Odilon Redon: biography
Bertrand-Jean, detto Odilon, nato il 20 aprile 1840 a Bordeaux da Bertrand Redon e Marie Guérin, rappresenta, forse al meglio, la corrente culturale che in Francia si contrappose all’Impressionismo, rientrando in quel fenomeno del Simbolismo del quale fu certamente un precursore. Prima di trovare veramente se stesso, Redon sconterà per anni la propria infanzia segnata dall’abbandono e dall’assenza: il padre (che aveva fatto fortuna in Lousiana) lo affida ad uno zio bonario e distratto in aperta campagna, a Peyrelebade, fino a quando il gracile (e forse epilettico) bimbo non compie undici anni. A questa località del Médoc, a nordovest di Bordeaux, saranno legate le sue fantasticherie, i suoi incubi e le sue radici dell’anima che egli trasferirà nella sua opera. Quando, apparentemente miracolato al santuario di Verdelais, Odilon è riammesso nella casa di Bordeaux, si reintegrerà con disagio in famiglia tra i suoi fratelli e inizierà con fatica a frequentare la scuola. I suoi studi saranno, infatti, irregolari: nel 1855 segue le prime lezioni di disegno con il delicato acquerellista Stanislav Gorin, nel 1857 conosce il botanico Armand Clavaud che lo introduce allo studio della letteratura e delle scienze: da Poe a Baudelaire, dal pensiero buddista alla filosofia indiana, da Spinoza alle teorie di Lamarck e Darwin. Nel 1863 l’artista bohémien Rodolphe Bresdin, affascinato dal mistero della materia, lo inizia all’arte dell’incisione, mentre l’anno dopo Odilon frequenta l’atelier di Gérôme alla Ecole des Beaux-Arts di Parigi, da cui, tormentato dal sentimento della propria inadeguatezza, molto presto fugge per tornare a Bordeaux. A completare il suo apprendistato sarà l’incontro del 1868 con Corot a Barbizon. Dopo la partecipazione alla guerra franco-prussiana nel 1870, il trentenne Redon decide finalmente di trasferirsi a Parigi, iniziando a frequentare il salotto di Madame De Rayssac, a Montparnasse, dove si riuniscono coloro che disdegnano positivismo e realismo. Il percorso verso la propria autoconsapevolezza e verso la liberazione della propria sensibilità e creatività si sviluppa soprattutto in seguito alla morte del padre, nel 1874, che esercitava involontariamente un ruolo censorio sul figlio. Da quell’anno Redon inizia a realizzare i suoi “neri” più angosciosi, dove ritorna spesso sul tema del prigioniero. Nello studio dell’incisione e della grafica, egli scopre, durante un primo viaggio nel 1878 in Belgio e Olanda, la scuola fiamminga e Rembrandt. L’anno successivo realizza Nel sogno, il primo degli undici album di litografie che si susseguono fino al 1899. Nell’opera di Redon si può facilmente distinguere una prima fase esclusivamente in nero, che dura un paio di decenni e che include, oltre all’opera citata, anche altri album di litografie, che furono, spesso, frutto di una collaborazione e di uan consonanza con letterati e poeti: A Edgar Poe (1882), Le origini (1883), Omaggio a Goya (1885), La notte (1886), I fiori del male (1890), le tre serie per La tentazione di sant’Antonio di Flaubert (1888, 1889, 1896), I sogni (1890, dedicato all’amico e maestro Armand Clavaud, suicidatosi quell’anno) e L’Apocalisse di san Giovanni (1899, commissionatogli da Ambroise Vollard presso la cui galleria Redon l’anno precedente aveva esposto con successo). Nel frattempo Redon aveva sposato, nel 1880, Camille Faulte, da cui avrebbe avuto un primo figlio, morto nel 1886 pochi mesi dopo la nascita, e un secondo, Arï, nato nel 1889. Durante gli anni Ottanta Redon conoscerà diversi artisti, scrittori e letterati come: Huysmans, Mallarmè, Maurice Denis e Gauguin, e, nel 1894, terrà la prima agognata personale da Durand-Ruel, il celebre gallerista degli Impressionisti, in occasione della quale Gauguin scriverà che si tratta di una artista straordinario e incompreso. Ben presto Redon –secondo una certa interpretazione un po’ psicanalitica– si avvia verso un processo consapevole di “individuazione” e di ricerca del Sé, passando significativamente dal dominio assoluto del nero e dei disegni a carboncino alla pittura a olio, al pastello e alla fioritura di un colore fulgido, sontuoso e irradiante. Dal 1900 circa e fino alla sua morte nel 1916, infatti, l’elemento cromatico si fa protagonista centrale nell’arte di Redon esiliando definitivamente il nero, mantenendo però quella particolare ambiguità semantica e formale e quell’amore per il sogno, la vaghezza, il soffuso e l’indefinito che aveva caratterizzato, fin dall’inizio, la sua ricerca poetica. Nel 1904 Redon realizza i suoi primi nudi femminili ed espone al Salon d’Automne in una sala in suo onore. Inizia sempre più a ricevere riconoscimenti, apprezzamenti (soprattutto dai giovani pittori nabis) e commissioni pubbliche, come quella nel 1910, per la decorazione della biblioteca dell’Abbazia di Fontfroide. Fiori e farfalle saranno sempre più presenti nei suoi lavori, mentre nel 1913 quaranta delle sue opere saranno inviate all’Armory Show di New York. Muore il 6 luglio del 1916.
