Giorgione: biografia
Secondo la testimonianza di Vasari, “Zorzo” nasce «di umilissima origine»; l’appellativo “Giorgione” compare per la prima volta nell’inventario di Marino Grimani del 1528. Pochissimi sono i dati documentari che permettono di ricostruirne la vicenda biografica. Si avvia alla pittura sul solco della rinnovata pittura veneta del Quattrocento, inaugurata da Giovanni Bellini e Vittore Carpaccio, ma risente anche dell’influsso delle grandi personalità artistiche che, di passaggio nella città lagunare, vi importano linguaggi pittorici diversi e, spesso, rivoluzionari: Antonello da Messina, Dürer, Leonardo. Quest’ultimo, presente a Venezia nel 1500, fornisce a Giorgione, poco più che ventenne, l’esempio di un sapiente uso del chiaroscuro, un’attenzione per le fisionomie umane e per la qualità atmosferica dei paesaggio: un bagaglio prezioso per il pittore che di lì a poco realizzerà le Tre età di palazzo Pitti. Nella Pala di Castelfranco (1500-1505 circa) dipinta per il condottiero Matteo Costanzo, la struttura tradizionale della pala d’altare si rinnova nell’apertura del paesaggio e nell’accordo tra uomo e natura condotta attraverso una luminosità diffusa che unisce e dilata la composizione. Il 1506 è l’unica data certa nella biografia dell’artista, apposta sul retro del ritratto di giovane donna intitolato Laura. Di datazione incerta è, invece, La Tempesta (Venezia, Gallerie dell’Accademia), commissionata forse dal raffinato intellettuale Gabriele Vendramin, opera tra le più famose sia per l’enigma del soggetto, per il quale sono state avanzate diverse interpretazioni, sia per la tecnica pittorica. Nella Venere di Dresda, terminata da Tiziano dopo la morte di Giorgione, si esprime lo stesso atteggiamento contemplativo della natura e della bellezza presente nei circoli filosofici frequentati dall’artista. Anche le monumentali figure dei Tre filosofi di Vienna (Kunsthistorisches Museum), immerse in una quinta campestre, forse dipinte per Taddeo Contarini, hanno diverse identificazioni (i re magi, le tre età dell’uomo). Nel 1507 il Senato veneziano incarica Giorgione di un telero per la sala delle udienze del Consiglio dei Dieci in Palazzo ducale, perduta. Nel 1508 l’artista rivendica i pagamenti per gli affreschi nel Fondaco dei Tedeschi, di cui resta solo un frammento, la cosiddetta Nuda. Muore di peste a Venezia nell’autunno del 1510
Giorgione: le opere
Archivio Giunti/Foto Rabatti-Domingie, Firenze
Mosè bambino alla prova dei carboni ardenti
1500-1501
olio su tavola; 89 x 72
Firenze, UffiziLa tavola è il pendant di quella con il Giudizio di Salomone, ugualmente conservata agli Uffizi, ed è da collocare negli anni immediatamente precedenti il trasferimento di Giorgione a Venezia. L’episodio rappresentato, piuttosto raro, è tratto dal Talmud, codice ebraico postcristiano, e fa pensare a un colto committente non allineato sulle posizioni della Chiesa romana. L’impaginazione orizzontale, affine a quella della Sacra allegoria degli Uffizi di Giovanni Bellini, permette al pittore di dare spazio al paesaggio, nella resa minuziosa del quale emergono forti tracce di cultura figurativa nordica (soprattutto nel trattamento delle grandi masse degli alberi).
IconografiaGiudizio di Salomone
1500-1501La tavola è perfettamente coerente a livello tematico e stilistico con quella del Mosè alla prova del fuoco: ai piedi del sovrano in trono sono allineati, secondo uno sviluppo orizzontale, i dignitari di corte e le donne protagoniste dell’episodio: ambedue reclamavano un bambino, ma al verdetto di Salomone – che suggerì di dividere in due il bambino – solo la vera madre si rese disponibile a rinunciare, svelando la falsa identità dell’altra donna. Alle loro spalle un’enorme quercia divide in due parti il profondo paesaggio. Nella realizzazione delle figure Giorgione si è servito di un aiuto di formazione ferrarese, a conoscenza dei modelli statuari classici (si veda la figura della cattiva madre in piedi al centro della composizione).
IconografiaPala di Castelfranco
1502La pala fu commissionata dal condottiero Tuzio Costanzo, il cui stemma figura in bella evidenza, per la cappella di San Giorgio nel Duomo. Giorgione concede la ribalta a una tristissima Madonna, alta sul trono spropositato, accompagnata dal Bambino conquistato dal sonno, premonizione della tragica morte. I due santi, dalle espressioni ugualmente dimesse, tentano una mediazione con lo spettatore. Quello di sinistra, trasfigurato da interventi restaurativi seicenteschi, può essere Giorgio (patrono della cappella), Liberale (titolare della chiesa) o Nicasio. L’opera, caratterizzata da una fusione di toni assoluta, rinnova lo schema della pala d’altare veneziana che la tradizione belliniana voleva iscritta in un’architettura.
