Bronzino: biografia
Agnolo di Cosimo di Mariano, detto il Bronzino, nasce il 17 novembre 1503 a Monticelli, alla periferia ovest di Firenze, da una famiglia appartenente alla piccolissima borghesia cittadina. Dopo un breve alunnato presso la bottega di Raffaellino del Garbo, come testimoniano Vasari e Borghini, diventa amico e unico allievo dell’eccentrico pittore manierista Jacopo Carucci, detto il Pontormo. Per tutti gli anni Venti, lo stile del Bronzino si rifà a quello del maestro, con il quale, intorno al 1525, collabora alla decorazione pittorica della cappella Capponi nella chiesa fiorentina di Santa Felicita, eseguendo due o più tondi con gli Evangelisti. L’omogeneità stilistica dei quattro bellissimi tondi rende difficile la distinzione della mano del maestro rispetto a quella dell’allievo, che comincerà, gradatamente, nei primi anni Trenta, ad acquisire un’autonomia artistica. Il primo dei suoi pochissimi viaggi compiuti durante la sua tranquilla vita da scapolo avverrà nel 1530, dopo l’assedio di Firenze da parte delle truppe imperiali di Carlo V, quando si recherà a Urbino, alla corte dei Della Rovere, presso cui dipingerà ritratti (come quello di Guidobaldo della Roverein armi, del 1532, Firenze, Galleria Palatina) e decorerà (insieme ad altri artisti) la Villa Imperiale di Pesaro. Rientrato a Firenze, dove nel 1537 risulta iscritto alla compagnia di San Luca, Bronzino comincia a distinguersi, presso le famiglie più in vista della città, come abile e originale autore di ritratti, molto apprezzati per la capacità di evidenziare le caratteristiche di rango e quelle intellettuali, insieme a quelle umane e caratteriali (come in Dama in rosso col cagnolino, del 1532-1533; Lorenzo Lenzi, del 1533-35; Ugolino Martelli, prima del 1537). A partire dal 1540, Bronzino diviene il ritrattista ufficiale di casa Medici. Il suo talento viene notato dal giovane Cosimo I durante le celebrazioni cittadine in occasione delle proprie nozze con Eleonora di Toledo, il 29 giugno del 1539, poiché il pittore aveva partecipato alla realizzazione degli apparati effimeri, allestiti in quella circostanza, come era d’uso all’epoca, insieme ad altri artisti. Il granduca Cosimo deciderà di affidare a Bronzino la decorazione pittorica (pala d’altare compresa) della Cappella della duchessa Eleonora, in Palazzo Vecchio, che verrà portata a conclusione nel giro di cinque anni (1540-1545). Dal 1545 al 1553 Bronzino, oltre che ritrarre tutti i componenti della famiglia granducale in uno stile algido e impeccabile (Eleonora di Toledo e il figlio Giovanni, Bia de’ Medici, Francesco de’ Medici bambino, Maria de’ Medici), sarebbe divenuto responsabile dell’arazzeria medicea, realizzando la serie di cartoni con le Storie di san Giuseppe ebreo. Durante gli anni Sessanta, Bronzino si distinguerà nell’ambiente culturale fiorentino anche per l’attività letteraria di compositore di versi, “saltarelli” e sonetti e, nel 1563, insieme a Vasari, Ammannati e Borghini, sarà tra i promotori dell’Accademia delle arti del disegno, di cui sarà console nell’estate del 1572. La sua bottega, nel frattempo, era divenuta una delle più prestigiose di Firenze, avendo il sottinteso compito di “normalizzare” il carattere eccentrico e intellettualistico dell’arte manierista, sotto la paternalistica protezione della famiglia regnante e prima dell’avvento del favorito Giorgio Vasari. Questi, quando Bronzino morirà, il 23 agosto del 1572, in casa del suo allievo prediletto Alessandro Allori, prenderà definitivamente il ruolo di amministratore della politica artistica della città e dello Stato. Ai solenni funerali di Agnolo Bronzino parteciparono tutti gli artisti di Firenze, per rendere omaggio a uno dei massimi protagonisti della Maniera italiana.