Odilon Redon: the works
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Il ragno sorridente
1881 circa
carboncino su carta; 49,5 x 39
Parigi, Musée du LouvreL’interesse di Redon per i piccoli esseri viventi e gli insetti risale, probabilmente, alla prima giovinezza quando nello studio dell’amico botanico Armand Clavaud egli scopriva il mondo scientifico e fantastico della natura al microscopio. A queste scoperte si associavano le sue prime fantasie oniriche ispirate alla letteratura di scrittori visionari come Edgar Allan Poe o Baudelaire. Mentre proprio lo scrittore padre del decadentismo, Joris-Karl Huysmans, descriveva nel suo famosissimo romanzo A rebours (1884) un "ragno spaventoso che recava al centro del corpo un viso umano" come opera che, accanto ad altre di Redon e di Moreau, decoravano le pareti della camera da letto dell’esteta Des Esseintes, protagonista del romanzo: "Questi disegni erano al di fuori di tutto: per la maggior parte andavano oltre i limiti della pittura, introducevano un fantastico molto particolare, un fantastico di malattia e delirio". Questo ragno ci appare, in realtà, non propriamente terrificante bensì seduttivo, ironico e appunto “sorridente”, che si agita qua e là su dieci zampe sottili e articolate, come uno scherzo dell’inconscio e della metamorfosi incessante della natura.
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L’uovo
1885
carboncino su carta; 45 x 34
Chicago, Art InstituteLa testa di un uovo “umano” dallo sguardo terrorizzato e costretto all’immobilità dentro una coppetta sembra l’immagine di un vero e proprio incubo, una visione dell’inconscio profonda, buia, ambigua, un organismo mostruoso e soprannaturale che risiede nei sogni più oscuri e spaventosi dell’infanzia. Attraverso il nero del carboncino Redon materializza le proprie paure e la propria immaginazione visionaria e spirituale: "Il nero", dice "è un agente dello spirito. […] Il nero è il colore più essenziale". Scrive, inoltre, Eva Di Stefano: " […] la matita grassa di Redon, che sa combinare precisione e indeterminatezza, familiare e soprannaturale, fa sorgere dall’ombra creature sublunari talora spaventose, mostri e tentazioni, idoli confusi con le rocce e antri stregati, ciclopi assassini, gnomi maligni e angeli perduti, cavalli imprigionati e fiori antropomorfi, larve astrali e organismi primordiali, teste-pipistrello e uomini-dado, teste senza corpo che flutuano nel vuoto, globi oculari che vagano come pianeti smarriti. Un pullulare di girini, corpuscoli e bolle nello spazio, in cui è possibile riconosce anche l’influenza della nuova ricerca scientifica sui microrganismi, e che susciterà l’ammirazione dello scienziato Pasteur: “I suoi mostri hanno vita!”"
