Guido Reni: biografia
Figlio del musico Daniele Reni, Guido nacque a Bologna il 4 novembre 1575, e, giovanissimo, frequentò la bottega del pittore manierista Denys Calvaert. Prima del 1595 si trasferì all’Accademia degli Incamminati, e le sue prime opere, come la pala con l’Incoronazione della Vergine (Bologna, Pinacoteca), risentono le influenze sia di Annibale che di Ludovico Carracci. Partiti Agostino e Annibale per Roma, Reni dimostra ben presto insofferenza per il tono sentimentale e drammatico dell’opera di Ludovico, e si avvicina sempre di più al classicismo di Annibale. L’opposizione con il maestro si acuisce in occasione della commissione degli affreschi per la facciata del Palazzo pubblico per celebrare l’arrivo a Bologna del pontefice Clemente VII, nel novembre del 1598. Messosi in concorrenza con Ludovico, Reni riesce ad aggiudicarsi l’incarico. Dell’apparato rimane solo un’incisione eseguita dallo stesso Reni, ma esempi del suo personale classicismo si possono cogliere nei contemporanei affreschi in palazzo Zani, nell’Assunzione della pieve di Cento e nella Resurrezione per San Domenico. Probabilmente nel 1601 si trasferì a Roma insieme all’Albani, dove rimase sino al 1614. Nello stesso 1601 eseguì il ciclo di dipinti per la chiesa di Santa Cecilia, per volere del cardinale Paolo Emilio Sfondrato. Attento alle novità linguistiche della città, Reni si interessò anche all’arte di Caravaggio, come si evince da alcune opere come il Martirio di san Pietro della Pinacoteca vaticana e il David del Louvre. Nel 1603 torna brevemente a Bologna, dove partecipa all’esecuzione degli apparati per il funerale di Agostino Carracci e alla decorazione del chiostro ottagonale di San Michele in Bosco. Tornato a Roma, entra in contatto, tramite il Cavalier d’Arpino, con Scipione Borghese, nipote del pontefice Paolo V, che gli affida l’esecuzione degli affreschi delle sale delle Nozze Aldobrandini e delle Dame in Vaticano (1607-1608). Sempre per i Borghese, Guido esegue nel 1609 l’affresco con il Martirio di sant’Andrea in San Gregorio al Celio e, entro il 1610, la decorazione della Cappella dell’Annunciata nel Quirinale. Durante i lavori per la decorazione della cappella Paolina in Santa Maria Maggiore, condotti tra il 1611 e il 1612, dipinge uno dei suoi capolavori, la Strage degli Innocenti per la cappella Berò in San Domenico a Bologna (1611). Prima di lasciare Roma per fare ritorno nella città natale, Guido esegue il grande affresco con L’Aurora per il casino del palazzo di Scipione Borghese a Montecavallo, ora Rospigliosi-Pallavicini. Nel 1613 è a Bologna, dove dipinge l’affresco con la Gloria del santo nella cappella dell’Arca in San Domenico, ma nel 1614 è richiamato con forza a Roma dal pontefice, con il quale Reni interrompe i rapporti nello stesso anno per aver accettato l’incarico di decorare la cappella del Sacramento nel duomo di Ravenna per conto di Pietro Aldobrandini, ostile al pontefice. La cappella sarà terminata nel 1616 con la collaborazione del Gessi e del Sementi. Tornato stabilmente a Bologna, Reni è a capo di una fiorente bottega, impegnata soprattutto nella produzione di mezze figure sacre e profane. Ma a questi anni appartengono anche opere di grande respiro, come la Crocifissione dei Cappuccini (Bologna, Pinacoteca), le tele raffiguranti le Fatiche di Ercole (1617-1621, Parigi, Louvre) e infine le due versioni dell’Atalanta e Ippomene (Napoli, Capodimonte e Madrid, Prado). Nel 1621 si reca a Napoli, dove doveva affrescare una cappella nel duomo, incarico non andato in porto, e, tra il 1621 e il 1626, è impegnato in due quadri per la chiesa dei Filippini di Fano, che segnano l’inizio di una nuova, cristallina, fase pittorica. Ne è un mirabile esempio la Trinità per la chiesa romana dei Pellegrini. Nel 1627 si reca a Roma, per allestire uno dei nuovi altari in San Pietro, incarico che non avrà seguito, ma tramite Bernardino Spada è introdotto nell’ambiente francese. Nel quarto decennio del secolo Reni addolcisce la pennellata e utilizza un colore più fluido e morbido, come nel Trionfo di Giobbe per la chiesa bolognese dei Mendicanti, tendenza che si accentua con gli anni, fino a raggiungere una maniera quasi impalpabile ed evanescente. Tipiche di questa maniera “non finita” sono le tele Sacchetti, oggi conservate nella Pinacoteca capitolina e l’Adorazione dei magi di Cleveland.
