La nuova Fondazione Prada
L’hanno definita con differenti, ma sempre encomiabili espressioni, la nuova sede della Fondazione Prada a Milano, inaugurata il 9 maggio 2015: il «vero Padiglione Italia» (Michele Dantini, “Artribune”, in vincente confronto con il banale e raffazzonato progetto italiano dell’Expo); «un moderno simposio platonico» (Aldo Colonetti, come si leggerà nel prossimo numero di “Art e dossier”, settembre 2015); «la periferia d’oro di Rem Koolhaas» (Stefano Bucci, “Corriere della Sera”). Resta comunque difficile dare un’unica definizione a questi ariosi spazi milanesi voluti da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli per la nuova Fondazione Prada, alla periferia sud di Milano. Ci affidiamo allora a sensazioni più istintive, dopo la visita nel giorno più infuocato degli ultimi centocinquant’anni (anche alla prova del caldo torrido, alle due del pomeriggio, e fino alla chiusura, questi spazi accoglienti non hanno deluso, neppure passeggiando all’aperto per passare da un padiglione all’altro). Siamo al massimo a venti minuti d’auto dalla stazione centrale (traffico permettendo), e il tassista che ci conduce ricorda già questa area come quella «della strana fabbrica rivestita d’oro» (in realtà la foglia d’oro riveste, in modo mai pacchiano e sorprendentemente nuovo e asimmetrico, solo alcune pareti degli edifici che compongono il vasto complesso). Molti altri materiali desueti sono stati usati per le rifiniture degli edifici, fra i quali oltre al più comune plexiglas, il travertino dell’Iran. Fa caldo, ma ci sono visitatori, giovani e non, italiani e stranieri, anche alle due del pomeriggio, e anche bambini nel passeggino: a conferma che questo è davvero il più illuminato esempio in Italia di iniziativa privata nel campo culturale. La Fondazione Prada si avvale della supervisione artistica e scientifica di Germano Celant, ed è struttura aperta, in dialogo fra i dipartimenti curatoriali coordinati da Astrid Welter, Mario Mainetti e Alessia Salerno, il Thought Council, nato con Shumon Basar, Nicholas Cullinan e Cédric Libert, cui si sono aggiunti Elvira Dyangani Ose e Dieter Roelstraete, destinato a variare nel tempo. Alla sede di Milano si affianca l’altrettanto suggestiva location veneziana, inaugurata nel 2011 nello storico palazzo Corner della Regina, affacciato sul Canal Grande: due strutture così apparentemente diverse, quella milanese in una zona anonima, e quella prestigiosa del settecentesco edificio veneziano, che pure ben dialogano fra loro. Nelle intenzioni dei curatori la struttura milanese dovrebbe somigliare più a un campus che a un’Arcadia: uno spazio utile agli incontri e al confronto, destinato a cancellare le differenze fra semplicità e glamour, architettura industriale e minimalismo, fashion e popular. Il gruppo di edifici, che si articolano in una superficie totale di diciannovemila metri quadri (dei quali oltre dodicimila aperti al pubblico) sono stati riadattati dallo studio Oma diretto dal celebre architetto olandese Rem Koolhaas da sette corpi di fabbrica di una distilleria, fondata agli inizi del Novecento; altri tre, il Podium, il cinema e la Torre, sono stati ideati ex novo dallo stesso studio. La Torre, ancora in costruzione (sarà inaugurata nel 2016) l’abbiamo vista coperta di ponteggi, simile a un quadro fiammingo della torre di Babele con gli operai al lavoro. Sappiamo che ospiterà, fra gli altri spazi, anche un grande ristorante. Intanto, subito all’ingresso (oltre la strada un ampio parcheggio gratuito accoglie i visitatori) è consigliabile soffermarsi, per cominciare ad adattarsi a questa bella atmosfera, nel luminoso ambiente del Bar Luce. L’idea vincente si deve al regista Wes