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Gli occhi chiusi
1890
olio su tela fissata su cartone; 44 x 36
Parigi, Musée d’OrsayDopo la nascita del figlio Arï nel 1889 e la fine, pertanto, del lutto legato al primo figlioletto, morto due anni prima, Redon sembrò come tornare alla vita e la sua arte venne rivitalizzata da nuove visioni e dalle svariate possibilità cromatiche e armoniche date dall’uso del pastello. Quest’opera, del 1890, che perlatro fu la prima delle opere di Redon acquistata dallo Stato francese, dimostra, infatti, tale rinascita che sancisce pertanto la riconversione di Redon al colore e all’olio. La testa dagli occhi chiusi e dall’espressione intensa e introspettiva sorge da acque chiare, dove si riflette la luce rosata dell’alba. La suggestione dell’immagine sensuale, riflessiva e lievemente androgina venne ispirata dallo Schiavo morente di Michelangelo al Louvre in armonia anche con un ideale immagine di un San Giovanni Battista o di Cristo dagli occhi chiusi che Redon rappresentò in altre opere. Il motivo degli occhi chiusi, inoltre, avrebbe avuto un grande successo, visto la presenza, nella produzione di Redon, di un disegno a matita, di una litografia e di altri due olii con il medesimo soggetto e con diverse tonalità e sfumature.
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Anziano uomo alato con lunga barba bianca
1891 circa
pastello su carta; 56,9 x 39,7
Parigi, Musée d’OrsayIn questo raffinato e sognante pastello in cui inizia ad apparire timidamente il colore, seppure ancora in una forma dall’aspetto indefinito e sfumato, il vecchio con le ali non sembra rappresentare l’allegoria del tempo, come nell’iconografia tradizionale, ma piuttosto un essere malinconico e triste che, seppur alato, è costretto all’impotenza dell’immobilità. Se anche il tema può essere di ispirazione mistica o religiosa, l’immagine rimane comunque un pretesto per costruire una sorta di sospensione nel tempo e nello spazio, una fiaba armoniosa nel gioco dei colori e della luce che crea un enigma misterioso e un alone di sogno. L’uomo alato sarà protagonista anche di altri pastelli e olii dell’artista, sempre nell’ambito di una profonda ricerca di intensità e simbolismo mirata all’espressione di una particolare e sensibile condizione dell’animo. L’“angelo caduto” allude, infatti, alla perdita dell’innocenza dell’essere umano e alla sua situazione di impotenza che non gli permette di sollevarsi oltre i limiti imposti dalla natura, come l’artista costretto dalla sua stessa condizione alla solitudine e all’incomprensione.
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L’armatura
1891 circa
carboncino e conté su carta; 50,7 x 36,8
New York, Museum of Modern ArtRedon scriveva: "Tutto mi veniva incontro in forma di disegno a matita o di carboncino. Questo strumento piuttosto ordinario, privo di intrinseca bellezza, facilitava i miei tentativi di rendere sia il chiaroscuro che l’invisibile. Il carboncino non dà spazio alcuno alla leggerezza; esso possiede una certa gravità. L’emozione soltanto rende possibile ricavarne qualcosa". E poi ancora egli avrebbe confessato all’amico pittore Bernard: "Il nero mi ha lasciato esausto, penso che quel colore sgorghi dalle profondità del nostro essere". Ed è con questa intensità, emozionalità e gravità di segno e di contenuto che può interpretarsi questo magnifico carboncino di una testa di profilo e incappucciata da un misterioso elmo irto di spine, la quale, come l’altra dell’Uomo cactus, mostra una particolare aggressività e angoscia. La figura visionaria, forte e suggestiva sembra legarsi ad un immaginario dolente, sofferente che ha conosciuto l’impotenza, la costrizione, la violenza del destino, quella che aveva relegato Redon, da piccolo, a vivere in una condizione di immobilità e solitudine.
Orfeo
1898La testa del musico e poeta Orfeo, adagiata delicatamente sulla lira come su una zattera fluttuante nelle acque lontane del mito, si riferisce al momento della sua struggente morte. Secondo la leggenda, Orfeo venne dilaniato dalle Baccanti (o Menadi) e la sua testa gettata nel fiume Ebro. Questa, galleggiante sulla lira, continuava a cantare il dolore per la perdita di Euridice, fino nell'isola di Lesbo. Zeus commosso dalla struggente storia, pose la testa di Orfeo in mezzo al cielo, nella costellazione della Lira. Un soggetto simile, con una ragazza tracia che solleva la testa di Orfeo sulla lira, era stato dipinto da Gustave Moreau nel 1865, e qui, Redon, sembra citarne l’atmosfera sospesa, mistica, trascendentale, tipicamente simbolista. I tempi del nero angoscioso sembrano svaniti per far posto ad una visione serena, armonica, positiva, animata dal calore cromatico del rosa, del violetto, dell’azzurro turchino. E sembrano echeggiare gli ultimi versi di Dieu di Victor Hugo (del 1855 ma pubblicato solo nel 1891): "O tenebre, sappiatelo: La notte non esiste!/Tutto è azzurro, aurora, alba senza crepuscolo/e fornace d’estasi dove l’anima profumo brucia./il buio è un no; e il no è nulla. Tutto è certo/Tutto è candore, virtù, sole che si leva, mattino,/placido fulgore, raggio sereno, fremito di fiamma".
