Michelangelo Pistoletto, le origini e le conseguenze a Londra
“Anche la scultura rappresenta un’ulteriore conferma di come l’opera di Pistoletto, nel suo complesso girovagare tra l’io e l’altro, tra tempo e spazio, sin dalla fine degli anni cinquanta, non faccia altro che circuire la realtà distraendola dalla rappresentazione. L’arte non solo confina con la vita, ma la invade, in un circolo virtuoso dove tutto appare intercambiabile e profondamente instabile.” A scrivere è Alberto Fiz, critico d’arte e curatore della mostra Michelangelo Pistoletto: Origins and Consequences, in corso nelle sale londinesi della Galleria Mazzoleni. In scena ancora fino al 15 dicembre, le opere raccolte sui due piani della galleria vanno dal 1958 al 2012 e permettono al visitatore di ripercorrere il percorso visivo e concettuale dell’artista a partire da alcuni dei suoi esordi a opere più conosciute. La sala che raccoglie i tre dipinti con figure maschili, tra cui “L’uomo nero” (1959), dà sicuramente il via al racconto rendendo da subito chiare ed evidenti le esplorazioni del ritratto/autoritratto, precursori del linguaggio più maturo dell’artista. Se nel 1960 i suoi autoritratti erano caratterizzati da sfondi monocromi oro, argento e rame, è solo nel 1962 infatti che Pistoletto comincia ad usare materiali riflettenti applicando le immagini dipinte su carta velina (in mostra “Scultura di Chamberlain” del 1965) e in seguito serigrafate, su lastre di acciaio inossidabile. La delicata e profonda dualità di queste opere diventano la cifra stilistica dell’artista che indaga il significato dell’immagine e non rinuncia mai all’elemento performativo dell’opera pur trattandosi di quadri. “I Quadri specchianti - afferma Pistoletto - suggeriscono una doppia proiezione, nella parete e fuori, nello spazio dell’osservatore. In un certo senso integrano pittura e scultura.” A conferma arriva la bellissima opera in mostra “Dono di Mercurio allo Specchio” (1971) nella quale una statua in bronzo di Ebe, dea della giovinezza, è strategicamente posizionata di fronte allo specchio e richiama la – molto più famosa – Venere degli Stracci (1967). Da segnalare, per la potenza visiva e intellettuale racchiusa, “Figura che si guarda” (1983), emblema della sua arte e del suo rapporto con la figura umana.
Costanza Rinaldi