Fabrizio Cotognini “libera” i suoi uccellini in tre sedi milanesi
Transitum. Fabrizio Cotognini
La mostra appena inaugurata alla Fondazione Beyeler di Riehen ha dell’eccezionale perché sono davvero rare le occasioni di vedere ampie retrospettive dedicate a Vija Celmins, artista lituana naturalizzata statunitense che nel corso della sua carriera ha realizzato complessivamente solo circa duecentoventi opere fra dipinti, disegni e sculture. Un corpus esiguo, dovuto da un lato alla meticolosità del modus operandi di Celmins e dall’altro al suo rifiuto di piegarsi alle tendenze dominanti nel mondo dell’arte.
Il percorso attraversa l’intera carriera dell’artista in chiave cronologica e presenta circa novanta opere tra dipinti, disegni, stampe e sculture che, tutte assieme, consentono di cogliere l’invito di Celmins a sostare davanti alle opere, fissandole da vicino e scrutandole in profondità, così da contemplare la tensione che scaturisce tra spazio e superficie, tra prossimità e distanza, tra quiete e movimento. L’incipit della mostra è rappresentato da alcuni dipinti di oggetti quotidiani dei primi anni Sessanta ispirati alle lezioni di Giorgio Morandi e Diego Velazquez che l’autrice ha scoperto durante un viaggio in Italia e Spagna nel 1962; realizzati a Los Angeles, si distanziano tuttavia dai colori vividi e dalla luce squillante della California per adottare una tavolozza smorzata di marroni e grigi, ravvivata da occasionali tocchi di rosso elettrico. Si datano tra il 1965 e il 1967 le tele che raffigurano bombardieri sospesi contro un cielo grigio o precipitati al suolo per ricordare i drammi delle guerre, mentre nel periodo seguente, fino al 1992, Celmins si concentra sui disegni tratti da foto pubblicate su libri e riviste o scattate da lei stessa. I soggetti privilegiati sono le nuvole, la superficie della luna e le galassie – era l’epoca delle prime esplorazioni spaziali -, i deserti silenziosi e immobili e gli oceani. Altre opere ci pongono di fronte a una delicata meditazione sul passare del tempo che si manifesta attraverso dipinti e disegni a carbonicno che replicano delle ragnatele, oppure le texture di diversi oggetti: la copertina di un libro giapponese, lo smalto incrinato di un vaso coreano, la superficie graffiata di lavagnette d’ardesia, la materia bucherellata di una conchiglia. I lavori più recenti – che sono anche i più grandi - prendono invece vita da scatti fotografici di fiocchi di neve illuminati contro il cielo buio. Un senso di profondo silenzio e meraviglia permea la poetica di Celmins, consentendo così ai visitatori di immergersi in un universo capace di restituire un ritmo diverso e atmosfere assai suggestive.
Marta Santacatterina