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Il ciclope
1898-1900
olio su tavola; 64 x 51
Otterlo, Rijksmuseum Kröller-MüllerQuesta figura del ciclope, simile idealmente a quelle del singolo “occhio” nelle sue varie forme, rappresenta l’immagine simbolica e sintetica dello stesso Redon come eterno e curioso osservatore della vita e del mondo. L’“occhio” di Redon e, pertanto, la ricerca di sé, sembra rivolgersi, adesso, non più alle nuvole malinconiche dell’infanzia, né alle ombre nere della propria notte interiore, ma verso l’atmosfera diurna e luminosa dell’esistenza. Qui egli non descrive, infatti, un mostro violento e aggressivo, ispirato al Polifemo omerico, né un orrido abitatore delle tenebre, come in una prima versione del quadro, ma una creatura tenera, gentile e inoffensiva. Sullo sfondo di un cielo delicato, il ciclope si affaccia su un paesaggio riccamente colorato quasi a guardia di una Galatea dormiente, distesa e mimetizzata tra le rocce e la vegetazione. Scrive Eva Di Stefano: "è come un dinosauro smarrito in un’era che non gli appartiene più, una creatura immemore del proprio potenziale aggressivo".
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Ofelia
1900 circa
pastello su carta fissata su tavola; 49,5 x 66,5
Collezione privataL’immagine della folle eroina shakespeariana suicida e morente sulla superficie dell’acqua viene trasposta da Redon in un incantesimo decorativo di colori accesi e organismi fluttuanti. La testa della donna dal profilo tracciato con mano leggera è “accesa” sul collo da due fiori rosso sangue, contornati da aloni dorati ed è sospesa e immersa tra fiori, farfalle, ninfee, conchiglie e preziose creature sottomarine. È l’incanto del colore a pastello dalle mille sfumature, un improvviso affiorare di materia esplosiva e impalpabile al tempo stesso, che diventa sogno e visione soggettiva dell’artista. Così Ofelia, come scrive Shakespeare nell’Amleto (Atto IV, scena 7), scivola sull’acqua trasportata dalla corrente e circondata da "ghirlande fantastiche" che ha raccolto "come una persona inconsapevole del rischio che sta correndo,/ O come creatura nata e cresciuta in quell’elemento", fino a che i vestiti la trascinano "a una morte fangosa". Redon dedicò all’immagine di Ofelia anche altri dipinti come l’olio Il fanciullo predestinato o Ofelia (collezione privata) e il pastello Ofelia in mezzo ai fiori conservato alla National Gallery di Londra.
Il sogno
1904Dopo il 1900 l’elemento cromatico diventa protagonista assoluto nella pittura di Redon, in seguito ad una prima fase dedicata esclusivamente alle visioni notturne del nero. In quest’opera il colore, infatti, sembra trionfare come una massa nebulosa e vaporosa dove la forma rimane vaga, indefinita, soffusa come una presenza silenziosa e sospesa. Scrive poeticamente Eva Di Stefano: "Il sogno (1904) accenna una visione che si erge nella bruma violacea di un indistinto paesaggio vulcanico, un cobra di ossidiana che sboccia da un fiore incandescente, e nel cui profilo ambiguo, aureolato da una stria di vapore luminoso, sembra di poter riconoscere le ali di un angelo della melanconia. L’artista è affascinato dalle nuvole gravide di fantasie indistinte, ma le teme se a sospingerle è il vento della depressione, gli sono amiche e nemiche al tempo stesso". Le nuvole e le loro forme bizzarre e cangianti avevano affascinato Redon, come egli stesso scrisse, fin da bambino, quando era solito proiettare la propria malinconia e solitudine ma anche la propria fervida immaginazione sulle nuvole che gli passavano sulla testa mentre se ne stava disteso in campagna.
