il tipico gusto rococò, vengono tuttavia trattati da Goya con intenso realismo. Ne La nevicata il pittore mostra gli effetti di un rigido inverno sulle classi più povere e indigenti. I corpi degli uomini si piegano, come le piante spoglie, per difendersi dalle raffiche di vento, il cielo plumbeo pone in risalto il bagliore della neve che si riflette nelle coperte sulla testa dei cacciatori.
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San Francesco Borgia e il moribondo impenitente
1788
olio su tela; 350 x 300
Valenza, cattedraleNel 1786 la duchessa di Osuna commissiona a Goya due tele con episodi della vita di san Francesco Borgia per la rinnovata cappella di famiglia nella cattedrale di Valenza. Nella prima raffigura il congedo del santo dai parenti, avvenuto nel 1550 per dedicarsi alla chiesa, nell’altra il miracolo della liberazione dell’indemoniato. La scena è divisa simmetricamente fra il bene e il male: il male è impersonato dalla livida figura del moribondo spiato da alcuni diavoli, e anche l’ambiente circostante è oscuro e minaccioso. Nella parte destra, dove agisce il santo, vi è una grande finestra, simbolo della luce divina. L’opera viene lodata dai contemporanei per l’accessibilità e l’immediatezza del messaggio religioso: così anche il miracolo diventa evento reale come il getto di sangue lanciato dal piccolo crocifisso all’indemoniato.
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I duchi di Osuna e i loro figli
1788
olio su tela; 225 x 174
Madrid, Museo del PradoIl grande quadro ritrae la famiglia di Pedro de Alcántara, nono duca di Osuna, uno dei principali mecenati di Goya. Uomo colto, attento alle innovazioni scientifiche e culturali, il duca incarna il modello dell’aristocratico illuminato che, nella seconda metà del Settecento, tenta di modernizzare l’arretrata società spagnola. Il duca di Osuna sposa nel 1771 Maria Josefa Alonso Pimentel, contessa di Benavente, dalla quale ha numerosi figli. Anche la duchessa, donna di acuta intelligenza, ha un ruolo importante nella società spagnola, dando vita a numerose iniziative di beneficenza. Goya riesce a scorgere con straordinaria sapienza l’anima dei suoi modelli. Nel gruppo sereno si osserva facilmente la bonomia del duca, l’acuta intelligenza della duchessa, l’ingenuità infantile, sottilmente differenziata, dei quattro bambini.
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Il duca d’Alba
1795
olio su tela; 195 x 126
Madrid, Museo del PradoGoya nel 1795 dipinge il ritratto del duca d’Alba, don José Alvarez de Toledo y Gonzaga, marito di María Teresa Cayetana Alvarez de Toledo, con la quale Goya intreccerà una relazione. Il duca ha da poco fatto rientro da un viaggio in Inghilterra e questo può aver suggerito al pittore di adottare il tipo di ritratto all’inglese, in cui il gentiluomo assume una posizione di grande naturalezza con le gambe incrociate e il corpo appoggiato di fianco su un supporto, in questo caso un pianoforte impreziosito da supporti lignei. Grande attenzione viene poi data agli oggetti che ornano la stanza in modo da definire il carattere e i gusti del personaggio, uomo colto e riservato, appassionato collezionista, che qui appare nella veste di amante della musica, come si può osservare dallo spartito di Haydn e dal violino che si intravede sopra il pianoforte.
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Pedro Romero
1795-1798
olio su tela; 84 x 65
Fort Worth (Texas), Kimbell Art MuseumNel 1795 Goya inizia il ritratto di Pedro Romero (1734 – 1839), uno dei più grandi matador di Spagna che, prima di ritirarsi a vita privata nel 1799, al culmine della carriera aveva abbattuto circa cinquemila tori. Anche se il pittore nutre grande stima per questo straordinario personaggio, nel dipinto preferisce concentrarsi sulle sue qualità umane, evidenziandone il carattere determinato e generoso. Sul fondo oscuro risalta il bel viso dall’incarnato bruno e gli occhi neri dall’espressione vagamente trasognata; se la naturalezza della posa richiama i modelli dei ritratti inglesi, la particolare comunicazione che s’instaura fra il soggetto e l’osservatore appartiene esclusivamente all’opera goyesca.
