Giuseppe Pellizza: biografia
Nato a Volpedo, presso Alessandria, nel 1868, Giuseppe Pellizza proviene da una famiglia di piccoli proprietari terrieri e viticoltori. Dopo aver compiuto gli studi tecnici, nel 1883 si trasferisce a Milano per iscriversi all’Accademia di Brera, studiando nello stesso tempo pittura e disegno con Giuseppe Puricelli e con Pio Sanquirico. L’artista esordisce pubblicamente nel 1885 all’annuale di Brera con La piccola ambiziosa, quadro di genere. Nel 1887, soggiorna per circa un anno a Roma dove frequenta l’Accademia di San Luca, e l’anno successivo si trasferisce a Firenze, all’Accademia di Belle Arti, dove segue le lezione di Fattori e diviene amico di Plinio Nomellini e Micheli. Concluderà, però, il suo apprendistato all’Accademia Carrara di Bergamo, perfezionando lo studio della figura umana grazie agli insegnamenti di Cesare Tallone. Nonostante un primo viaggio a Parigi nel 1889, per visitare l’Esposizione Universale, Pellizza rimane ancorato a una ricerca di spontaneità e verità nella resa della forma, unita a una vena di poesia e di umanità, motivo per cui la preferenza dichiarata sugli artisti dell’epoca va a Jules Bastien–Lepage o al realismo rurale di Millet. Le prime opere di Pellizza, eseguite per lo più a Volpedo dove risiedeva stabilmente, sono legate alla pittura dal vero e all’aperto, vicine dunque all’amico Nomellini ma anche alle prime opere divisioniste di Segantini, Morbelli e Previati, come per esempio il famoso Mammine del 1892. Approdato alla tecnica del divisionismo, Pellizza la utilizzerà sempre interpretandola non solo tecnicamente, per gli effetti di intensità e di vibrazione luminosa, ma anche per accrescere l’efficacia dell’opera d’arte e dunque il suo potenziale sociale. Ciò è confermato dalle quasi contemporanee Sul fienile (1893) e Speranze deluse (1894) che segnano il passaggio verso questa nuova maniera. La frequentazione dell’ambiente fiorentino, durante l’inverno 1893-1894, mette in stretto contatto l’artista con la cultura classica e quella idealista nata dallo stretto rapporto tra arte e letteratura, e lo porta in contatto con persone come Domenico Tumiati (giovane poeta innamorato dei pittori del Trecento e Quattrocento) che aiutano Pellizza a indirizzare la propria ricerca verso un’ideale di arte come armonia. Da questo concetto nasceranno opere come Processione (1892-1894), Autoritratto (1898-1899) e Specchio della vita (1895-1898), dove l’armonia delle forme e della natura sono studiate in rapporto a un’organicità sociale e universale. Di grande interesse è anche la serie degli Idilli, dove è possibile cogliere suggestioni simboliste vicine all’opera di Previati. L’interesse ad approfondire il tema sociale non era, però, mai svanito, ma piuttosto incoraggiato dal rapporto epistolare con Morbelli. Dunque, dai bozzetti presi dal vero nel 1892 nella piazza di Volpedo, da quello intitolato Ambasciatori della fame, alla realizzazione di Fiumana (1895-1897), che rimase, però, incompiuta, Pellizza è pronto nel 1898 a iniziare una grande tela sociale, Il quarto stato, viva testimonianza della propria aderenza verso l’ideale socialista e la convinzione del possibile ruolo dell’arte nella crescita culturale e sociale del popolo. La sua opera più famosa, terminata nel 1901, rimarrà per sempre l’immagine simbolo delle lotte della classe lavoratrice, anche per la forza espressiva delle sue forme classiche e monumentali che danno l’idea di una vera e propria “glorificazione” di una classe sociale. Il divisionismo pittorico, applicato alle forme naturali e umane, porterà sempre più l’artista a un’analisi scientifica e filosofica degli effetti dell’arte che, all’inizio del nuovo secolo, si concretizzerà in opere simboliche ed elegiache. Il sole nascente (1904) e Membra stanche (1903-1907) nascono da riflessioni universali sulla vita, sulla morte e sul valore dell’uomo nel disegno della natura. Nel 1907, nel giro di pochi mesi, muoiono la moglie (di parto) e il figlio neonato. Il 14 giugno Pellizza si impicca nel suo studio di Volpedo.
