Giovanni Battista Piranesi : biography
Giovanni Battista Piranesi - incisore, architetto e innovatore della tradizione prospettica settecentesca della veduta monumentale - nacque il 4 ottobre 1720 a Moiano, presso Mestre (Venezia). Figlio di uno scalpellino, fratello di un monaco certosino dal quale avrebbe imparato il latino e la storia romana e nipote di Matteo Lucchesi, importante architetto della Serenissima, Giovanni Battista condusse il suo primo apprendistato nel 1735 presso l’architetto-ingegnere Giovanni Scalfarotto, studiando nel contempo scenografia e incisione preso la bottega di Carlo Zucchi. Come era consuetudine all’epoca, non poté sottrarsi alla scelta di Roma come luogo di una profonda esperienza formativa, e così giunse nell’Urbe per la prima volta nel giugno del 1740, con un incarico di disegnatore al seguito dell’ambasciatore veneto Francesco Venier. A Roma, Piranesi, tra le tante esperienze di studio, di stimolante ricerca e di contatto con gli artisti e gli intellettuali più significativi residenti in città, iniziò a incidere piccole Vedute per editori romani, frequentando lo studio dell’incisore Giuseppe Vasi. Non riuscendo a trovare invece credito come architetto, decise di tornare brevemente a Venezia (tra il 1743 e il 1744) per mettere a punto alcuni aspetti sia tecnici che teorici della sua arte. Così pubblicò la sua prima raccolta di incisioni: Prima parte di architetture e prospettive […]. Dopo una probabile frequentazione della bottega di Tiepolo, Piranesi nel 1744 tornò a Roma dove aprì una sua bottega in via del Corso, proseguendo la sua attività di incisore di vedute, lavorando con il topografo Carlo Nolli alla Pianta del corso del Tevere e cominciando Varie vedute di Roma antica e moderna […] (1745, serie arricchita poi nel 1748 e nel 1750). In quegli stessi anni, Piranesi lavorava alla prima edizione di Invenzioni Capricci di carceri all’acquaforte (poi riedite con un arricchimento di due tavole nuove e con mutamenti tecnici e stilistici nel 1761), la più celebre serie di stampe dell’artista, che rivela una chiara conoscenza delle raffinate tecniche illusionistiche della scenografia contemporanea, oltre che della visionaria poetica del “sublime”. A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, pubblicò poi una serie di opere per lo più a carattere monografico, con un preminente interesse documentario: nel 1748 uscì Alcune vedute di archi trionfali ed altri monumenti innalzati da’ romani, nel 1750 Opere varie di architettura, prospettive, grotteschi, antichità e nel 1753 Trofei di Ottaviano Augusto innalzati per la Vittoria ad Actium e conquista dell’Egitto […]. L’opera che consacrò definitivamente Piranesi nell’ambiente romano furono i quattro volumi de Le antichità romane, usciti nel 1756 e riediti postumi nel 1784. Le ricerche di Piranesi rientrarono nel dibattito archeologico e storico dell’epoca, entro cui egli si poneva come difensore dell’autonomia tecnica, strutturale ed estetica dell’architettura romana (ed etrusca) rispetto a quella greca. Anche il metodo di analisi di Piranesi fu molto apprezzato, soprattutto negli ambienti scientifici britannici, che nel 1757 contribuirono a eleggerlo socio della Royal Society of Antiquaries di Londra, ancor prima di divenire professore della romana Accademia di San Luca. Nel 1760 Piranesi, che nel frattempo iniziava a esercitare un forte ascendente nei confronti dei giovani architetti e pittori stranieri a Roma, decorò il Caffè degli inglesi con figure egizie e geroglifici, assecondando la moda del momento interessata alle culture precedenti la romanizzazione. Con l’arrivo al pontificato del nobile veneziano Carlo Rezzonico, papa Clemente XIII, dal 1758 al 1769, Piranesi ebbe finalmente ascolto anche nelle più alte sfere istituzionali. Il papa avrebbe infatti finanziato la pubblicazione di una grande opera, intitolata Della Magnificenza ed architettura de’ romani, che intendeva esaltare, contro ogni polemica, la superiorità e l’originalità estetica e formale della cultura romana. A questa seguì un’altra impresa quasi coeva: Il Campo marzio dell’antica Roma, dedicata a Robert Adam e nel 1764-1767 un’unica opera di progettazione architettonica: la trasformazione della chiesa di Santa Maria del Priorato, dei Cavalieri di Malta, all’Aventino. Proprio in questa chiesa, per volere di moglie e figli, venne trasferito il corpo di Piranesi, dopo la morte avvenuta in seguito a una lunga malattia il 9 novembre del 1778, in quella città ove fino alla fine dei suoi giorni aveva continuato le sue ricerche e i suoi studi.