Bronzino: le opere
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Pigmalione e Galatea
1530 circa
olio su tavola; 81 x 63
Firenze, Galleria degli UffiziLa preziosa tavoletta, secondo la testimonianza di Vasari, fungeva da coperta del celebre Alabardiere (alias Francesco Guardi) del Pontormo, oggi al Getty Museum di Malibu. Così viene descritta dallo storico aretino, ossia raffigurante “Pigmalione che fa orazione a Venere, perché la sua statua, ricevendo lo spirito, s’aviva e divenga (come fece secondo le favole d’i poeti) di carne e d’ossa”. Come appare evidente dallo stile delle due espressive figure, Bronzino dipingeva, intorno agli anni Trenta, in collaborazione con il Pontormo che, di fatto, fornì due disegni per la figura di Pigmalione e un altro per le gambe di Galatea. Il mito (tramandato da Ovidio) di Pigmalione il quale, pregando Venere, ottenne che la donna di impareggiabile bellezza da lui scolpita venisse tramutata in una donna vera, era diffuso nel Cinquecento in collegamento al tema della virtù e della finalità di perfezione e di idealizzazione dell’arte. Vista la destinazione della tavoletta, associata al ritratto del repubblicano Francesco Guardi in abito da soldato, il mito di Pigmalione e Galatea dovette essere qui in relazione con l’auspicio della vittoria e della liberazione di Firenze dai suoi nemici.
IconografiaUgolino Martelli
anteriore al 1537Il soggetto ritratto, Ugolino Martelli, studioso umanista e linguista, apparteneva a un’antica famiglia aristocratica di Firenze, il cui palazzo fa da sfondo al dipinto, con in vista la scultura del David, appartenente alla collezione come opera di Donatello, oggi attribuita ad Antonio o Bernardo Rossellino e conservata alla National Gallery di Washington. La presenza del David, tradizionale emblema della libertà fiorentina, potrebbe avere la funzione di sottolineare le idee repubblicane del Martelli, oltre che di stabilire un suo preciso status sociale di uomo colto e mecenate. Il gentiluomo è abbigliato con un raffinato abito scuro ed è seduto al suo tavolo di lavoro mentre tiene l’indice della mano destra sul libro aperto dell’Iliade e la mano sinistra a reggere un volume di Pietro Bembo, pronto per essere consultato per qualche chiarimento linguistico o filologico. Il ritratto è firmato sul bordo del tavolo in primo piano “BRONZ[IN]O FIORENTINO” e risulta di altissima qualità per la capacità del pittore di catturare anche il carattere e la dimensione psicologica di Ugolino Martelli, che fu egli stesso committente dell’opera e amico del Bronzino.
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Passaggio del Mar Rosso
1540-1545
affresco; 320 x 490
Firenze, Palazzo Vecchio, cappella di Eleonora di ToledoIl grande affresco occupa l’intera parete destra della cappella detta “di Eleonora”, al secondo piano del Palazzo Vecchio a Firenze, affrescata dal Bronzino per la duchessa Eleonora di Toledo dal 1540 al 1545. Le grande figure dipinte viste a distanza ravvicinata creano un effetto di splendore gelido e quasi ipnotico, giustapposte una accanto all’altra come in un’opera di oreficeria o in un grande mosaico in pietre dure, composto da finitezza disegnativa e da smaglianti colori: blu lapislazzuli, rosso, verde, grigio. Evidente appare l’ispirazione michelangiolesca e pontormesca di certe figure o l’influenza della statuaria antica, come per la figura maschile vista di spalle (in primo piano a sinistra) che pare riproduca le fattezze dell’Idolino, statua classica di bronzo (allora da poco entrata a far parte delle collezioni granducali, oggi al Museo Archeologico di Firenze), come sembra confermare il disegno preparatorio a carboncino, conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze.
