Piero della Francesca: biografia
Nonostante i documenti attestino una prima attività a Sansepolcro, la formazione di Piero si inquadra pienamente nell’ambiente fiorentino, forse all’interno della bottega di Domenico Veneziano, con il quale lavora dal 1439 ai perduti affreschi del coro di Sant’Egidio a Firenze. La datazione delle opere di Piero della Francesca è particolarmente problematica, e molte sue opere sono collocate dai vari studiosi in periodi anche molto distanti tra loro: il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery) per la badia Camaldolese di Sansepolcro è per esempio collocato nei primi anni Quaranta o alla fine degli anni Cinquanta. Nella stessa Sansepolcro, nel gennaio 1445 Piero riceve dalla confraternita della Misericordia la commissione del Polittico della misericordia (Sansepolcro, Museo civico) complesso di grande impegno, licenziato solo nel 1460-1462, nei cui scomparti emerge un’acutissima sensibilità per la resa dei dati luministici e naturalistici. Compie viaggi a Ferrara, ove lascia opere, perdute, che segnano fortemente gli sviluppi della pittura locale, e a Rimini, dove nel Tempio malatestiano firma l’affresco raffigurante Sigismondo Malatesta che venera il santo patrono. Nel 1452 è chiamato ad affrescare il coro di San Francesco ad Arezzo con la Leggenda della vera croce, un ciclo capitale del Rinascimento italiano, in cui il racconto è informato a un rigoroso controllo formale e prospettico e al contempo intriso di un colorismo luminoso. In questi anni la sua pittura mostra evidenti tracce della cultura fiamminga, in particolare nella trattazione lenticolare del paesaggio. Vicina stilisticamente agli affreschi di Arezzo è la Madonna del parto nella cappella del cimitero di Monterchi. Per Federico da Montefeltro Piero dipinge la Flagellazione di Urbino (collocata nel 1453, o nel 1459-1460 circa), il Dittico dei duchi di Urbino degli Uffizi (1465-1473 circa), la Pala di Brera (1472-1474), la Madonna di Senigallia (1474), opere che testimoniano l’approfondimento dei legami con la cultura nordica e il perfezionamento delle sue conoscenze matematico-prospettiche, poi teorizzate nel trattato De prospectiva pingendi. In questi anni Piero è estremamente impegnato e solo nel 1469 riesce a licenziare il polittico per la chiesa di Sant’Agostino in Sansepolcro commissionato nel 1454. Dal 1475 si rarefanno le notizie sulla sua attività pittorica, rallentata forse per un problema alla vista che lo porterà, secondo Vasari, alla totale cecità. Documentato a Rimini nel 1482, Piero fa testamento nel 1487, dichiarandosi ancora vigorosamente in salute.
Piero della Francesca: le opere
Archivio Giunti
Sigismondo Pandolfo Malatesta
1450-1451
tempera su tavola; 44,5 x 34,5
Parigi, LouvreIl ritratto fu eseguito da Piero della Francesca durante un soggiorno a Rimini tra il 1450 e il 1451. A questo periodo risale anche un affresco realizzato da Piero nel Tempio malatestiano raffigurante lo stesso Malatesta in preghiera di fronte al suo santo patrono, san Sigismondo. Il ritratto del condottiero raffigurato di profilo, con una assoluta astrazione, riprende l’iconografia ufficiale delle medaglie, anche se nel dipinto è evidente una attenzione naturalistica nella minuziosa descrizione del tessuto della veste, dei capelli e dell’incarnato, derivante a Piero dalla conoscenza dei pittori fiamminghi, in particolare Rogier van der Weyden. Il ritratto dipende da quello celebrativo del condottiero presente sulla medaglia eseguita da Matteo de’ Pasti nel 1450.
Archivio Giunti
Battaglia di Eraclio e Cosroe
1452-1466 circa
affresco; 392 x 742
Arezzo, Chiesa di S. Francesco, cappella BacciIn questa scena affollata e concitata Piero raffigura un episodio della Leggenda della vera croce tratto dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine: l’imperatore cristiano Eraclio recupera la croce della quale il re persiano Cosroe si era impadronito. Si trova nel registro inferiore sinistro della cappella e fronteggia la Vittoria di Costantino su Massenzio. Se nel precedente iconografico degli affreschi di Agnolo Gaddi in Santa Croce a Firenze, cui Piero si ispira, si era pedissequamente seguito il testo di Jacopo da Varagine, nel ciclo di Arezzo il pittore fa una scelta tematica dei soggetti da rappresentare cercando di sottolineare gli elementi salienti della narrazione: questa scelta è finalizzata anche a sostenere la riconciliazione tra la chiesa cattolica romana e quella greca, con precisi riferimenti a eventi storici contemporanei, in particolare alla guerra contro i Turchi dopo la caduta di Costantinopoli. In questo affresco, realizzato cronologicamente per ultimo, è evidente l’intervento degli aiuti di Piero, dovuto all’imminente partenza per Roma del maestro.