Guido Reni: le opere
Archivio Giunti
Incoronazione della Vergine
1595
olio su tela; 253 x 197
Bologna, Pinacoteca nazionaleLa tela proviene dalla chiesa bolognese di San Bernardo ed era considerata dal Bellori e dal Malvasia la prima opera del Reni, nel momento di passaggio del pittore dalla bottega del manierista Calvaert all’Accademia degli Incamminati. Databile intorno al 1595, l’opera, pur tradendo l’impronta calvaertiana, presente anche in un’opera precedente, l’affresco staccato raffigurante il Riposo in Egitto, oggi in collezione privata, dimostra una consistente ricerca di autonomia da parte del giovane Guido che, entrato nella bottega del fiammingo a soli nove anni, ne uscirà molti anni più tardi offeso e risentito.
Archivio Giunti
La caduta di Fetonte
1596-1598
olio su tela; 256 x 222
Bologna, Palazzo Rossi (già Zani)L’opera, considerata la più bella della giovinezza di Guido, raffigura il momento in cui il giovane figlio del Sole, Fetonte, che aveva chiesto con insistenza in prestito al padre il suo carro per una giornata, per inesperienza perde le redini dei cavalli e precipita. In alto sulla sinistra si intravede un segno dello Zodiaco, il terribile Scorpione, causa del disastro. L’opera è esemplare del nuovo momento attraversato da Guido, passato dalla bottega di Calvaert all’Accademia degli Incamminati, e vicino al classicismo di Annibale. Alla decorazione del palazzo apparteneva anche la scena, oggi staccata e conservata a Kingston Lacy, raffigurante La separazione della luce dalle tenebre.
IconografiaMartirio di san Pietro
1604-1605Il dipinto fu commissionato nel 1604 dal cardinale Pietro Aldobrandini per la chiesa romana di San Paolo alle Tre Fontane. Secondo il Bellori fu eseguita da Guido come esperimento di emulazione della pittura di Caravaggio, e il Malvasia sostiene addirittura che il Cavalier d’Arpino, rivale del pittore lombardo, volesse valersi della maestria del Reni per offuscare la fama del pittore sul suo stesso campo d’azione. Nei primi anni romani, infatti, Guido fu l’unico tra gli allievi dei Carracci ad avvicinarsi al caravaggismo, linguaggio che adottò per un breve periodo. La tela è derivata dalla pala del Merisi in Santa Maria del Popolo.
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La nascita della Vergine
1609-1611
affresco; 360 x 335
Roma, palazzo del Quirinale, cappella dell’Annunciata, particolareLa decorazione della Cappella dell’Annunciata nel palazzo del Quirinale, fu affidata al Reni dal pontefice Paolo V Borghese. I lavori si svolsero dall’autunno del 1609 alla fine del 1611 e Reni si valse dell’aiuto di alcuni collaboratori, tra i quali Antonio Carracci, Giovanni Lanfranco, Tommaso Campani e Alessandro Albani, col quale interruppe in seguito i rapporti. A differenza dell’Annunciazione della pala d’altare, fortemente idealizzata, le scene condotte ad affresco si distinguono per il tono più intimo e naturalistico.
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L'Aurora
1614
affresco; 700 x 280
Roma, Casino Rospigliosi PallaviciniIl soggetto dell’affresco, noto con il nome di Aurora ed eseguito per il cardinal Scipione Borghese in una loggia del giardino del suo Palazzo di Montecavallo sul colle Quirinale nel 1614, è in realtà il sorgere del Giorno. Il carro appare sullo sfondo di una coltre di nubi ed è circondato dalle figure delle Ore. A precederlo c’è la figura di Aurora, che ha dato il nome all’intera composizione. La scena è tagliata diagonalmente e, nel lato destro in basso, si scorge un paesaggio marino. Sopra i quattro cavalli vola un putto che tiene una torcia accesa, identificato con Phosphoros, l’astro del mattino. Il grandioso affresco è concepito come un rinascimentale “quadro riportato”, e denota un’adesione incondizionata ai dettami raffaelleschi.
