Antoon Van Dyck: biografia
Antoon van Dyck nasce ad Anversa il 22 marzo 1599, da un ricco mercante di sete. Fin da bambino mostra un notevole talento artistico, così all’età di dieci anni viene accolto nell’atelier di Hendrik van Balen. Nel 1615 apre una propria bottega e tre anni più tardi risulta iscritto nella gilda dei pittori. In questo periodo inizia la collaborazione con Rubens, con il quale partecipa all’esecuzione dei cartoni della Storia di Decio Mure per Franco Cattaneo (1617-1618) e alla decorazione del soffitto della chiesa del Gesù ad Anversa (1620). Dopo un breve soggiorno in Inghilterra (1620), dal 1621 al 1627 vive in Italia, prevalentemente a Genova. L’artista compie due viaggi a Roma, nel 1622 e nel 1623; visita inoltre Firenze, Bologna e Venezia. Durante la sua permanenza a Palermo, fra l’aprile e il settembre 1624, la confraternita del rosario di San Domenico gli commissiona la Madonna del rosario. Nel luglio dell’anno successivo l’artista intraprende un viaggio a Marsiglia e Aix-en-Provence per visitare Peiresc, amico di Rubens. Tornato ad Anversa (1626), inizia un’attività intensissima, divenendo anche il pittore di corte dell’arciduchessa Isabella (1628-1629). Nel 1629, dopo un altro soggiorno in Inghilterra, dipinge per il re Carlo I Rinaldo e Armida. Nel 1632 Van Dyck parte nuovamente, fermandosi prima in Olanda, alla corte di Federico Enrico, poi a Bruxelles e infine a Londra, dove è nominato cavaliere e pittore ufficiale del re. Ritorna per un breve periodo in patria nel 1634, e nel mese di ottobre è nominato decano onorario della gilda di San Luca. L’anno seguente fa ritorno a Londra. Per il sovrano inglese realizza numerosi ritratti fra i quali un Ritratto di Carlo I in tre posizioni perché fornisca da modello a Bernini per un busto del re. La produzione artistica del pittore è quasi esclusivamente rivolta all’esecuzione di ritratti, non solo della corte ma anche di tutta l’aristocrazia inglese. Su sollecitazione del sovrano sposa Mary Ruthven, damigella della regina Enrichetta Maria (1639), dalla quale avrà, due anni più tardi, una figlia, Justiniana. Nel 1640 è a Parigi, dove spera di ottenere la committenza per la Grande Galerie del Louvre, affidata poi a Poussin. Rientrato a Londra all’inizio del 1641 Van Dyck muore il 9 dicembre dello stesso anno. Sepolto nella chiesa di Saint Paul, la sua tomba andrà distrutta nel grande incendio scoppiato nella capitale inglese nel 1666.
Antoon Van Dyck: le opere
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Ritratto di famiglia
1619 circa
olio su tela ; 116 x 96
San Pietroburgo, ErmitageSi tratta del primo gruppo di famiglia autografo giunto fino a noi, l’unico sopravvissuto del periodo giovanile di Anversa. L’impostazione generale, caratterizzata dalla mancanza di profondità dello spazio e dalla frontalità delle figure, riporta al celebre Ritratto di Jan Brueghel il Vecchio e della sua famiglia, dipinto da Rubens intorno al 1613 (Londra, Courtauld Institute). Van Dyck, con una felice intuizione, fa della bambina il centro della composizione, assicurandole il ruolo di anello di congiunzione tra i genitori, ideale vertice di un triangolo rovesciato.
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Ritratto dei fanciulli De Franchi
1621-22
olio su tela ; 219 x 151
Londra, National GalleryLa presenza nella tela di due corvi, animali araldici della famiglia De Franchi, ha recentemente permesso l’identificazione dei tre giovani rampolli. Nel raffigurarli all’aperto, sui gradini di un colonnato, contro uno sfondo di paesaggio bruno, Van Dyck si rifà a modelli del Rinascimento maturo lombardo-veneto (Tiziano, Veronese, Moretto). Il punto di vista ribassato (che fa grandeggiare le figure), le pose statiche e cerimoniali, le ombre pesanti riallacciano questo ritratto alla Nobildonna genovese con figlio di Washington.