IconografiaArchivio Giunti
Sogno di Costantino
1452-1466 circa
affresco; 329 x 190
Arezzo, Chiesa di San francesco, cappella BacciNon conosciamo le date precise di esecuzione degli affreschi della cappella maggiore della chiesa di San Francesco, commissionati dall’umanista e funzionario della Curia romana Giovanni Bacci, ma soltanto dei riferimenti che permettono di circoscriverne la realizzazione tra gli anni 1452 e 1466. Vi sono raffigurati gli episodi salienti della Leggenda della vera croce, tratta dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Qui è raffigurato l’episodio del sogno di Costantino prima della battaglia con Massenzio: un angelo gli appare e gli predice la vittoria purché egli combatta nel segno della croce. Il dipinto è un bellissimo e precoce esempio di notturno con suggestivi effetti di luce artificiale che Piero desume dalla conoscenza di certa pittura tardogotica nordica, e che rimarrà di esempio per lo stesso Raffaello nella scena della Liberazione di san Pietro dal carcere nell’appartamento di Giulio II in Vaticano.
IconografiaArchivio Giunti
Madonna del Parto
post 1459
affresco staccato; 260 x 203
Monterchi (Arezzo), cappella del cimiteroL’affresco si trova nella cappella del cimitero di Monterchi, in passato chiesa dedicata a Santa Maria a Momentana. Il forte deterioramento della parete sulla quale si trovava il dipinto indusse, nel 1911, a staccarlo e riportarlo su un altro supporto. Malgrado ciò, la parte superiore dell’affresco, raffigurante la calotta del padiglione, è interamente perduta e ridipinta. All’interno di un cortinaggio aperto da due angeli, perfettamente speculari, è rappresentata la Madonna gravida, secondo una iconografia insolita per la pittura italiana. Nel soggetto sono state riconosciute interpretazioni teologiche molto complesse: il padiglione rappresenta la chiesa e la Madonna, nel suo particolare stato, simboleggia il tabernacolo eucaristico in quanto contiene il corpo di Cristo. La tradizione vasariana vuole che il dipinto sia stato eseguito da Piero nel 1459, anno nel quale il pittore si trovava a Sansepolcro per la morte della madre.
IconografiaArchivio Giunti
Battesimo di Cristo
1459-1460 circa
tempera su tavola; 167 x 116
Londra, National GalleryÈ stato recentemente accertato che il dipinto proviene dalla Badia camaldolese di Sansepolcro, dalla cappella di San Giovanni Battista, di patronato della famiglia Graziani. Dopo diversi passaggi, nel 1861 il dipinto è entrato nel museo londinese. Come la maggior parte dei dipinti di Piero, anche il Battesimo presenta delle difficoltà interpretative del soggetto. L’ipotesi più avvalorata sembra essere quella della tematica del dogma trinitario in un probabile collegamento tra il Vecchio e il Nuovo testamento: i tre angeli visibili sulla sinistra, prefigurazione della Trinità, apparvero ad Abramo, mentre il battesimo di Cristo è la manifestazione evangelica del medesimo dogma. La luce zenitale nella quale è immersa la scena allude alla rigenerazione dell’anima attuata dal sacramento del battesimo. Secondo un’altra interpretazione i tre angeli che si tengono per mano sarebbero simbolo di concordia tra la chiesa romana e la chiesa greca, rappresentate dal catecumeno e dai personaggi in abiti orientali sul fondo: unità sostenuta dall’attività di Ambrogio Traversari, che fu abate dell’ordine camaldolese, per una chiesa del quale fu realizzato il dipinto.
IconografiaArchivio Giunti
Resurrezione
1460 circa
affresco; 225 x 200
Sansepolcro (Arezzo), Museo civicoIl dipinto fu realizzato per il palazzo dei Conservatori, attuale museo civico, e il soggetto allude alla città stessa, che trae il suo nome da una reliquia del Santo sepolcro portata da due pellegrini dalla Terrasanta nel IX secolo. Centro della composizione è il Cristo, nell’atto di risorgere dal sepolcro, atto cui allude la posizione della gamba appoggiata sul parapetto, colto in una frontalità iconica e astratta. La figura del Cristo incombe plastica sui quattro soldati addormentati alla base del sepolcro, ripresi da un diverso punto di vista rispetto al Redentore, a rappresentare il differenziarsi tra la sfera umana e quella divina. Anche il paesaggio immerso nella luce dell’alba ha una valenza simbolica: il contrasto tra gli alberi spogli alla destra del Cristo e gli alberi frondosi alla sua sinistra vuole significare il rinnovamento dell’umanità attraverso la luce della Resurrezione. Nel soldato addormentato rappresentato di fronte la tradizione vuole riconoscere un autoritratto di Piero della Francesca.