Giuseppe Pellizza: le opere
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Le ciliegie
1888-1889
olio su tela; 80 x 63,7
Torino, collezione privataEseguita nell’estate del 1888 e completata entro il 1889, questa tela rappresenta, per così dire, un’esercitazione scolastica derivata dagli studi di figura che Pellizza portava avanti in questo periodo di apprendistato. Dal gennaio del 1888 si era, infatti, iscritto all’Accademia di Belle Arti di Firenze (dove era allievo di Fattori alla scuola del nudo) e di lì a poco – dal novembre 1888 fino al 1890 – avrebbe frequentato anche la scuola di Cesare Tallone all’Accademia Carrara di Bergamo. Alcuni disegni e schizzi di teste possiedono analogie e somiglianze compositive con questa tela, la quale risente, però, di un modellato sintetico costruito per piani e per rapporti tonali piuttosto che sul disegno. La scena ha un impianto sostenuto da forme stilizzate e abbozzate, da una luce diffusa e astraente (proveniente per lo più dal bianco accecante del lenzuolo steso al sole), ma soprattutto da un perfetto incastro di colori ruotanti attorno al rosso delle ciliegie. La struttura cromatica è particolarmente interessante: si passa dal blu vivace della gonna della ragazza, ai verdi, agli ocra e ai rossi dello sfondo, il tutto reso con una pennellata unitaria e sintetica. L’influenza toscana dei pittori macchiaioli (soprattutto di Lega), oltre che nella soluzione formale, appare evidente nell’atteggiamento psicologico ed emotivo della scena quotidiana, dove nell’apparente naturalezza delle figure si vuol ricercare, in realtà, un carattere e una condizione dell’animo.
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Pensieri
1891
olio su tela; 144 x 82
Milano, collezione privata - private collectionIl dipinto, intitolato anche Teresa oppure La sposa, è il ritratto della diciassettenne Maria Teresa Bidone, che Pellizza decise di sposare nel febbraio del 1892, dopo averla conosciuta nell’agosto 1890. Dopo essere stata presentata alla prima Triennale di Brera del 1891, questa tela venne poi sempre conservata dal pittore e non più esposta. La struttura piramidale della figura, che Pellizza utilizzerà anche in altri ritratti contemporanei come per esempio Il mediatore Giani, rivela lo studio già perseguito sulla pittura del Rinascimento. Siamo di fronte a un ritratto propriamente verista, che risente anche del “topos” della ritrattistica femminile del secondo Ottocento, teso a evidenziare l’interiorità della donna e la sua innocenza esposta al rischio in un mondo pericoloso, come sottolinea il titolo Pensieri. La figura, che indossa un elegante abito contadino e il velo nuziale, è seduta frontalmente, con uno sguardo assorto e malinconico, mentre regge, con le mani in grembo, delle bianche margherite. La gamma cromatica è leggera e delicata, basata su un accordo dominante di bianchi e di azzurri immersi in una diffusa vibrazione luminosa. L’immagine della ragazza, tramite la luce, è raccordata senza cesure all’ambiente del fondo e raggiunge risultati di virtuosismo nelle trasparenze del velo sulla fronte. La predilezione per la pittura della realtà sarà sempre una caratteristica di Pellizza, che qui procedeva ancora nella direzione di Fattori e di Tallone ma che ben presto, avvicinandosi al divisionismo, acquisirà una sicurezza ideologica e filosofica in nome di un realismo socialista in armonia con la natura.