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Autoritratto
1623
olio su tela; 116,5 x 93,5
San Pietroburgo, ErmitageIl dipinto fu forse realizzato da Van Dyck a Roma e deriva da un disegno che ispirò almeno altri tre autoritratti. Esso corrisponde pienamente al profilo che Bellori tracciò dell’artista, aristocratico e ambizioso, estraneo alla cerchia gaudente dei pittori fiamminghi e olandesi residenti nella capitale pontificia: «Erano le sue maniere signorili più tosto che di uomo privato, e risplendeva in ricco portamento di habiti […], ed essendo egli per natura elevato, e desideroso di farsi illustre, perciò oltre li drappi, si adornava il capo con penne, e cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto, con seguito di servitori». Una calda luce crepuscolare che colpisce il volto e le mani affusolate rompe il freddo equilibrio dei timbri cromatici bianchi e neri.
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Ritratto di nobildonna genovese con sua figlia
1623-1625
olio su tela; 218 x 146
Cleveland (Ohio), Museum of ArtVan Dyck realizzò a Genova numerosi doppi ritratti di personaggi della nobiltà locale. In questo dipinto, una delle opere più felici nel genere, egli dà prova di straordinaria abilità nel raffigurare in modo apparentemente naturale due figure in realtà sproporzionate per altezza e volume. Nel ritratto della bambina egli si ispira forse alla Clarice Strozzi di Tiziano (Berlino, Gemäldegalerie), ma dona al personaggio una vivacità di sentimento assolutamente originale.
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La moneta del tributo
1625 circa
olio su tela ; 150 x 135
Genova, Galleria di Palazzo BiancoNel quadro appare preponderante l’influsso di Tiziano. Esso è basato su un dipinto realizzato dal pittore veneto per Filippo II (ora alla National Gallery di Londra), conosciuto da Van Dyck attraverso un’incisione di Martino Rota. L’imitatio, l’emulazione dei più grandi maestri del passato nell’intento di acquisirne la tecnica e di superarne gli esiti formali, è confermata dagli schizzi raccolti nel Taccuino italiano di Van Dyck, sorta di diario visivo del lungo soggiorno. Se caratteri fiamminghi sono rintracciabili nelle figure dei due farisei, i tratti fisionomici del Cristo, il senso del colore, l’equilibrio delle forme, attestano il retaggio rinascimentale dell’opera.
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Vertumno e Pomona
1625 circa
olio su tela ; 141 x 197
Genova, Galleria di Palazzo BiancoIl soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio: Pomona, la bella ninfa dei boschi, cede di fronte alla dichiarazione d’amore del dio delle stagioni Vertumno che, nei panni di un’amabile vecchia, si è introdotto nel suo giardino privato. L’impaginazione d’insieme, il modellato delle figure, la luce e i moti espressivi sono perfettamente rispondenti al fine di rendere il tema del risveglio amoroso. Lo sguardo di Pomona, soprattutto, misto di vulnerabilità e insicurezza, si addice perfettamente al momento del suo primo concedersi. Van Dyck s’ispira nella posa della ninfa alla Danae di Tiziano (che aveva visto nelle due versioni della collezione Farnese a Roma e di quella Doria a Genova), e nella figura di Cupido a modelli del Veronese.
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Nobildonna genovese con suo figlio
1626 circa
olio su tela; 189,2 x 139,7
Washington, National GalleryIl dipinto sembra ambientato su una terrazza cinquecentesca, di quelle che s’affacciavano a Genova su via Balbi o la Strada Nuova. La possente architettura classicheggiante e i due protagonisti sono ritratti di sotto in su. Una severa austerità caratterizza il gruppo, organizzato intorno al contrasto tra la figura del figlio e quella della madre, l’uno ritratto frontalmente, vestito di un abito sgargiante, e l’altra colta di profilo in un severo abito scuro. La nota giocosa del cane che sbuca alle spalle dei protagonisti alleggerisce il tono del racconto: con la stessa finalità la useranno Joshua Reynolds e Thomas Gainsborough nel secolo successivo. Circa l’identità dell’austera signora molti ritengono si tratti della marchesa di Brignole Sale, più volte ritratta da Van Dyck.