IconografiaArchivio Giunti/Foto Rabatti-Dominigie, Firenze
Federico da Montefeltro
1465-1473 circa
olio su tavola; 47 x 33
Firenze, UffiziNel realizzare questo ritratto Piero si ispira alla ritrattistica delle medaglie, con il personaggio ritratto di profilo, posa che conferisce una maggiore astrazione e di conseguenza un tono più ufficiale. Vi è ritratto il duca di Urbino Federico da Montefeltro e a tergo il suo Trionfo, ossia un carro allegorico guidato dalle Virtù cardinali - Prudenza, Temperanza, Fortezza e Giustizia - sul quale siede il duca in armatura incoronato da un angelo. Sia il ritratto che il Trionfo si aprono sullo sfondo di magnifici paesaggi ripresi a “volo d’uccello” con una minutezza e naturalezza che derivano a Piero dalla conoscenza della pittura fiamminga, della quale lo stesso Federico era un appassionato collezionista. Una grande naturalezza è presente anche nel volto, ritratto da questo lato per motivi di decoro: egli infatti aveva perduto l’occhio destro nel 1450 in un incidente di torneo. Il dipinto costituiva un dittico con quello raffigurante il ritratto della moglie del duca, Battista Sforza, con il quale si chiudeva lasciando all’esterno i due rispettivi Trionfi.
Archivio Giunti/Foto Rabatti-Dominigie, Firenze
Battista Sforza
1465-1473 circa
olio su tavola; 47 x 33
Firenze, UffiziNel dipinto è raffigurata Battista Sforza, moglie del duca Federico da Montefeltro: insieme al ritratto del marito rappresentava un dittico chiudibile sulle cui facciate esterne erano raffigurati i due rispettivi Trionfi. Infatti a tergo del ritratto è rappresentato il Trionfo della duchessa, ossia un carro allegorico tirato da due unicorni, simbolo di castità e guidato da Fede e Carità: Battista siede affiancata da altre due virtù, Speranza e Modestia. Come quello di Federico anche il ritratto di Battista e il relativo Trionfo è raffigurato sullo sfondo di un ampio paesaggio, minutamente ripreso secondo il gusto della pittura fiamminga, molto apprezzata dalla famiglia urbinate e dallo stesso artista. Una straordinaria attenzione alla rappresentazione naturalistica dei materiali, le perle, la stoffa e i gioielli in genere, caratterizza la figura, la quale tuttavia, ripresa di profilo, è calata in una totale astrazione e armonia di linee.
Archivio Giunti
Polittico di Perugia
1470 circa
olio su tavola; 338 x 230
Perugia, Galleria nazionale dell’UmbriaIl complesso polittico, eseguito per il convento delle monache francescane di Sant’Antonio da Padova di Perugia, vede raffigurata nella parte centrale la Madonna con il Bambino in trono, affiancata da alcuni santi: Antonio da Padova e Giovanni Battista a sinistra, Francesco ed Elisabetta d’Ungheria a destra. Nella cuspide è raffigurata l’Annunciazione e nella parte alta della predella le sante Chiara e Lucia, mentre in quella inferiore sono rappresentate storie relative ai santi principali. La parte centrale del polittico rispecchia una forma abbastanza arcaizzante, e nella predella gli episodi sono narrati con un gusto didascalico e naturalistico. La parte più inusuale e innovativa dell’intero dipinto è la cimasa dalla sagoma scalare, con l’Annunciazione. L’incongruenza formale e cromatica tra la parte inferiore e la cimasa ha fatto supporre che sia stato fatto un assemblaggio di opere diverse, forse su esplicita esigenza della committenza. Nell’Annunciazione, ambientata in un complesso e luminosissimo chiostro, Piero adotta una sorta di “prospettiva dell’intelletto”, che fonda il suo illusionismo spaziale sull’astratto calcolo matematico, tipica della sua fase tarda.
Archivio Giunti
Madonna di Senigallia
1474 circa
olio su tavola; 67 x 53,5
Urbino, Galleria Nazionale delle MarcheIl dipinto si trovava in origine nella chiesa di Santa Maria delle Grazie extra moenia di Senigallia e giunse nella galleria urbinate agli inizi del Novecento. La tavola rivela quanto Piero abbia assimilato la cultura figurativa naturalistica fiamminga: ne sono esempio la luce che con realismo penetra dalla finestra sul fondo e la sensibilità per la rappresentazione minuziosa degli oggetti quotidiani: il cestino con le bende di lino, le collane di perle, i coralli e i tessuti come quello che copre la testa della Vergine. A questo apparentemente semplice naturalismo si intrecciano significati simbolici molto complessi legati ai misteri della fede: la luce allude al concepimento della Vergine, i lini contenuti nel cestino alla sua purezza, la scatola per le ostie nello scaffale e il rametto di corallo al collo di Gesù Bambino sono riferimenti al sacrificio eucaristico, al quale tra l’altro è da riferire l’immobile pensosità dei personaggi.
Iconografia