Ritratto di una giovane donna (Maternità incipiente)
1892Il dipinto può essere ricondotto alla serie di ritratti eseguiti intorno al 1891, come Pensieri, Ricordo di un dolore o Il mediatore Giani, che possiedono tutti la medesima impostazione frontale e una fattura verista. La figura, che potrebbe essere Palmina, una delle modelle preferite di Pellizza già ritratta in Ciliegie, appare straordinaria e “moderna” per l’uso del colore “tono su tono”, in una raffinata sinfonia di verdi, rialzati dai rossi e rosa dell’incarnato e della camicetta, e contrastati dal grigio e dal bianco. L’espressione del viso è assai intensa, ma velata di tristezza e disagio, elemento sentimentale che ha portato la critica a intitolare l’opera Maternità incipiente. Il titolo originale potrebbe essere Ritratto di giovane donna, volendo identificare il quadro con la tela esposta da Pellizza a Torino nel 1892, accanto al Ritratto del mediatore Giani. L’opera aveva suscitato interesse nell’amico macchiaiolo Plinio Nomellini, conosciuto a Firenze, sconcertando, invece, la critica che riteneva la figura dipinta "poco attraente e dall’aria così… patologica" ma che "nonostante una certa monotonia di colori è uno dei migliori quadri dell’esposizione". La particolare sensibilità cromatica dimostrata in questa tela è il primo passo verso lo schiarimento completo delle gamma cromatica e la graduale eliminazione delle terre che caratterizzeranno le opere successive, dove attraverso i colori puri, tono su tono, Pellizza cercherà di ottenere il massimo di luminosità e vivacità naturalistica.
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Mammine
1892
olio su tela; 213 x 203
Collezione privataIl dipinto, a dire dello stesso artista e della letteratura critica a lui contemporanea, rappresenta il primo quadro importante di Pellizza e il punto d’arrivo di tutto il suo giovanile e assiduo studio dal vero sulla natura, sul lavoro e sull’uomo. Viene presentato, infatti, un prato scintillante sotto la luce viva del sole, su cui si stagliano nette, in un suggestivo controluce, le figure di ragazzine che giocano affettuosamente a fare da “mammine” a dei bimbi piccoli, strutturate in uno schema piramidale che tiene ben insieme le singole parti della composizione. Per eseguire quest’opera, che presentava non poche difficoltà tecniche, Pellizza aveva condotto numerosi studi dal vero, in diversa condizione di luce, come testimoniano i molti bozzetti fatti “en plein air” nei dintorni di casa Pellizza nel corso del 1890-1891. La gamma cromatica è molto schiarita per dare una reale impressione di aria aperta e di vitalità dei singoli dettagli: il verde del prato di diversa intensità rialzato da giallo e bianco, le ombre e i riflessi delle figure e degli alberi e gli aloni luminosi intorno alle teste delle ragazzine. Il quadro, inviato all’Esposizione di Genova del 1892, ottenne un grande successo di critica e venne premiato con una medaglia d’oro. Gli apprezzamenti, per la maggior parte, si riferivano all’effetto luminoso del prato, che, infatti, domina tutta la scena facendola rientrare, a pieno diritto, nel realismo europeo tardo ottocentesco, che mirava a costruire una composizione esatta e vera, ma studiata anche nelle sue condizioni luministiche e ambientali. Contemporaneamente a queste accortezze “impressionistiche” sul valore della luce sulle cose, l’impianto della scena è costruito saldamente e con finitezza, come fosse un quadro rinascimentale.
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La processione
1892-1894
olio su tela; 86 x 158
Milano, Museo Nazionale della scienza e della tecnica “Leonardo da Vinci”Preceduta da uno schizzo dal vero, da due studi di paesaggio e da un bozzetto del 1892, l’opera finale, eseguita nel corso del 1894 e circondata da un bordo dorato, possiede un impianto compositivo calcolato e controllato. La forma principale è il triangolo, visibile nella strada che si restringe al fondo, nelle figure che nella croce hanno il vertice e nella porzione di cielo sopra di loro. La composizione è semplice ed essenziale, dove le figure principali sono tenute distanti per lasciare spazio, in primo piano, alla strada larga e vuota, ricamata dalle ombre degli alberi. Pellizza intendeva trovare, in questo soggetto ripreso dal vero, una possibilità di comunicare ideali di spiritualità e di pacata armonia tra uomo e natura. La scena dipinta viene così descritta dalle sue parole: "Una via di campagna ombrata dai pioppi, due lunghe file di fedeli alla cui testa biancovestite fanciulle s’avanzano cantando un inno al creatore". Pellizza sapeva che il tono misticheggiante dell’opera era ben adatto a colpire parte della critica contemporanea, orientata in direzione spiritualista e simbolista. Acclamato, infatti, all’esposizione di Venezia del 1894, il dipinto fu esposto varie volte in Italia e all’estero, e a Saint Louis nel 1904 ricevette la medaglia d’argento. Anche dopo la morte del pittore, negli anni Venti, la suggestione spiritualista del quadro fece sì che venisse giudicato come la sua opera migliore.