Giovanni Battista Piranesi : the works
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Ara Antica sopra la quale si facevano anticamente i sacrifizi con altre ruine all’intorno in Prima parte di architetture e prospettive […]
1743
acquaforte; mm 240 x mm 350La tavola fa parte della prima raccolta di incisioni del Piranesi, più tardi incorporata nelle Opere Varie, che rivela tutto il suo bagaglio formativo che va dalla tecnica dei Bibiena allo stile di un acquafortista italiano del Seicento di grande talento, il genovese Benedetto Castiglione, fino all’irruenza dell’immaginazione di Fischer von Erlach e all’impaginazione dei vedutisti. Così scrisse a proposito dello stile di questa tavola Henri Focillon nella sua importante monografia dedicata a Piranesi nel 1918: "Quanto di muschioso, di sgretolato, di irriconoscibile è nella pietra delle rovine, è qui espresso con un “tratteggio” di tacche corte e arricciate molto gustose, in cui appare il punteggiato, specialmente nelle figure del bassorilievo, ma con varietà e con un certo calore. La tavola è relativamente sovraccarica e le luci sembrano vellutate come le ombre […]".
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Capriccio con altorilievi di leoni [Carcere V]
da Carceri in Opere Varie di architettura, prospettive, grotteschi, antichità, I stato
1749-1750
acquaforte; mm 560 x mm 410In questo caso la definizione di “Capriccio” si riferisce alle Carceri. La grande prospettiva di arcate, travi e cordami è arricchita dalla presenza di altorilievi, in basso con leoni e, in mezzo, con guerrieri sormontati da armature e catene. Il carattere emozionale di simili fantasie architettoniche, popolate di reperti archeologici reali e al tempo stesso immerse in un’atmosfera di pura visionarietà ha fatto delle Carceri l’opera più intensa e più celebre della produzione piranesiana, giustificandone la ricorrente interpretazione preromantica. Secondo lo scrittore francese De Quincey, Piranesi avrebbe addirittura eseguito le Carceri in stato di delirio, di incubo e di angoscia da droga. Certamente Piranesi trasformò in modo visionario e “sublime” il misero carcere Mamertino di Roma, che comunque ai suoi occhi poteva apparire un simbolo della grandezza dei romani, nel senso di Montesquieu e di Vico e in contrapposizione al Winckelmann, il quale sosteneva la scarsa “magnificenza” della Roma antica.
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Capriccio di scale e arcate con fumo bianco [Carcere VI]
1750
acquaforte; mm 540 x mm 400Una vasta prospettiva di volte, sostenute da pilastri, da sostegni e da fughe di archi è attraversata da una robusta carrucola le cui funi pendenti sono fissate in basso. In mezzo, sopra l’arcata inferiore, inizia a sprigionarsi del fumo bianco. Tutta l’atmosfera di questa immagine incisa crea l’illusione di un’affascinante immensità dove lo sguardo si smarrisce non trovando punti di appoggio. Proprio in questi ballatoi, scale, ponti sospesi nel vuoto una letteratura visionaria e romantica (Coleridge e De Quincey “in primis”) ha colto le ricche e molteplici reazioni emozionali che le Carceri offrivano, deviando inevitabilmente verso interpretazioni extraformali. Acutamente, uno scrittore più recente e sensibile come Borges dirà delle Carceri che "rappresentano poderosi palazzi che sono anche labirinti inestricabili".