Pietà dei Mendicanti
1614-1616L’opera fu commissionata al Reni al suo ritorno nella città natale dopo il lungo soggiorno romano da parte del senato bolognese, ed era destinata alla chiesa di Santa Maria della Pietà o dei Mendicanti. La pala fu collocata sull’altare della chiesa nel 1616 ed è simmetricamente divisa in due zone. In quella superiore compare il Compianto sul corpo di Cristo, dove la Vergine stante è circondata da due angeli. Nella zona inferiore appaiono invece, attorno a san Carlo Borromeo, i santi Petronio e Domenico a sinistra e Francesco e Floriano a destra, protettori della città di Bologna. Questa compare sul gradino in basso, sotto forma di modello architettonico. La parte inferiore riprende ancora una volta l’impostazione dell’Estasi di santa Cecilia di Raffaello, richiamando le opere della giovinezza di Guido.
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La consegna delle chiavi
1622
olio su tela; 342 x 210
Parigi, LouvreLa grande pala fu commissionata al Reni da Guido Gabrielli, insieme all’Annunciazione della chiesa di San Pietro in Valle a Fano, e, secondo il Malvasia, fu condotta a termine in ventisette giorni. Portata a Parigi nel 1798 in seguito alle requisizioni napoleoniche, fu sostituita nella chiesa marchigiana, agli inizi del XIX secolo, da una copia. La consegna delle chiavi appartiene a una nuova fase del Reni, contraddistinta da una felicità compositiva e cromatica di statura neo-umanistica. Ricompare ampiamente la riflessione giovanile su Raffaello, in particolare sui cartoni per gli arazzi.
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Annunciazione
1628-1629
olio su tela; 237 x 54
Ascoli Piceno, Pinacoteca comunaleL’opera fu eseguita per la cappella eretta nel 1629 per volere di Eleonora Alvitreti nella chiesa di Santa Maria della Carità ad Ascoli, ed è oggi conservata nella Pinacoteca della stessa città. Il dipinto presenta una notevole affinità con la tela dallo stesso soggetto eseguita per Maria de’ Medici, oggi al Museo del Louvre (ante 1629). I due dipinti hanno in comune una notevole affinità compositiva e un medesimo impianto luministico, anche se l’esemplare marchigiano, di poco posteriore, mostra una resa più semplificata dei particolari e dello spazio, conferendo maggiore imponenza alle figure. Entrambe le opere risentono di quel processo di estrema semplificazione stilistica messo in atto dal pittore a partire dalla metà degli anni Venti del secolo.
IconografiaSan Michele arcangelo
1635Il dipinto fu commissionato al Reni da Antonio Barberini, cardinale Sant’Onofrio, fratello di Urbano VIII, come riporta il Malvasia, e fu eseguito prima del 1636, anno in cui ne fu tratta un’incisione dal De Rossi. Il cardinale, che proveniva dalle file dei Cappuccini, intendeva collocarlo nella chiesa romana dell’ordine, dove si trova tutt’ora. Eseguita a Bologna, l’opera si richiama ancora una volta, nella scelta stilistica e tematica, a Raffaello, ed è ricordata dallo stesso pittore in una lettera al maestro di casa del papa, in cui scrive: «vorrei aver avuto il pennello angelico, o forme del Paradiso per formare l’Arcangelo, o vederlo in cielo; ma io non ho potuto salir tant’alto, ed invano l’ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma, che sull’idea mi sono stabilita». Secondo una tradizione riportata dal Malvasia, ma negata dallo stesso pittore, il volto del demonio avrebbe le sembianze del cardinale Pamphili, futuro pontefice con il nome di Innocenzo X, che non intratteneva buoni rapporti con la famiglia Barberini.
IconografiaArchivio Giunti
Sibilla
1635-1636
olio su tela; 74 x 58
Londra, Collezione MahonSecondo la tradizione greca e romana, le Sibille erano donne dotate di spirito profetico, capaci di leggere nel futuro, e per questa ragione furono accolte nel pensiero cristiano, in quanto si riteneva che avessero preconizzato la venuta di Cristo. Questa tela fu resa nota in occasione della mostra dell’opera di Guido Reni tenutasi a Bologna nel 1954 e proveniva dalla collezione del cardinale Giovanni Carlo de’ Medici, al quale fu donata da Jacopo Altoviti, che la commissionò al pittore. Appartenente all’ultima fase del percorso di Guido, presenta una resa delicata e tenue dell’incarnato e una stesura fluida del colore, caratteristiche che si accentueranno sempre più negli ultimi anni del pittore.
IconografiaSan Sebastiano
1640-1641Nel quinto decennio del secolo Reni addolcisce la pennellata e utilizza un colore più fluido e morbido, tendenza che si accentua con gli anni, fino a raggiungere una maniera quasi impalpabile ed evanescente, ben evidente in questo San Sebastiano, tema già affrontato in precedenza. Il dipinto si trovava nella sacrestia della chiesa bolognese di San Salvatore, dove Malvasia lo ricorda come «giustamente disegnato e gentilmente colorito».
Iconografia