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Sul fienile
1893
olio su tela; 133 x 243,5
Collezione privata - private collectionL’opera, preceduta da uno schizzo, uno studio su carta e due bozzetti - derivati dalla reale impressione emotiva riportata dal violento controluce determinatosi in un fienile - doveva intitolarsi Carità cristiana e poi Triste fine, sostituiti poi dal più sobrio e oggettivo Sul fienile. Si tratta del primo quadro divisionista, in cui l’applicazione del colore diviso fu tentata da Pellizza scientificamente, con una fattura a piccole pennellate, a fili sottili e a punt,i che crea un senso di precisione e rigore nella composizione delle figure e del brano di natura. Lo straordinario effetto del quadro nasce dall’intenso contrasto tra il fienile oscuro, giocato sui toni marroni con fili di rosso, dove si svolge un tema di compassione umana, e la campagna in pieno sole, con una rilevanza di colori luminosi (verde, azzurro, giallo), che appare dalla larga apertura rettangolare. Il soggetto, che dimostra una diretta conoscenza della condizione della manodopera agricola della fascia appenninica lombardo-piemontese, rappresenta un vecchio contadino stagionale morente nel fienile “altrui”, assistito da giovani compassionevoli e da un sacerdote che gli somministra il viatico. Quando il dipinto fu esposto per la prima volta alla Triennale milanese nel 1894 sfiorò la premiazione, ma non la ottenne a causa dell’intonazione troppo “bluastra” dominante sulla tela, che poi Pellizza cercò di correggere con nuovi interventi nello stesso 1894 e nel 1895. Durante la Triennale torinese del 1896 fu acquistato dalla Società Promotrice di Belle Arti e nel 1901 ottenne la medaglia d’oro a Monaco.
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Speranze deluse
1894
olio su tela; 110 x 170
Collezione privata - private collectionEsposta alla seconda Triennale milanese del 1894 e subito acquistata da un ingegnere mecenate di origine ungherese, la tela riprende un’opera del 1891-1892, Prato Cassanini, che rappresentava l’identico tema senza uso, però, della tecnica divisionista, in sintonia stilistica con la coeva Mammine. Qui, invece, la divisione del colore è applicata rigorosamente, attraverso la scomposizione dei toni con piccoli tocchi, linee e puntini di colore, che formano la struttura e il rapporto luminoso e proporzionale tra le figure e l’ambiente. L’effetto raggiunto è quello di un prato verde illuminato con una figura che fa da perno in un triangolo compositivo. Il soggetto, un po’ sentimentale, è quello della pastorella addolorata per il matrimonio dell’amato con un’altra donna (che si vede nel corteo in lontananza) e consolata dalla pecora in questa sua sofferenza per le “speranze deluse”. Il suo dolore è accentuato dalla posa accasciata sul rastrello e dall’isolamento entro uno schema prospettico di ortogonali, la cui fuga verso il fondo è bloccata dalla cesura orizzontale del muretto che accompagna il corteo nuziale che, sullo sfondo architettonico delle case, chiude la composizione. La novità della tecnica divisionista venne particolarmente apprezzata dalla critica poiché accompagnata dalla ripresa dal vero e dallo studio dei sentimenti dell’animo umano. Furono le opere di Previati, e soprattutto di Morbelli e Segantini, ai quali era legato da profonda amicizia, ad aiutare Pellizza a superare i primi esperimenti divisionisti ancora intuitivi e anticostruttivi ispirati a Plinio Nomellini, per giungere alla consapevole svolta tecnica e teorica di opere come questa.
