Un'intervista a Hans Belting
Il nostro direttore editoriale Claudio Pescio intervista Hans Belting,storico dell'arte tedesco specializzato nell'arte del Medioevo e del Rinascimento. Il 13 novembre scorso, a Berna, Hans Belting – ottant'anni – ha ricevuto il premio Balzan 2015 per la storia dell'arte e delle immagini. Belting, uno dei massimi studiosi di iconologia, è il fondatore della Scuola di design e arte di Karlsruhe.
In cosa consiste, oggi, il lavoro di uno studioso delle immagini, e in quali campi può trovare applicazione? È un lavoro sempre più interdisciplinare. Chi studia le immagini non può non incrociare storia, arte, antropologia... Solo così si può arrivare a comprendere quale sia, oggi, l'uso sociale (politico, religioso ma non solo) delle arti.
Il metodo iconologico classico prevede che un’opera abbia diversi livelli di lettura e che all’iconologo spetti il compito di decifrare il significato delle immagini. È ancora possibile applicare questo principio a un mondo di immagini che provengono da tante culture diverse? Gli studi fondamentali di Erwin Panofsky purtroppo non prevedevano un'applicazione dell'iconologia tout-court alle immagini, bensì alle opere d'arte. Oggi servirebbe una riteorizzazione della "scienza delle immagini": un nuovo metodo teorico di approccio al mondo delle immagini, soprattutto in funzione del mondo digitale. Questo scopo è parte del mio lavoro di ricerca.
La crescita esponenziale del numero di immagini fruibili da ciascun individuo non rischia di impoverire di senso l’esperienza visiva e paradossalmente di riportare la scrittura a essere il principale contenitore di informazioni? È un problema culturale grave, assistiamo a un'apparente scissione tra parola e immagine, ma non dobbiamo dimenticare che il pensiero e la creatività è di immagini che si nutrono, da sempre. Nella realtà non esiste una contraddizione fra questi due ambiti.