Anderson (quello di Grand Budapest Hotel), che si è ispirato negli arredi e nei rivestimenti agli anni Cinquanta Sessanta, con mobili di formica sui toni del verde menta, il pavimento in terrazzo veneziano, una simpatica raccolta di bottiglie colorate per il seltz, vasi di vetro per caramelle, e citazioni grafiche della Galleria Vittorio Emanuele. Ottimi panini, dolci e gelati a prezzi non esosi sono graditi al visitatore che vuole soffermarsi, leggere, meditare su quanto ha visto o raccogliere le idee per quello che andrà a vedere. Da qui si può entrare direttamente, senza uscire di nuovo, nel padiglione dove stanno anche il desk dell’accoglienza, i servizi e il guardaroba. Da qui andiamo nel Podium, immenso loft vetrato a due piani inaugurato dalla spettacolare esposizione Serial Classic, di Salvatore Settis e Anna Anguissola, che con decine di esempi insiste sull’idea della serialità dell’arte classica, iterativa e portatile (quest’ultimo concetto è approfondito alla mostra gemella della Fondazione Prada a Venezia). La Haunted House (Casa degli Spiriti) è invece uno spazio permanente a più livelli, ai quali si accede da una parete dorata, che ospita installazioni della compianta Louise Bourgeois (scomparsa quasi centenaria nel 2010) e del più giovane Robert Gober (1954), che ben dialogano fra loro sui temi dell’ingresso (la porta), la sessualità, il corpo. L’edificio del cinema è arricchito nel foyer della Battaglia in ceramica di Lucio Fontana: un fregio quasi picaresco animato da cavalli e cavalieri che Fontana aveva disegnato nel 1948 per decorare la parte inferiore dello schermo del cinema Arlecchino di Milano, ideato lo stesso anno. Le collezioni permanenti proseguono nel sotterraneo Processo grottesco del tedesco Thomas Demand, classe 1964: impresa titanica di ricostruzione con cartoni forgiati dell’antro di una grotta di Maiorca, che non è la vera e propria opera, bensì l’installazione realizzata per arrivare a scattare una riproduzione della simil-grotta, in grande scala (alla Thomas Struth, per intendersi), installazione arricchita da centinaia di cartoline con grotte di tutto li mondo con stalattiti: luogo sotterraneo e claustrofobico che non è reale, né del tutto irreale, ma che neppure definiremmo surreale. Indefinibile, ancora una volta. Negli altri spazi è un susseguirsi di capolavori di artisti contemporanei di tutto il mondo, da Koons a Pascali, da Warhol a Vezzoli, da Cornell a Manzoni e decine di altri, dalla strepitosa collezione Prada. Speriamo che possano trovare esposizione pubblica permanente anche le installazioni di Eva Hesse (1968), Damien Hirst (con la geniale ricostruzione di un acquario), Pino Pascali (col suo metro cubo di terra), anche se lo spazio che ospita attualmente questo Trittico è destinato a ospitare altre opere a rotazioni dalla collezione di Miuccia Prada. “Museo” nel suo più ampio significato da dieci e lode, finalmente all’altezza di iniziative straniere legate al contemporaneo.
Gloria Fossi
Progetti in corso:
Serial Classic (9 maggio - 24 agosto 2015)
An Introduction (9 maggio 2015 - 10 gennaio 2016)
In Part (9 maggio - 31 ottobre 2015)
Trittico (9 maggio 2015 - 10 gennaio 2016)
Robert Gober / Louise Bourgeois (installazione permanente)
Processo grottesco (installazione permanente)
La nascita del libro dallo spirito della natura (intervento temporaneo) Roman Polanski: My Inspirations (22 maggio - 25 luglio 2015)
Bar Luce (dal 9 maggio 2015)
Accademia dei bambini (dal 9 maggio 2015), progetto a cura di Giannetta Ottilia Latis, ideazione dello spazio in collaborazione con gli studenti dell’Ecole nationale supérieure d’architecture de Versailles, sotto la direzione di Cédric Libert ed Elias Guenoun