Lo specchio della vita
1895-1898Il soggiorno fiorentino, nell’inverno 1893-1894, aveva messo il pittore in stretto contatto con un ambiente culturale impegnato nella ricerca di una bellezza intesa idealisticamente e di un rapporto tra arte e letteratura. A Firenze, infatti, si studiavano allora con grande interesse il simbolismo e i preraffaelliti inglesi come Rossetti e Burne-Jones; non è un caso, quindi, che Pellizza abbia concepito una tale opera che risente di una suggestione preraffaellita (soprattutto di W. Holman Hunt) nella scelta tematica di rappresentare il destino dell’uomo in una tela a soggetto naturale. La prima idea del quadro, tracciata in un bozzettino a olio del 1894 con una fila di pecore inframmezzata da un pastorello, prendeva spunto da Dante e da un verso del terzo canto del Purgatorio: "e come la prima e l’altre fanno". Il dipinto finale, realizzato nel 1897 e presentato all’Esposizione nazionale di Torino del 1898, risulta concentrato sulla fila di pecore (senza la cesura della figura umana) a cui Pellizza volle dare un significato simbolico universale di armonia naturale che deve riflettersi nell’equilibrio e nell’organicità della società. “Specchio della vita” perché il progresso non è rettilineo, ma fatto di equilibrio tra opposte forze rappresentate, nella tela, nell’incontro tra luce e ombra, fra la simmetria della linea retta dell’argine dove passano le pecore e le linee ondulate degli acquitrini in primo piano, tra l’avanzare ritmico degli animali e la stasi assoluta della natura. La fattura è estremamente sapiente, la tecnica esalta la vibrazione luminosa del colore, impreziosita dall’invenzione della finta cornice dipinta sulla tela a imitazione del legno.
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Il quarto stato
1895-1898
olio su tela; 293 x 545
Milano, Galleria d’arte modernaLa lunga elaborazione che precedette l’esecuzione definitiva del grande capolavoro di Pellizza risultò necessaria alla missione intellettuale e sociale che l’artista volle assumersi nel rappresentare la marcia dei lavoratori come l’avanzare sicuro di una nuova forza verso il progresso e verso la consapevolezza della propria dignità umana. Pellizza pensava a un quadro sociale almeno dal 1891, quando aveva realizzato un bozzetto di una scena dal vero intitolata Gli ambasciatori della fame, seguito da altri nel 1892 e da diversi studi su carta. La sua preparazione tecnica era stata accompagnata, inoltre, dall’applicazione intellettuale e filosofica sui testi fondamentali del socialismo – Marx, Engels, Bebel - e dal vivo interesse per l’evolversi delle lotte popolari. Dopo la realizzazione di Fiumana dal 1895 al 1897, Pellizza s’impegnò in un’ulteriore sintesi compositiva di un respiro più universale, iniziata nel 1898 e dapprima intitolata Il cammino dei lavoratori. La scelta di mutare il titolo in Quarto stato, che avvenne nel 1902 poco prima di inviare la tela alla Quadriennale di Torino, era scaturita dalle definizioni giornalistiche della stampa socialista e da una rilettura della Storia della rivoluzione francese di Jean Jaurès dove si parlava delle due componenti del terzo stato, quella borghese e quella proletaria. Nella grande tela divisionista, una straordinaria forza espressiva scaturisce dal saldo impianto delle figure monumentali che evoca quello dei grandi affreschi rinascimentali (come la Scuola di Atene di Raffaello), nonché dalla luminosità eroica della schiera dei lavoratori in primo piano, che sottolinea la volontà di “glorificazione” di un’intera classe che procede dall’oscuro tramonto di un tormentoso passato verso un radioso avvenire.
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Idillio primaverile
1896-1901
oilo su tela; diametro 99,5
Collezione privataIniziato nel 1896, il dipinto è il primo della serie dei cinque Idilli, dedicati al tema dell’amore, che Pellizza concepirà tra il 1900 e il 1903. Questo Idillio, diversamente da quelli iniziati più tardi e più direttamente legati alla rappresentazione del rapporto amoroso, si rifà a modelli pittorici classici e quattrocenteschi e affronta una tematica romantica e idealistica di origine letteraria. Il rimando più immediato è agli idilli pastorali e bucolici di Teocrito e alle ecloghe di Virgilio, interpretati alla maniera pascoliana, come ricerca della poesia nascosta nel mondo dell’infanzia pastorale e della natura, che solo il poeta (o il pittore) sa cogliere nella sua autenticità. Il motivo del tondo, derivato da quello secentesco di Francesco Albani conservato nella Pinacoteca di Brera, accentua l’espressività del tema del girotondo di bambini come forma quasi simbolica dell’assoluto e dell’eterno ritorno della vita. La scena è ambientata nel prato alberato vicino la casa di Pellizza e, seppure probabilmente ispirata dal vero, si rivela accuratamente studiata e intellettualmente costruita come uno spazio magico della memoria. L’albero contorto ricorda quelli delle opere di Segantini e si erge, imponente, a separare il primo piano in ombra (con la coppia di bambini) dal girotondo che si svolge sullo sfondo illuminato. La tessitura pittorica è estremamente vibrante, sostenuta dalle minuscole variazioni luminose create dalle pennellate divise a piccoli tocchi.