IconografiaAllegoria
1540-1545La raffinatissima opera, come racconta il Vasari, fu commissionata dal duca, poi granduca, Cosimo I de’ Medici per essere inviata in dono, per ragioni politiche e diplomatiche, al re di Francia Francesco I. La complessa Allegoria colpisce l’osservatore per il ritmico articolarsi di bellissime forme e per la sensualità tutta intellettuale, rispondente a un sentimento amoroso pseudo-filosofico di sapore cinquecentesco. La Venere nuda in primo piano, che viene baciata lascivamente da Amore, rappresenta l’amore sensuale. La donna in secondo piano con il corpo di rettile e le mani invertite (la destra al posto della sinistra e quest’ultima che regge un favo di miele) rappresenta l’Inganno, il quale favorisce l’amore sensuale ed è accompagnato dalla Gioia. Questa è rappresentata dal puttino che avanza con i campanelli alla caviglia mentre sta per spargere le rose che tiene in mano. A sinistra la donna che con rabbia si prende la testa tra le mani rappresenta la Disperazione, mentre il vecchio alato che sta per coprire tutto con una tenda scura è il Tempo, che alla fine spegnerà ogni passione. È stato notato anche che mentre Venere e Amore si abbracciano, si stanno, in realtà, ingannando a vicenda: Cupido sottrae a Venere il diadema di perle, mentre Venere, a sua volta, sta cercando di portare via le frecce di Cupido.
IconografiaDeposizione
1540-1545Quest’opera, capolavoro del Bronzino religioso, era collocata, in origine, sull’altare della cappella di Eleonora in Palazzo Vecchio a Firenze. Era considerata talmente splendida, secondo quanto racconta il Vasari, che, nell’estate del 1545, il guardasigilli di Carlo V, il cardinale Nicolas Perrenot de Granvelle, in quei giorni in missione diplomatica a Firenze, se ne innamorò. Fu così che il duca Cosimo, da buon politico, decise di inviare in dono al Granvelle la pala d’altare “come cosa rarissima”, così che alla morte di questi (nel 1551) venne posta nella sua cappella funebre a Besançon, sua città natale. La bellissima tavola, che riprende lo stesso tema della Deposizione che il maestro Pontormo aveva realizzato nel 1525-1528 per la cappella Capponi in Santa Felicita, appare centinata superiormente e recante la scritta “Opera del Bronzino Fiorentino". Originariamente era affiancata da due dipinti con san Giovanni Battista (patrono di Firenze) e san Cosma (protettore della famiglia Medici), che furono poi rimossi per volontà della duchessa e sostituiti con L’angelo annunciante e La Vergine annunciata. Questi due pannelli circondano adesso la replica della Deposizione eseguita dallo steso Bronzino nel 1553 e tuttora “in situ”.
IconografiaMosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia e Caduta della manna
1540-1545L’iconografia della decorazione della cappella di Eleonora in Palazzo Vecchio è dedicata alla storia veterotestamentaria di Mosè, al suo passaggio dall’Egitto alla terra promessa attraverso il Mar Rosso e ad altri episodi visti come prefigurazioni della figura di Cristo e dell’istituzione eucaristica. Questi affreschi della parete di sinistra sono divisi in due parti dalla porta che immette nella camera Verde. La parte sinistra illustra la scena di Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, mentre quella destra La caduta della manna. Le figure maschili e femminili sono disposte in senso ascendente e verticale e si incastrano l’una sull’altra mantenendo ciascuna la propria autonomia disegnativa. Un disegno a carboncino e biacca, di pura tradizione fiorentina, conservato al Gabinetto dei Disegni del Louvre, a Parigi, raffigura la testa femminile dipinta all’estremo margine sinistro. Le scritte incise da Bronzino sullo stipite marmoreo della porta, che riportano le date di inizio e termine delle diverse pareti affrescate, in questo caso non sono decifrabili, ma si può dedurre stilisticamente che questa parete sia stata affrescata per ultima, dopo il Passaggio del Mar Rosso e L’adorazione del serpente di bronzo.