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La maja desnuda
1797-1800 circa
olio su tela; 97 x 190
Madrid, Museo del PradoQuesta tela viene dipinta per il ministro Godoy assieme alla Maja vestita, in modo che una si sovrapponga e copra l’altra. Sistemate nel gabinetto privato del ministro, fanno parte di una collezione di nudi femminili che comprende oltre a una copia da Tiziano anche la Venere allo specchio di Velázquez, dono della duchessa d’Alba. Per lungo tempo si è pensato che la donna raffigurata da Goya fosse appunto l’avvenente duchessa, mentre rappresenta verosimilmente Pepita Tudo, la giovane amante di Godoy. Se l’opera di Tiziano esercita una notevole suggestione su Goya, questi rinuncia a ogni tipo di idealizzazione: la maja offre allo spettatore con orgogliosa naturalezza il proprio corpo, mostrandone con semplicità tutti i seducenti dettagli anatomici. A causa della prorompente sensualità, l’opera verrà giudicata oscena e quindi confiscata. Si salverà rimanendo nascosta nei depositi dell’Accademia di San Fernando fino al suo ingresso al Museo del Prado nel 1901.
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La famiglia di Carlo IV
1800-1801
olio su tela; 280 x 336
Madrid, Museo del PradoNell’estate del 1800 Goya riceve la prestigiosa commissione di immortalare Carlo IV e la sua famiglia. Dopo aver realizzato una decina di bozzetti di tutti i membri della casata, l’artista dà inizio a questa superba istantanea, dove al di là dell’evidente somiglianza fisica mette a nudo l’intima personalità di ciascun personaggio: dalla baldanzosa arroganza dell’erede al trono, Ferdinando, allo sguardo sciocco della sorella del sovrano, dalle ambiziose mire della regina, alla bonarietà del sovrano. Sul fondo, nella penombra, fa la sua comparsa il pittore stesso, che da dietro la tela osserva lo spettatore. Il richiamo diretto è Las meninas di Velázquez, ma qui, a differenza dell’illustre precedente, non vi è alcuna profondità spaziale, le figure sono allineate orizzontalmente mentre l’artista si mantiene in discreta penombra. Goya preferisce calare le figure nel proprio tempo privilegiando gli aspetti psicologici alla complessa elaborazione prospettica.
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Maja vestida
1800-1805
olio su tela; 95 x 190
Madrid, Museo del PradoQuesto quadro realizzato per il “principe della pace” Manuel Godoy, ha subito lo stesso iter della Maja desnuda, ma mentre quest’ultimo, alla caduta del ministro, fu relegato nei depositi dell’Accademia di San Fernando, la versione vestita venne esposta prima nella stessa Accademia e in seguito al Museo del Prado. Il dipinto, che è eseguito quasi sicuramente dopo la Maja desnuda, divide ancora la critica sul suo misterioso e ambiguo significato, è infatti questa versione a possedere una carica erotica molto più accentuata. Gli abiti sembrano avere come unico scopo quello di far risaltare un corpo provocante e sensuale. La fanciulla inoltre sceglie un tipo di abbigliamento che non appartiene alla sua estrazione sociale, ma si traveste, lasciando allo spettatore il compito dello svelamento.
María Tomasa Palafox marchesa di Villafranca
1804Nel 1804 Goya ritrae María Tomasa Palafox, sposa di Francisco de Borja Alavarez de Toledo, fratello del duca d’Alba, alla morte del quale eredita il titolo di marchese di Villafranca. La giovane aristocratica è intenta a dipingere, una passione che coltivava con profitto tanto da essere nominata accademica di merito. Elegantemente vestita siede su una poltrona rossa, unico accenno di ambientazione, mentre davanti a lei il ritratto del marito sembra acquistare consistenza fisica e dialogare realmente con la moglie. L’immagine della marchesa, priva di qualsiasi desiderio di seduzione, con l’espressione adorante verso il consorte, impersona il prototipo della moglie esemplare, diversamente dalla cognata, la duchessa d’Alba, che incarna quello della maliarda.