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Carceri d’invenzione di G. Battista Piranesi
da Carceri in Opere Varie di architettura, prospettive, grotteschi, antichità, I Frontespizio, II stato
1750
acquaforte; mm 540,50 x mm 410Si tratta del frontespizio del secondo stato della famosa opera Carceri, composta da 16 tavole. In questa prigione con una ruota di tortura, una passerella, una figura incatenata, un affascinante sovrapporsi di scale sospese nel vuoto e una fuga di balaustre, archi, travi e cordami si possono rintracciare forti legami con l’immaginario legato all’illusionistica e sofisticata scenografia contemporanea e anche con la memoria del visionario Arsenale veneziano. La critica, attraverso l’analisi delle Carceri, ha spesso sottolineato la partecipazione piranesiana alla teoria inglese del “sublime” e la volontà di mettere in crisi il sistema spaziale rinascimentale-barocco. Il titolo “d’invenzione” vorrebbe distogliere, forse, la ricerca da un riscontro effettivo con un luogo preciso, portando l’attenzione sul tema generale dedicato alla romanità e alla glorificazione della grandezza di quella civiltà in quanto fondata sulla giustizia e su un ideale di ordine. È vero anche che un edificio reale può aver ispirato al Piranesi questa “invenzione”, ossia il carcere Mamertino di Roma, luogo angusto e tetro con ambienti sovrapposti in pietra.
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Trofeo detto di Ottaviano Augusto
in Trofei di Ottaviano Augusto innalzati per la Vittoria ad Actium […]
1753
acquaforteQuando Piranesi studiò questi ricchi trofei di marmo, esempi raffinati del “barocco” artistico dell’età flavia, essi si trovavano già sulla balaustra del Campidoglio romano. Essendo rimasti fino al 1590 come decorazione di un acquedotto augusteo, ossia il “Castello” dell’Acqua Giulia, presso Sant’Eusebio, Piranesi pensò che essi appartenessero proprio a Ottaviano Augusto. Disegnando questi trofei, ebbe l’occasione di studiare meglio la scultura decorativa romana, nel suo affascinante aspetto mutilo, primitivo e bizzarro, in una sospensione tra realtà e fantasia. Piranesi indaga il frammento scultoreo con l’attenzione dell’archeologo e la fantasia creativa dell’artista, in cui il segno dell’incisione possiede una particolare libertà di sperimentazione e di ricerca. L’intera opera incisa dedicata ai trofei fu pubblicata nel 1753 presso Giovanni Bouchard.
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Antico circo marziale
in Antichità romane, III volume, II Frontespizio
1756
acquaforte; mm 390,50 x mm 600La tavola è il secondo frontespizio del tomo III dei 4 volumi delle Antichità romane, che videro la luce (con 216 tavole incise) nel 1756 con dedica all’irlandese Lord Charlemont, primo garante finanziario dell’impresa che aveva poi evaso tale impegno, suscitando le ire dell’artista. Vi è rappresentata una larga via fiancheggiata da treppiedi, statue, colonne e obelischi. In primo piano vi sono numerosi frammenti: una statua mutila, sarcofagi e vasi. Le Antichità romane rappresentano un elemento fondamentale attorno al quale si svolge l’intero corpus incisorio piranesiano. Egli cerca di dare un quadro il più possibile unitario della città di Roma dall’epoca dei primi leggendari re fino al tempo degli ultimi imperatori, attraverso l’individuazione e la conseguente descrizione dell’antico tessuto urbano: dalla cerchia muraria, agli acquedotti, alle strade, ai ponti, fino ai monumenti, dai più importanti ai meno significativi. Risulta così un esauriente quadro della situazione archeologica nella Roma del Settecento, ma soprattutto una visione “moderna”, illuminista, scientificamente attenta, indagata con l’occhio preciso dell’archeologo e dell’architetto e non solo con quello entusiasta dell’artista sedotto dall’imponenza delle rovine.
