60. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia
Come fa notare Adriano Pedrosa, direttore del MASP di San Paolo del Brasile e curatore della 60. Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, aperta al pubblico dal 20 aprile al 4 novembre, il titolo dell’edizione di quest’anno, Stranieri ovunque - Foreigners Everywhere, può avere diversi livelli di significato: siamo tutti stranieri, a prescindere da dove ci troviamo, e gli stranieri sono dappertutto. Una constatazione della nostra comune natura esistenziale, precaria e impermanente, che quindi ci affratella in un mondo di cui attraversiamo il tempo e lo spazio ma che non ci appartiene e a cui non apparteniamo, oppure un grido d’allarme (basta aggiungere un punto esclamativo) che divide e condanna «per differenze e disparità condizionate da identità, cittadinanza, razza, genere, sessualità, libertà, ricchezza». Intorno a questo titolo che è anche un’affermazione, tratta da una serie di sculture al neon in vari colori e in varie lingue, realizzate a partire dal 2004 dal collettivo Claire Fontaine riprendendo il nome di un collettivo torinese antirazzista dei primi anni Duemila, si sviluppa la riflessione della mostra internazionale del curatore, che si confronta in modo diretto con l’attualità e raccoglie le testimonianze e le prese di posizione del panorama artistico globale.
Anche quest’anno le opere scelte dal curatore – brasiliano, il primo sudamericano nella storia della Biennale Arte – sono esposte principalmente nel padiglione centrale ai Giardini e negli spazi dell’Arsenale, con un nuovo spazio alle Gaggiandre, privilegiando artisti «essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, “émigrés”, esiliati e rifugiati, in particolare coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo», che non hanno mai partecipato alle precedenti edizioni e con una particolare attenzione ai progetti all’aperto.
La stessa parola “straniero” (“estrangeiro” in portoghese, “étranger” in francese, “extranjero” in spagnolo, “stranger” in inglese) deriva dal latino “extraneus”, “estraneo, esterno”, proprio come la parola “strano”. I due i nuclei portanti della mostra internazionale – storico e contemporaneo – affrontano le varie accezioni in cui si manifesta il significato della parola “straniero” e la produzione artistica “strana”, “esterna”, lontana, ai margini: queer, folk o autodidatta, outsider, indigena, quest’ultima spesso emarginata anche nella propria terra d’origine, caratterizzata a volte – è uno dei letimotiv della mostra – da pratiche familiari che si tramandano di generazione in generazione. Per il nucleo contemporaneo, accolgono i visitatori un murale del collettivo brasiliano Mahku sulla facciata del padiglione centrale; nella prima sala delle Corderie una grande installazione del collettivo neozelandese Maataho. Una sezione speciale è dedicata a Disobedience Archive, un archivio video incentrato sulle relazioni tra pratiche artistiche e attivismo sviluppato da Marco Scotini, suddivisa in due parti, “Attivismo della diaspora” e “Disobbedienza di genere”, con opere di trentanove artisti e collettivi tra il 1975 e il 2023.
Il nucleo storico presenta opere del modernismo globale e dei vari modernismi espressi dal Sud del mondo, come in Brasile le espressioni artistiche intorno al Manifesto antropófago (1928) del poeta brasiliano Oswald de Andrade, dipinti ma anche opere su carta, sculture e numerosi lavori tessili – un altro tema ricorrente della mostra – dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo. Una storia spesso sconosciuta, raccontata da opere organizzate in tre diverse sale del padiglione centrale: astrazioni, con lavori di trentasette artisti; ritratti, con la presenza di ben centododici artisti; la diaspora artistica italiana del XX secolo nel mondo, con opere di oltre quaranta artisti di prima o seconda generazione, allestite negli espositori creati dall’architetta e designer Lina Bo Bardi (1914-1992), nata in Italia e naturalizzata brasiliana.
Sono ottantotto le partecipazioni nazionali dell’edizione 2024, nei padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e anche in alcuni luoghi in città. Assente la Russia, ritorna la Santa sede con l’esposizione Con i miei occhi, a cura di Chiara Parisi e Bruno Racine, nella Casa di reclusione femminile alla Giudecca. Partecipano per la prima volta la Repubblica del Benin, l’Etiopia, la Repubblica democratica di Timor Leste e la Repubblica unita della Tanzania ed è presente con un proprio padiglione, ai giardini di Sant’Elena, anche il Comune di Venezia. Il Padiglione Italia, alle Tese delle vergini all’Arsenale, a cura di Luca Cerizza, presenta il progetto Due qui / To Hear di Massimo Bartolini, con contributi di musicisti e scrittori sul tema dell’ascolto e del dialogo fra culture. Premiate con il Leone d’oro alla carriera l’artista brasiliana, italiana di nascita, Anna María Maiolino, e Nil Yalter, artista turca residente a Parigi, entrambe partecipanti per la prima volta alla Biennale.
Oltre ai trenta eventi collaterali in programma, alle attività educational, alle Biennale Sessions per università e accademie, agli eventi organizzati dall’Archivio storico della Biennale e ai lavori fuori concorso realizzati dai finalisti di Biennale College Arte, sono da ricordare i due progetti speciali dell’edizione 2024: dieci opere dell’artista italiana Nedda Guidi (19-27-2015), presentate nella Polveriera austriaca di Forte Marghera (Mestre), e il padiglione di arti applicate in collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra, quest’anno curato dallo stesso Adriano Pedrosa, che presenta sette dipinti e altrettanti collage di grandi dimensioni della brasiliana Beatriz Milhazes.
Ilaria Ferraris