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Membra stanche
1904
oilo su tela; 127 x 164
Collezione privataIl titolo di questo dipinto, altrimenti chiamato Famiglia di emigranti, allude alle dure condizioni di vita dei lavoratori stagionali che dall’Appennino scendevano in pianura per lavorare nelle risaie del Vercellese. Nel paesaggio, alle spalle delle figure, si riconosce la valle del Curone, con il nastro luminoso del fiume che sembra riflettersi nella forma delle nuvole, e il profilo stagliato delle Alpi che chiude l’orizzonte. Pensato nel 1894 ma effettivamente iniziato nel 1903, il dipinto è rimasto incompiuto a causa dell’improvvisa morte del pittore, suicidatosi nel 1907. Le quattro figure, dunque, in uno stato quasi di abbozzo e prive di dati descrittivi, sono isolate nei propri sentimenti e sintetizzate in blocchi plastici a formare un triangolo isoscele la cui base è rappresentata dall’uomo sdraiato sul terreno. Il tramonto autunnale del paesaggio crea una colorazione straordinaria rosso-violacea di un’intensità cromatica quasi espressionistica, che aumenta la potenza significativa della scena. Anche in quest’ultimo dipinto, Pellizza ci restituisce il proprio ideale di vita sintetizzato nell’armonia assoluta creata nel raccordo tra l’intensità dei sentimenti umani e la grandiosità del paesaggio naturale. L’uomo, con il suo percorso sociale, non perde importanza di fronte alla natura, anzi risulta più grande perché ne diviene parte. Così si può dare una spiegazione al continuo oscillare dell’interesse di Pellizza dalla natura all’uomo e dall’uomo alla natura, culminato nel suicidio, concepito come ritorno all’Essere universale.
Il sole
1904Il valore non solo tecnico-pittorico ma anche simbolico di questo straordinario sole nascente fu subito chiaro alla critica contemporanea, come rivelano le parole di Primo Levi: "Bisogna infine rivolgersi a Pellizza da Volpedo per sentirsi illuminati da un Sole che sembri davvero quello dell’avvenire". Al di là delle connotazioni politiche, l’opera era nata da un meticolosissimo studio dal vero, nel tentativo, ben riuscito, di cogliere tutte le sfumature cromatiche della natura in uno dei suoi spettacoli più grandiosi. Così, dobbiamo immaginare l’artista salire, ancora in piena notte, le colline circostanti la sua casa e raggiungere la località Cenelli per attendere davanti al cavalletto l’apparire del sole. Lo studio del paesaggio, per Pellizza, aveva basi scientifiche e filosofiche e affondava le radici in una personale concezione panteistica della vita, una sorta di religione della natura in cui l’uomo è cosa tra le cose, parte del tutto. Il medesimo atteggiamento accomunava Segantini e il primo Boccioni, ma i punti di riferimento dichiarati per questo valore assoluto del paesaggio furono, per Pellizza, i pittori della scuola di Barbizon, Rousseau, Millet, Corot, Constable, Turner e Fontanesi, quest’ultimo eletto a guida spirituale. Vi sono anche significative analogie con opere di Balla e Seurat. La volontà scientifica di tradurre la luce con la somma di colori che la compongono, fu raggiunta da Pellizza attraverso la tecnica divisionista che egli ormai usava con estrema padronanza. Lunghe pennellate di bianco, che formano l’immagine sferica centrale, procedono gradatamente verso l’esterno con una fitta sequenza di raggi che vanno dal giallo all’arancio, al viola, al verde e che formano un bagliore che sovrasta tutto il paesaggio circostante.