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Rinaldo e Armida
1629
olio su tela; 236,5 x 224
Baltimora, Museum of ArtLa scena è tratta da un passo della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso (canto XIV, strofe 57-68), in cui si raccontano le vicende dell’improvvisa passione della maga Armida per il principe cristiano Rinaldo. Il potere dell’amore, tema che ricorre spesso nella produzione profana di Van Dyck, trova qui una rappresentazione degna delle migliori prove di Tiziano e Paolo Veronese. I colori squillanti, la pennellata larga, il sotto in su conferiscono vigore espressivo alla composizione, ricca pure di citazioni da noti dipinti di epoca rinascimentale (la ninfa che canta sulla destra è una rivisitazione della figura nuda dell’Amor Sacro e Profano di Tiziano). Il dipinto venne acquistato nel 1629 da Carlo I, noto estimatore di Tasso, e riscosse un clamoroso successo a corte.
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Ritratto di Maria Luisa De Tassis
1629
olio su tela; 129 x 93
Vaduz, collezione LiechtensteinIl dipinto fu realizzato al ritorno di Van Dyck dall’Italia, quando la donna ritratta, figlia del canonico della cattedrale di Anversa, aveva all’incirca diciannove anni. Lo straordinario qualità dell’opera, da molti considerata il capolavoro del pittore, sta nel rendere la duplice natura della giovane: devota e verginale da un lato, estrosa e provocante dall’altro. Il ricco abito di taglio francese, il ventaglio di piume nella mano, i preziosi gioielli, sono eseguiti con pennellate liquide e rapidi tocchi di spatola. Più meditata l’esecuzione del viso, dallo sguardo vivace e furbo.
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I primi tre figli di Carlo I
1635
olio su tela; 151 x 154
Torino, Galleria sabaudaIl dipinto fu inviato dalla regina d’Inghilterra Enrichetta Maria alla sorella Cristina, duchessa di Savoia, nell’autunno del 1635. Carlo I non gradì l’opera, giudicando sbagliata la scelta di ritrarre il più grande dei tre fratelli, l’erede al trono Carlo (quello che carezza il cane), «in panni fanciulleschi». Si tratta in realtà di un capolavoro della ritrattistica moderna: il pittore restituisce al mondo degli adulti, ricorrendo a un’elegante tonalità argentea e a pose semplici e non affettate, il candore e l’ingenuità del mondo infantile.
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Carlo I in tre posizioni
1635
olio su tela; 84,5 x 99,7
Windsor Castle, Royal CollectionTra i numerosi ritratti del re che l’artista dipinse questo spicca per l’originalità. Fu inviato infatti a Roma, presso la bottega di Gianlorenzo Bernini, affinché il grande scultore ne traesse un busto in marmo. Van Dyck fu probabilmente ispirato dal Ritratto di uomo in tre posizioni di Lorenzo Lotto, allora attribuito a Tiziano e conservato nelle collezioni reali inglesi (oggi a Vienna, Kunsthistorisches Museum). Lo sguardo melanconico del sovrano (stagliato su un cielo plumbeo), che ha spinto qualcuno a parlare di premonizione della tragica morte, sta piuttosto a significare la severa riflessione dell’uomo saggio sulla natura divina del potere temporale.
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Mary Villiers e suo figlio
1636 circa
olio su tela ; 207,5 x 100
Raleigh (North Carolina), Museum of ArtVan Dyck ritrasse più volte Mary Villiers, figlia del duca di Buckingham, tra i più alti dignitari della corte di Carlo I a Londra. In questa tela, di grandezza naturale, la dipinge in compagnia del figlio, realizzando uno di quei ritratti allegorici che tanta fortuna gli diedero presso i committenti inglesi. Il dipinto è forse da collegare al matrimonio della donna con Sir Charles Herbert, celebrato nel gennaio del 1635: il bambino-Amore tiene infatti nella mano destra una freccia mentre guarda la madre, a indicare che l’obiettivo da lui mirato è stato raggiunto. Bollori lodò l’opera come uno dei capolavori del periodo inglese dell’artista.