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Budda
1905-1910
pastello su carta; 90 x 73
Parigi, Musée d’OrsayDurante il primo decennio del Novecento, la ricerca di Redon si rivolse, sempre più, ad un simbolismo spirituale, misterioso e mistico, che mescolava alle immagini più tipicamente cristiane –come Cristo, la Vergine, la Santa Donna– anche altre figure religiose, in una spinta aperta e universale verso la salvezza. L’interesse per il Buddismo, per la cultura orientale e la filosofia indiana era stato stimolato, inoltre, durante la sua formazione culturale, dall’incontro con Armand Clauvaud, e coincideva, inoltre, con la fantasia orientale della scuola di Pont-Aven. La figura del Budda si rivela, in questo pastello, come un’apparizione naturale, illuminata dal giallo intenso del sole e in armonia cromatica e formale con gli altri elementi della natura descritti: le piante filiformi, il cielo dalle mille sfumature di grigio-azzurro-blu, il grande albero che si mostra leggero, sfumato, impalpabile. La via della salvezza indicata dal Budda sembra coincidere con il significato vero e autentico della vita, quello della serenità e dell’armonia luminosa della natura. Durante il primo decennio del Novecento, la ricerca di Redon si rivolse, sempre più, ad un simbolismo spirituale, misterioso e mistico, che mescolava alle immagini più tipicamente cristiane –come Cristo, la Vergine, la Santa Donna– anche altre figure religiose, in una spinta aperta e universale verso la salvezza. L’interesse per il Buddismo, per la cultura orientale e la filosofia indiana era stato stimolato, inoltre, durante la sua formazione culturale, dall’incontro con Armand Clauvaud, e coincideva, inoltre, con la fantasia orientale della scuola di Pont-Aven. La figura del Budda si rivela, in questo pastello, come un’apparizione naturale, illuminata dal giallo intenso del sole e in armonia cromatica e formale con gli altri elementi della natura descritti: le piante filiformi, il cielo dalle mille sfumature di grigio-azzurro-blu, il grande albero che si mostra leggero, sfumato, impalpabile. La via della salvezza indicata dal Budda sembra coincidere con il significato vero e autentico della vita, quello della serenità e dell’armonia luminosa della natura.
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La vetrata (Allegoria)
1908 circa
olio su tela; 81 x 61
collezione privataA questa versione ad olio della vetrata ne precede un’altra a pastello, del 1907, in cui si vede anche l’ombra di un profilo femminile quasi come un’apparizione della memoria. Qui, invece, il magnifico sbocciare cromatico dei fiori e delle farfalle è totale e immerso in un’atmosfera nebbiosa, vaporosa e smagliante. La consistenza del dipinto è quasi astratta, decorativa, attraversata da un vento spirituale che solleva e mescola i colori, le nubi, i petali e le ali. Persino le due figurine dell’angelo e del Santo risentono di questa inconsistenza materiale e vengono travolte anch’esse dal flusso volteggiante del colore. Redon si è ormai arreso alla bellezza della luce, alla visione di una natura positiva, sognante e fiorita. Scriverà Maurice Denis nel 1905: "Odilon Redon traspone la poesia romantica dei suoi bei disegni a carboncino del passato in un’esplosione di fiori che è molto più reale. Non è più simbolismo, Redon lo ha superato e la sua sorridente saggezza adesso si volge a tradurre il fascino stordente dei mazzi floreali con la stessa perizia e lo stesso mistero."
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Vaso di fiori
1914
pastelli e matita su carta colorata; 73 x 53,7
New York, Museum of Modern ArtIn questo splendido pastello Redon utilizza la propria conoscenza “botanica” e sapienza descrittiva non solo per rappresentare oggettivamente un vaso di fiori di campo, ossia una semplice natura morta, ma in realtà come punto di partenza per arrivare ad una dimensione poetica più profonda in cui i fiori acquisiscono una forma sensuale e una luminosità accesa e irreale. La sua ambizione è quella di rappresentare la natura non in modo oggettivo ma incerto, sospeso, come trasposta in un sogno. I petali e le macchie di colore sembrano librarsi in volo come ali di farfalle e, come scrisse Charles Sterling nel 1952, a "creare io non so quale malessere musicale. Egli evoca l’immagine di una natura decantata e maliosa, che è come parallela a quella vera". E per continuare con le metafore anche lo stesso Redon scrisse: "L’Arte è un fiore che sboccia liberamente, fuori da ogni regola […] Mi piace questa immagine del fiore come qualcosa di quasi animale: rappresenta me stesso".