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Isabel de Porcel
1804-1805
olio su tela; 82 x 54
Londra, National GalleryIsabel Lobos de Porcel nel 1802 sposa Antonio Porcel, membro del consiglio di Castiglia, del quale Goya realizza un ritratto andato perduto in un incendio nel 1956. La donna indossa un elegante vestito andaluso, regione di cui era originaria, con la mantiglia da cui escono i capelli castani. Il nero dell’abito e la trasparenza del velo accentuano l’effetto per contrasto dello scollo luminoso e della sensualità del volto. La bocca carnosa, gli occhi grandi, i tratti regolari e decisi, donano alla figura una bellezza semplice e sensuale a un tempo. In questo dipinto l’artista riesce a cogliere, con straordinaria precisione descrittiva, l’appassionata vitalità della donna senza rinunciare a metterne in luce la personalità e il ruolo sociale.
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Majas al balcone
1808-1812 circa
olio su tela; 162 x 107
Collezione privataDurante gli anni dell’invasione napoleonica, che il pittore vive come una profonda lacerazione fra le idee progressiste e la brutalità della guerra, si dedica a soggetti di genere diversi da quelli richiesti abitualmente. In questo quadro il tema della maja viene rappresentato nel suo contesto reale di popolana maliarda e non più come travestimento bizzarro delle dame dell’aristocrazia. Le due avvenenti fanciulle dagli occhi ammiccanti adescano dal balcone i clienti, dietro di loro due figure maschili, avvolte nella tradizionale cappa, le sorvegliano. Gli abiti delle majas sono ricchi di guarnizioni che Goya rende con una pennellata breve e veloce, così come la leggerezza dei veli è definita mediante linee molto fini. L’artista gioca sull’evidente somiglianza delle due fanciulle creando un’immagine simmetrica ma dai colori invertiti: al bianco dell’una corrisponde il nero dell’altra.
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3 maggio 1808. Le fucilazioni
1814
olio su tela; 266 x 345
Madrid, Museo del Pradoquadro rappresenta la dura repressione ordinata dal luogotenente Murat in seguito ai tumulti del 2 maggio. La tensione emotiva che si avverte in quest’opera ha indotto la critica romantica a ritenere Goya testimone oculare dell’esecuzione. L’eccidio si svolge nel buio della notte, solo una grande lanterna cubica che emana una luce gialla illumina la scena; sullo sfondo si staglia silenziosa la città. Il plotone di esecuzione, senza volto, nella sua cieca violenza, si oppone alla drammaticità espressiva dei condannati. Non c’è eroismo ma solo terrore: ognuno di loro esprime un atteggiamento diverso verso la morte, ma riassunti tutti nelle braccia aperte dell’uomo dalla camicia bianca che trasforma il suo atto in un grido di inutile resistenza di fronte alla crudeltà degli uomini, e in un appassionato proclama contro tutte le violenze, presenti passate e future.
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2 maggio 1808
1814
olio su tela; 266 x 345
Madrid, Museo del PradoNel 1814, prima del ritorno di Ferdinando VII, Goya si offre al Consiglio di reggenza per realizzare tele nelle quali perpetuare con i suoi pennelli “le più notevoli ed eroiche azioni e scene della nostra gloriosa insurrezione contro il tiranno d’Europa”. Nascono così due grandi composizioni la cui destinazione originaria resta però ignota. La prima, particolarmente cruenta, rappresenta la sollevazione del 2 maggio 1808: i cittadini insorgono contro gli invasori francesi, dando l’avvio alla guerra di indipendenza spagnola. In primo piano un cavaliere viene disarcionato e accoltellato; sulla destra i cavalli intrappolati nella folla fissano con gli occhi smarriti la brutalità feroce della scena. Privilegiando l’aspetto espressivo su quello documentario, Goya evita qualsiasi enfasi facendo emergere la tragica irrazionalità di un mondo governato dalla violenza. Volti trasfigurati dall’odio, gesti furiosi, espressioni smarrite, sguardi disperati.
