Art History: ricerca iconografica
Antonio abate
È detto anche l’eremita o padre del deserto. L’appellativo di abate gli deriva dall’essere considerato il patriarca del monachesimo orientale. Nato a Coma, in Egitto, verso la metà del III secolo, intorno ai vent’anni si spogliò dei beni e si ritirò nei pressi della città di Tebe, nel deserto della Tebaide, dove si insediò una comunità monastica che viveva di umili lavori agricoli. Spinto dalla vocazione all’ascetismo, si ritirò a vivere in solitudine e morì ultracentenario nel 356. Durante la sua esperienza di privazione e isolamento venne più volte tentato dal demonio, anche attraverso la visione di figure femminili seducenti. Durante la sua lunga vita svolse anche un importante ruolo in veste di guida spirituale ed evangelizzatore, nonché di taumaturgo, come durante la terribile epidemia di una malattia, detta in seguito “fuoco di sant’Antonio”. Nel 335 andò ad Alessandria per sostenere l’ortodossia contro l’eresia ariana e, all’incirca negli stessi anni, scrisse una famosa lettera all’imperatore Costantino (306-337). Nella Legenda Aurea è narrato il lungo viaggio intrapreso dal santo ormai novantenne, guidato da un centauro, un satiro e un lupo, sino alla grotta in cui viveva Paolo, un altro vecchio eremita di centotredici anni. Quando finalmente si abbracciarono scese su di loro un corvo con un pane nel becco che i due si divisero in segno di fratellanza. Ritratto come un anziano monaco con una folta barba bianca, la sua figura esprime austerità e insieme benevolenza. Attributo fisso del santo è un bastone con la terminazione a T (“tau”), antico simbolo egizio d’immortalità che allude però anche alla croce, divenuto nel Medioevo simbolo distintivo dell’ordine degli ospitalieri di sant’Antonio che ne veneravano le reliquie. A volte ha in mano un campanello per allontanare il maligno ed è accompagnato da un maiale selvatico.