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Decorazioni egizie del Caffè degli Inglesi, con sfingi al centro della cornice
1760 circa
acquaforte; mm 240 x mm 280Questa tavola incisa è in realtà l’unica testimonianza di un’opera dipinta da Piranesi nel 1760, ossia la decorazione delle pareti dello scomparso Caffè degli Inglesi, ritrovo della colonia britannica a Roma, in piazza di Spagna. La decorazione è concepita come un portico aperto su di un paesaggio fantastico dell’antico Egitto. Pilastri incisi con geroglifici sostengono la trabeazione, mentre le due aperture laterali, fiancheggiate da telamoni, richiamano la struttura rastremata degli antichi portali egizi. L’attrazione di Piranesi per questo tipo di cultura gli venne dalla sua intenzione di difendere e rivalutare l’architettura egizia ed etrusca nell’ambito del suo interesse per le culture precedenti la romanizzazione, condivisa anche dagli studiosi britannici. Osserva il Focillon: "L’Egitto propone a Piranesi l’esempio di una gravità serena […]. L’artista è attratto dall’oscurità della sua storia, dal formidabile sfondo del suo passato […]. E attraverso le lacune di una documentazione incompleta, intuisce la grandezza di quel popolo lontano". Calvesi, inoltre, sostiene che la decorazione del Caffè, con le piramidi, le sfingi, il Nilo, i geroglifici "conteneva indicazioni ermetico-massoniche, e cripto-religiose […]".
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Variae in Architectura graecanica rationes ac symmetriae ex antiquis monumentis excerptae.
1761
acquaforte; mm 600 x mm 390,50La tavola è una classificazione dei diversi tipi di colonne, di capitelli e di trabeazioni tratta dall’esempio di diversi monumenti romani come il Teatro di Marcello, il Tempio della Fortuna Virile o il pronao del Pantheon e di resti di diverse chiese. L’opera Della magnificenza ha un contenuto decisamente ideologico e fortemente polemico, teso a contestare soprattutto le affermazioni contenute in due testi contemporanei (dell’inglese Ramsay e del francese Leroy) che rivendicavano la superiorità dell’architettura dei barbari e di quella dei greci su quella romana. Piranesi, che nel suo scritto si contrappone anche alle idee del Winckelmann, famoso sostenitore e studioso dell’arte greca, si fa difensore appassionato dell’arte e della cultura romana (debitrice, semmai, di quella etrusca ed egizia), costantemente attenta al bene comune e alla pubblica utilità, che ha espresso grandi opere architettoniche fin dai tempi dei re e dei primi consoli. Il volume, sostenuto finanziariamente dal papa Clemente XIII, vide la luce nel 1761, dopo che fu completato, appunto, il ritratto del papa.
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Elevazione del Pantheon e degli altri edifizi che gli eran vicini […]
in Campo marzio dell’antica Roma
1761-1762
acquaforte; mm 180,80 x mm 290Questa veduta a volo d’uccello - quasi scenografica - fa parte di una delle opere più complesse del Piranesi, comprendente 42 tavole incise, 2 frontespizi e 68 pagine di testo, dedicata alla ricostruzione ideale dell’antico Campo Marzio. Questo fu ricreato e riconosciuto attraverso testimonianze archeologiche, rilevamenti, misurazioni, schizzi e planimetrie che l’artista aveva eseguito insieme all’amico architetto scozzese Robert Adam, giunto a Roma nel 1755, con la medesima passione per lo studio dell’archeologia di Roma antica. I confini del Campo Marzio risultano, in realtà, molto più ampi dell’effettiva estensione dell’area antica e inseriti in una visione grandiosa tipica dell’idea di “magnificenza” che i due studiosi perseguivano. In particolare, in questa complessa e densa composizione del tessuto urbanistico, la rappresentazione dei monumenti sembra guidata da una sorta di straniante “horror vacui” entro cui sembra difficile orientarsi. Dunque, anche qui, possiamo percepire le due opposte tendenze della personalità del Piranesi: quella dell’archeologo, razionale e illuminista, e l’altra dell’architetto visionario, capace di oltrepassare con la propria forza immaginativa i confini reali della storia antica.