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Adorazione del serpente di bronzo
1540-1545
affresco; 320 x 385
Firenze, Palazzo Vecchio, cappella di Eleonora di ToledoLa scena dell’Adorazione del serpente di bronzo occupa la parete d’ingresso della cappella di Eleonora, in una figurazione che continua lungo l’arco sopra la porta al culmine della quale si trova raffigurato il serpente di bronzo su un bastone, inviato da Dio a Mosè per salvare il suo popolo. Rispetto agli affreschi delle altre pareti della cappella, qui lo stile appare più malinconico, concitato e drammatico. I corpi delle figure si intrecciano tra loro in modo più naturalistico, nonostante le pose a volte irreali e scultoree di chiara derivazione michelangiolesca e raffaellesca. La scritta sullo stipite marmoreo della porta riferisce la data di inizio dell’opera: “Lunedi adi 5 / di giugno 154[2] / comincio / la storia / delle se’pe”. Un disegno a carboncino di una testa femminile, conservato a Manchester, è stato messo in relazione con la donna dipinta in alto a destra.
Iconografia-
Lucrezia Panciatichi
1545 circaLa bella ed elegante donna ritratta è Lucrezia di Sigismondo Pucci, moglie dal 1528 di Bartolomeo Panciatichi, anch’egli raffigurato da Bronzino in un altro ritratto conservato agli Uffizi. Vasari, nelle sue Vite descrive i ritratti dei due coniugi: “A Bartolomeo Panciatichi fece… i ritratti di lui e della moglie tanto naturali che paiono vivi veramente, e che non manchi loro se non lo spirito”. La verosimiglianza naturalistica sottolineata dal Vasari è accompagnata da un clima di estrema raffinatezza intellettuale, definito attraverso la posa composta e statuaria della donna, l’espressione fiera e riservata del suo volto e l’abbigliamento impreziosito da pochi, discreti ma raffinatissimi gioielli. La giovane donna, dalla carnagione eburnea, è seduta leggermente di tre quarti, la mano destra poggiata su un libro aperto, la sinistra (su cui spicca l’anello nuziale) sul bracciolo intagliato della savonarola. Attraverso i monili preziosi, dettagliatamente descritti dall’abile pennello del Bronzino, Lucrezia esprime non soltanto la sua appartenenza a un’élite sociale, ma anche altri aspetti della sua personalità rivelatici dalla simbologia delle gemme e dalla frase "Amour dure sans fin" incisa in smalto nero sull’ampia catena d’oro, che è stata messa in relazione con l’argomento amoroso descritto nel trattatello Dialogo della infinità di amore, scritto nel 1547 dalla cortigiana letterata Tullia d’Aragona e dedicato al duca Cosimo de’ Medici, suo protettore. Archivio Giunti
Bia de’ Medici
1542 circa
Tempera su tavola; 63 x 48
Firenze, Galleria degli UffiziSi tratta del ritratto di Bia, figlia illegittima di Cosimo I, morta nel 1542 a soli cinque anni e qui rappresentata durante il suo ultimo anno di vita. Il medaglione che fa da pendente alla grossa catena d’oro raffigura il profilo del padre Cosimo. La piccola tavoletta è impreziosita dal largo impiego del blu lapislazzuli nel fondo, che evidenzia ulteriormente la purezza candida e luminosa dell’incarnato della bimba e dei sottili capelli biondi che le incorniciano il perfetto ovale del viso. Vasari si riferisce a quest’opera quando ricorda un ritratto “della Bia fanciulla” come opera del Bronzino. La lucida fissità dell’immagine, caratteristica dello stile disegnativo e finito del Bronzino, qui accentua la freschezza e la tenera grazia dell’infanzia, sintetizzata nell’espressione vivida e assorta del volto. Fra i ritratti del Bronzino dedicati ai bambini della famigli Medici (Giovanni de’ Medici bambino con l’uccellino, del 1544, o Maria de’ Medici e Francesco de’ Medici bambino, entrambi del 1551), questo è quello più caro al pubblico degli Uffizi per la tenerezza e la purezza espressa della bimba e per lo stile pittorico preciso e prezioso come una miniatura.