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Fregio di Castelfranco
(particolare) 1502-1503
affresco; 78 x 1588 e 76 x 1574
Castelfranco Veneto, Casa Marta (Pellizzari)Il fregio si svolge lungo due pareti parallele di una stanza della casa, sotto il soffitto. Nel primo tratto (parete est) a ogni gruppo di oggetti, scelti con chiaro valore simbolico, si alternano due tabelle con motti latini, che inquadrano un medaglione con teste di uomini illustri in finto rilievo. Nel secondo tratto (parete ovest) gli oggetti sono ammucchiati confusamente, senza un preciso criterio. Giorgione volle rappresentare in chiave astrologica (almeno nel primo tratto, l’unico autografo) la terribile congiuntura di Saturno, Giove e Marte nel segno del Cancro, prevista per l’anno 1503-1504, apportatrice di squilibri cosmici e di terribili sciagure in terra. La realtà delle guerre che infestavano l’Italia suggerì all’artista la scelta del tema iconografico.
Adorazione dei pastori
1504Presso la bottega di Vincenzo Catena, pittore di stretta osservanza belliniana, Giorgione realizza questo dipinto. Egli colloca la scena sulla destra, davanti a una grotta scavata nella roccia, impenetrabile alla luce naturale, e apre sulla sinistra un luminoso squarcio paesaggistico, incorniciato da due quinte di alberi. Dando centralità alle due figure dei pellegrini, collocati sulla soglia del regno oscuro del mistero cristiano, carica il dipinto di una sincera tensione drammatica.
IconografiaArchivio Giunti
I tre filosofi
1504-1505
olio su tela ; 123,5 x 144,5
Vienna, Kunsthistorisches MuseumSull’identità dei tre uomini sono state fatte molteplici ipotesi: si tratterebbe dei re magi, di astrologi appartenenti a culture e religioni diverse, di saggi dell’antichità. L’ipotesi che si tratti di Mosè, guida del popolo ebraico (il vecchio barbuto), di Maometto, fondatore dell’Islam (l’uomo al centro con il turbante), e dell’Anticristo (il giovane di bell’aspetto seduto) sembra godere al momento di particolare credito. Dagli astrologi era infatti previsto per il 1504 l’arrivo dell’Anticristo, portatore di sciagure e di morte. Giorgione si sarebbe fatto così interprete delle credenze millenaristiche ricorrenti nel pensiero ebraico, dove la prospettiva della salvezza coincide sempre con il riscatto dalla catastrofe e dall’annientamento.
Ritratto di giovane sposa
1506Unica opera firmata e datata di Giorgione, quella che sancisce il distacco del pittore dai modelli belliniani e la sua adesione alla maniera di Leonardo. Si tratta del ritratto di una novella sposa effigiata in compagnia del ramo di lauro, diffuso simbolo di castità, e del velo nuziale. Il gesto che scosta il manto di pelliccia e scopre il seno significa fecondità (dunque maternità), offerta d’amore e seduzione. Il fatto che la tela sia stata incollata ab origine sulla tavola, secondo una pratica molto rara, conferma la preziosità del dono.
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Le tre età
1506-1507
olio su tavola; 62 x 77
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria palatinaNon si tratta di una lezione di canto, o di un trio vocale, come più volte è stato proposto: la musica in questione è metafora dell’armonia esistenziale e cosmica, alla quale il vecchio, uscendo dalla mondanità, sta per dire addio e il giovinetto, istruito dall’uomo adulto, sta per accedere. Ancora una volta Giorgione si cimenta in un soggetto “nascosto”, sotto l’apparente accessibilità dell’immagine, chiara ed essenziale nella resa formale. L’opera appartenne forse, come La vecchia e La tempesta, a Gabriele Vendramin.
La vecchia
1506-1507Marcantonio Michiel ne parlò come del ritratto della madre dell’artista, impietosamente rappresentata con le rughe scavate, i capelli radi, i denti sconnessi, lo sguardo appassito. Dietro il leggero trattamento caricaturale e alla luce dell’evidenza data al cartiglio (aggiunto probabilmente a fine opera) è preferibile leggervi un’allegoria della senilità, monito dell’azione distruttiva del tempo sulla bellezza femminile. Faceva forse pendant con un “ritratto d’uomo vestito di nero”, forse un’altra allegoria, andato perduto.
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La tempesta
1507-1508
olio su tela ; 82 x 73
Venezia, Gallerie dell'AccademiaPer Marcantonio Michiel, nel 1530, il dipinto raffigurava “la tempesta, la zingara e il soldato”. Gli storici dell’arte dell’ultimo secolo si sono affannati nella ricerca di significati alternativi: racconto biblico, mito classico, allegoria ermetico-alchemica, concetto filosofico, personificazione emblematica. Giorgione lo concepì come un soggetto nascosto, dalla chiave di lettura riservata a pochi eletti, certamente al committente Gabriele Vendramin. Nel dipinto non c’è traccia di disegno sottostante cosicché i colori trapassano da un tono di colore all’altro con soluzione di continuità.
Autoritratto come David
1509-1510Il dipinto è solo un frammento dell’autoritratto che Giorgione dipinse poco prima di morire. Un’incisione seicentesca di Wenzel Hollar restituisce l’immagine completa, mostrandoci la mano destra di David che affonda nei capelli del gigante Golia, la cui testa è poggiata su un parapetto. L’immedesimazione nelle vesti dell’eroe salvatore del popolo ebraico, non certo casuale, ha il valore di una dichiarazione di appartenenza culturale. Un colto “ebraista” era pure il cardinale Domenico Grimani, al quale l’opera apparteneva.