Art e Dossier

Robert Doisneau racconta se stesso e la fotografia

categoria: Cataloghi e libri


All’imperfetto dell’obiettivo
Robert Doisneau

Contrasto, Roma 2025
pp. 208, € 29, 90
https://contrastobooks.com/
 

“State per leggere un libro di Robert Doisneau, inizialmente pubblicato senza fotografie. Doisneau lo vide uscire nel 1989, quand’era poco meno che ottantenne, dopo aver già scritto un’autobiografia. Cos’è questo libro? Sicuramente, una piccola appendice di scrittura libera e spensierata, un libro di ricordi di persone, luoghi, eventi, un libro di riflessioni non impegnative sulla fotografia, i suoi vizi e le sue virtù, che già dalle prime pagine è un atto di gratitudine verso quella macchinetta magica che per una vita gli aveva permesso di écarquiller les yeux (‘sgranare gli occhi’) su un mondo in cui dopotutto aveva provato piacere a vivere.

 

Ritroverete, in queste pagine, il carattere del loro autore, quello che dovreste avere imparato a conoscere nelle sue immagini: curiosità, divertimento, leggerezza, precisione, affabilità, malinconia, teatralità. Ma è singolare che Doisneau scrittore non tenti minimamente un esercizio mimetico rispetto al fotografo; le sue prose sono assai poco visuali, quasi per nulla descrittive, i suoi ritratti di personaggi non contengono alcuna definizione fisica del loro volto, del loro aspetto. Queste pagine invece sono impregnate di cose che nelle fotografie non ci stanno, i suoni, gli odori, i sapori, che l’imperialismo concettuale delle parole riesce ad acchiappare, e la limitatezza bidimensionale dell’immagine invece no”. Con queste parole Michele Smargiassi accompagna i lettori oltre l’uscio de All’imperfetto dell’obiettivo, l’autobiografia di Robert Doisneau recentemente pubblicata in italiano da Contrasto e arricchita non soltanto dalle considerazioni di Smargiassi, ma anche da un efficace apparato di scatti a firma dello stesso Doisneau. 

Approdato sul mercato in lingua francese nel 1989, il volume raccoglie aneddoti, pensieri, ricordi messi in fila dal loro legittimo “proprietario”, il quale, in età matura, riannoda il filo di una esistenza trascorsa dietro l’obiettivo. Conosciuto per il suo talento nel cristallizzare le atmosfere di Parigi in immagini passate alla storia, il fotografo scomparso nel 1994 non è soltanto l’autore di istantanee epocali come Baiser de l’Hôtel de Ville – “la sua icona assoluta, il bacio più bacio di tutti i baci”, scrive Smargiassi, “[…] invadente e alla fine fastidiosa per il suo creatore ‒, ma è la summa delle tante, e spesso rocambolesche, esperienze collezionate nell’arco di una vita intensa, che Doisneau commenta fra le pagine del libro. Attingendo dai suoi preziosi taccuini riposti in scatole da scarpe, il fotografo scorrazza fra le strade della sua vicenda umana e professionale, lasciando emergere spezzoni di memoria, incursioni nelle periferie, l’iniziale imbarazzo al cospetto della moda, le sessioni di posa – non sempre riuscite – con gli artisti, i nomi degli amici e dei colleghi che lo hanno ispirato. Reportage, fotografie d’industria, ritratti, pubblicità, servizi di moda si rincorrono e si alternano nella lunga carriera di Doisneau, il quale annota: “Credo fermamente che non esistano verità a una sola faccia, bensì che il loro profilo possa essere modificato all’infinito, se solo si ha il coraggio di abbandonare punti di osservazione troppo facili”. Facilità e mediocrità sono concetti lontani dai desideri di Doisneau, descritto da Smargiassi come “tutt’altro che un ingenuo raccoglitore di fiori”, piuttosto “un consapevole codificatore di sentimenti, affezioni, idee. Era questa, per lui, la vera fedeltà al reale”. C’è molta realtà nel dialogo instaurato con gli artisti – basti pensare al “dietro le quinte” del famoso ritratto di Pablo Picasso con le mani sostituite da pagnotte di pane ‒ o nel modo in cui Doisneau racconta i suoi modelli di riferimento: “Il vero choc salutare che poteva ricevere un giovane fotografo mi arrivò nel 1933, con Paris de nuit di Brassaï. Le immagini, raccolte alle frontiere delle tenebre con i mezzi disponibili all’epoca, rappresentavano già una conquista. Brassaï non poteva essere confinato nei limiti di un abile praticante. Aveva scelto la fotografia come mezzo per registrare i suoi stupori di nottambulo. Ma quell’osservatore, sempre all’erta, faceva ricorso a diversi mezzi espressivi: a volte fotografo, ma anche disegnatore, scultore e, il giorno dopo, cineasta. Era persino uno scrittore di talento e, per di più, un attore quando raccontava le sue storie. Credo che solo la musica sia sfuggita alla sua presa. In tutto ciò, detestava ogni tono familiare di cattivo gusto. Estremamente consapevole del proprio valore, Brassaï era un vero signore ungherese”.

Doisneau concede poco spazio alla nostalgia ‒ “Guardo le mie vecchie fotografie solo per necessità. Ogni volta che le esamino, sono pervaso dalla nostalgia che si prova per tutto ciò che evoca una giovinezza passata. Le uniche immagini che riesco a tollerare sono quelle in cui riscopro la mia goffaggine da principiante, così come è emozionante riscoprire un compito scolastico pieno di errori di ortografia” – e, seppur con una nota di fastidio, lascia che la forza del cambiamento agguanti anche il mezzo fotografico. “Che mi piaccia o no”, scrive, “eccomi diventato uno dei sopravvissuti di un’epoca in cui la fotografia era considerata poco più di un sonaglio, buona solo per intrattenere il popolo, e tollerata dall’élite solo quando era confinata all’umile ruolo di servitrice delle Belle Arti. […] L’inversione di tendenza è forse dovuta ai miglioramenti tecnici che all’inizio ci hanno fornito strumenti più affinati. Prima obbedienti al dito e, soprattutto, all’occhio, poi irti di dispositivi sempre più ingegnosi, ora sono diventati apparecchi che ragionano in maniera autonoma: sfuggono alla volontà dell’utente e cominciano a produrre essi stessi immagini deliranti di cui non rimarrà nulla.

Le macchine possono privarci del piacere animale di vedere, che è la difesa più efficace contro l’inquinamento visivo delle immagini pubblicitarie e di quelle contenute in una prosa il cui scopo dichiarato è di porci in uno stato di choc. Si può comprendere la tentazione di cedere a un’anestesia che ci permetta di attraversare, in un comodo stordimento, un’epoca piena di minacce. Nessun meccanismo può, al posto nostro, ritrovare nell’universo visibile ciò che ha popolato i nostri sogni”. Viene da domandarsi come Doisneau leggerebbe la realtà – fotografica e storica – dei giorni difficili in cui siamo immersi.

Arianna Testino