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Eleonora di Toledo e il figlio Giovanni
1545
Olio su tavola; 115 x 96
Firenze, Galleria degli UffiziL’importanza politica dell’opera è evidente dal tono ufficiale con cui è presentata la figura della duchessa Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni (nato nel 1543), in cui la presenza dell’erede accanto alla madre sottolinea la continuità della dinastia. È considerato il capolavoro assoluto della ritrattistica medicea bronzinesca, per la preziosità della pittura dai contorni sottili e precisi e l’osservazione lenticolare dei dettagli. L’intenso blu dello sfondo è quello di cui si parla in una lettera del pittore, datata 1545, inviata da Poggio a Caiano, in cui egli chiede al maggiordomo del duca altro colore blu “perché il campo è grande”. Eleonora, figlia del vicerè di Napoli e sposa di Cosimo, indossa il sontuoso abito con il quale fu sepolta nel 1562, di raso grigio, impreziosito con ornamenti in velluto nero e disegni a spirale di fogliame nero e giallo. Seguendo la moda spagnola cinquecentesca, la duchessa porta i capelli raccolti in una preziosa reticella. Pur avendo sottolineato il ruolo ufficiale, da sovrana, della duchessa, Bronzino riesce anche a farci percepire il carattere della donna, la sua individualità, la saggezza e tranquillità. Il suo sguardo, gli elementi del viso e la pelle chiara sono i dettagli che rimangono impressi nella memoria di un osservatore, insieme alla “presa” naturalistica e tattile dell’abito.
Il granduca Cosimo I
1545Essendo divenuto, a partire dal 1540, il ritrattista ufficiale della corte fiorentina, Bronzino fu autore di vari ritratti di Cosimo I, signore di Firenze dal 1537 all’anno della morte, nel 1574. Qui il granduca è rappresentato in età giovanile e, come scrisse Giorgio Vasari, “armato tutto d’arme bianche e con una mano sopra l’elmo”. Si tratta probabilmente del ritratto eseguito da Bronzino nel 1545 a Poggio a Caiano, come risulterebbe da alcune lettere. È il ritratto considerato prototipo di molte repliche e copie, alcune provenienti dalla stessa bottega del Bronzino. La figura del granduca viene messa in evidenza per il gelido e orgoglioso temperamento di dominatore e di leader militare, mentre la luce tagliente illumina la lucida corazza e i tratti decisi del volto. Tuttavia, nonostante la morbidezza pittorica dell’incarnato di matrice pontormesca, Bronzino qui dimostra di avere conquistato una certa autonomia stilistica dal maestro.
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Martirio di san Lorenzo
1569
affresco
Firenze, San LorenzoÈ firmato “I. D. ANG. BRONZIN. FLOR. FAC” e si trova affrescato sulla parete d’ingresso di San Lorenzo, chiesa di patrocinio mediceo. Fu infatti il duca Cosimo ad affidare al Bronzino due affreschi con “storie” di san Lorenzo, per la chiesa di famiglia intitolata al santo, pur se ottenne dall’artista soltanto la scena del Martirio, scoperta al pubblico il 10 agosto del 1569. I cartoni erano stati commissionati nel 1565, ma al tempo della seconda edizione delle Vite del Vasari (1568) risultavano ancora non conclusi. Il pittore, dunque, realizzò l’affresco in breve tempo, e forse per questa ragione esso risulta poco curato nei dettagli e inutilmente affollato di figure gigantesche che creano un’atmosfera poco naturalistica e fortemente teatrale. La ripresa di motivi raffaelleschi e michelangioleschi, tipica di Bronzino e della sua scuola, qui assume un tono stanco e accademico.
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