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Osservazioni di Gio. Battista Piranesi sopra la Lettre de M. Mariette
1764-1765
acquaforte; mm 390,70 x mm 250,30La tavola costituisce il frontespizio dell’opera più polemica di Piranesi, che racchiude tutto il suo credo artistico. Si tratta di un’aspra replica agli attacchi del suo avversario, P. J. Mariette, critico francese il quale, contrapponendosi alle teorie espresse da Piranesi nell’opera Della magnificenza […]aveva asserito, in una lettera alla “Gazette Littéraire de l’Europe”, che tutta l’arte romana derivava da quella greca, portata da schiavi greci a Roma. La ferma risposta di Piranesi assunse, nel 1765, la forma di una pubblicazione composta da tre elementi distinti: Le Osservazioni, il Parere su l’Architettura […] e il Trattato della introduzione e del progresso delle belle arti in Europa ne’ tempi antichi. Il frontespizio delle Osservazioni rivela la complessa posizione intellettuale di Piranesi. L’ordine architettonico raffigurato è quello tuscanico (di invenzione etrusca e indipendente dal dorico della Grecia). Nel riquadro con la scritta “aut cum hoc” appare la mano sinistra di Mariette che scrive la lettera con al polso un filo di piombo, simbolo della pedanteria critica, mentre sotto gli strumenti dell’artista con la scritta “aut in hoc” vogliono alludere alla superiorità di una critica aperta, fondata sull’esperienza diretta dell’arte, tipica degli artisti attivamente impegnati a comprendere lo spirito creativo dell’antichità.
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Sepolcro Regio, o Consolare, inciso nella rupe del Monte albano
in Antichità di Albano e di Castel Gandolfo
1764
acquaforte su rame acciaiato con ritocchi a bulino; mm 560 x mm 660L’incisione raffigura una tomba romana (l’unica a facciata rupestre) che si trova ben conservata sui pendii di Palazzolo, datata in età cesariana. Il coronamento, entro cui si trova la camera sepolcrale, ha forma piramidale (di derivazione da altri tipi di tombe), mentre la facciata è intagliata nel tufo della collina. Qui è scolpita una sedia per gli alti funzionari dell’impero romano (“sella curulis”), con un cuscino sopra e una corona sormontata da uno scettro. Ai lati seguono dodici fasci, segno della guardia (“lictores”) dei funzionari. Dodici guardie erano attribuite ai consoli, perciò si può pensare a una tomba consolare. Come si evince dal secondo frontespizio dell’opera in cui compare la dedica al papa Clemente XIII Rezzonico, e dall’introduzione tipografica, fu tale pontefice a promuovere la realizzazione di questa serie di stampe, pubblicata per la prima volta nel 1764 e concepita come omaggio al luogo sede della residenza estiva del papa. A ciò si aggiungeva la preoccupazione di Piranesi per l’incuria del tempo e degli uomini, che avrebbe potuto ben presto far perdere traccia di quei monumenti.
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Altare
1764-1766
marmo e stucco
Roma, Santa Maria del PrioratoDell’intero complesso architettonico di Santa Maria del Priorato, restaurato dal Piranesi nel 1764-1766 per volere del cardinal Rezzonico, gran priore dei Cavalieri di Malta, la macchinosa invenzione dell’altare si inserisce perfettamente nell’horror vacui della decorazione e nell’esuberanza degli ornati della facciata, del soffitto e delle pareti, che può considerarsi alla base del successivo eclettismo ottocentesco, che si risolve in una contaminazione romantica ed emozionale degli stili. San Basilio, sorretto da angeli, si appoggia a una liscia sfera a sua volta inserita nello scafo di una nave. La mensa ellittica dell’altare (dove si trova il sarcofago del martire) è decorata alla base con motivi egizi, uguali a quelli che circondano l’occhio sulla facciata. Molti studiosi hanno rilevato nell’unica opera architettonica e scultorea effettivamente realizzata da Piranesi, elementi in rapporto con l’architettura barocca, in particolare con quella di Borromini, per la risoluzione a livello emotivo e non razionale degli elementi spaziali e per il comune atteggiamento rispetto alla storia, intesa come repertorio disponibile di forme cui attingere senza i vincoli imposti dal classicismo cinquecentesco.
Iconography