Autoritratto
1815 circaL’artista, che qui ha sessantanove anni ed è ormai quasi completamente sordo, offre di se stesso un’immagine non autocelebrativa, scevra da qualsiasi idealizzazione: egli si presenta com’è, con tutti i segni che il tempo ha lasciato sul suo volto. Ciò che maggiormente colpisce di questo autoritratto è la vivacità dei tratti, come se l’artista dovesse parlare da un momento all’altro. Goya adotta una gamma di colori assai ridotta ma che grazie a una pennellata vibrante raggiunge un risultato di sorprendente immediatezza visiva e psicologica. Dai diversi autoritratti realizzati nel corso della sua carriera si possono seguire i mutamenti del suo sguardo che si fa via via sempre più disincantato e malinconico, fino alla drammatica scena con il dottor Arrieta (1820).
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Saturno
1820-1823
olio su muro trasferito su tela; 143,5 x 81,4
Madrid, Museo del PradoRealizzato da Goya per la Quinta del Sordo, Saturno che divora il figlio è una delle scene più inquietanti della serie delle “Pitture nere”. Secondo la critica il tema di Saturno, dio della malinconia, governava tutte le scene del pianterreno. Nella scelta del tema si possono forse scorgere sia riferimenti biografici, per l’aggravarsi della malattia, che politici, legati alla repressione antiliberale di Ferdinando VII. La figura terrificante del dio, con gli occhi fuori dalle orbite, è intenta a divorare uno dei figli che, diversamente dall’iconografia tradizionale, non è un bambino ma un uomo orrendamente mutilato. La fonte diretta di questa pittura è il Saturno di Rubens ma, a differenza del modello fiammingo, nel quadro di Goya aleggia un pessimismo senza riscatto.
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La Leocadia
1820-1823
olio su muro trasferito su tela; 145,7 x 129,4
Madrid, Museo del PradoIl dipinto fa parte di un nucleo di quattordici composizioni, dette “Pitture nere”, eseguite da Goya, a partire dal 1820, per la sua casa nei dintorni di Madrid. Questa è probabilmente l’unica immagine di Leocadia Zorrilla de Weiss, la giovane compagna degli ultimi anni di vita dell’artista. A proporre la sua identificazione fu il pittore Antonio Brugada, amico di Goya, chiamato a fare l’inventario delle opere della casa di campagna (1828). La donna, con la veletta sul capo, si appoggia a una tomba. Le radiografie hanno però rivelato che originariamente la ragazza, in una posizione leggermente diversa e senza velo, si appoggiava a un camino. Ma questa radicale trasformazione è forse da attribuire all’arbitrario intervento di un restauratore, dopo i danni sofferti dall’opera con lo stacco della parete avvenuto dopo il 1873. La Leocadia quindi non doveva essere un simulacro della morte, ma più probabilmente una serena immagine domestica collocata in una sala del piano terreno della Quinta del Sordo.
La lattaia di Bordeaux
1825-1827La lattaia è una delle ultime opere eseguite dal pittore, che dal 1824 si è trasferito a Bordeaux in una sorta esilio non dichiarato, dopo la restaurazione di Ferdinando VII. La fanciulla colta di profilo è come assorbita nel proprio mondo; la sua veste, il fazzoletto e i capelli sono resi con una pennellata pastosa e i contorni sfaldati rendono romantica la visione del soggetto. Una vibrazione di luce chiara sul corpo giovane della donna è elemento ultimo di questa sorprendente pittura, che testimonia come anche alla fine della sua carriera Goya riesca a rinnovare il proprio stile in accordo con la nuova pittura romantica europea. E dell’importanza e novità di questo quadro fu consapevole lo stesso artista, che raccomandò alla compagna Leocadia di non venderlo per meno di un’oncia d’oro.